L’omicidio di Melania Rea ha scosso le Marche, e l’Italia intera, nel 2011. Un femminicidio che fa discutere ancora oggi per la brutalità con la quale è avvenuto e per quanto accaduto dopo, quando la giustizia ha dichiarato colpevole Salvatore Parolisi, marito della vittima. La donna, che all’epoca era diventata da poco mamma, è stata brutalmente uccisa all’età di 29 anni. Il tutto è avvenuto a Colle San Marco, in provincia di Ascoli Piceno: prima era stata segnalata la sparizione di Melania, poi il suo corpo brutalmente martoriato era stato ritrovato nel boschetto delle Casermette di Ripe di Civitella del Tronto.
Qui Melania si era recata con il marito e la figlia prima di morire. A denunciare la scomparsa della Rea era stato proprio Parolisi, istruttore del 235° Reggimento Piceno, papà della piccola Vittoria di soli 18 mesi (che oggi porta il suo cognome, Rea). Dopo due giorni di ricerche la svolta con una telefonata anonima, con le coordinate per trovare Melania Rea. I Carabinieri raggiunsero il punto indicato e trovarono il corpo esanime della donna, seminudo, martoriato da 35 coltellate. In seguito alle indagini, la Procura di Ascolti e quella di Teramo dichiararono Salvatore Parolisi unico responsabile dell’omicidio. Ma l’uomo, condannato in primo grado all’ergastolo, continua ancora oggi a dichiararsi innocente.
Perché Melania Rea è stata uccisa dal marito
Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, Salvatore Parolisi avrebbe colto di sorpresa la moglie mentre si era appartata per fare pipì, accoltellandola ripetutamente all’altezza del collo e in altre parti del corpo. Poi, nel tentativo di depistare le indagini, indirizzandole verso un maniaco o un tossicodipendente, avrebbe manipolato la scena del crimine, cambiandosi d’abito e dando il finto allarme. Ma i sospetti si concentrarono subito su di lui, fino ad arrivare alla pena definitiva.
Il movente? Salvatore Parolisi aveva un’amante, di cui Melania Rea aveva scoperto l’esistenza poco prima di esalare l’ultimo respiro. La vittima aveva deciso di perdonarlo, a patto che la tresca finisse. Una promessa non mantenuta visto che l’ex militare aveva deciso di continuare a sentire l’altra donna, Ludovica, incrinando ancora di più il rapporto con la moglie. Ad incastrare Parolisi le tracce di Dna rinvenute nell’arcata dentaria della moglie.
Salvatore Parolisi è stato condannato all’ergastolo primo grado: i giudici hanno contestato tre circostanze aggravanti – la crudeltà, la minorata difesa e il vilipendio di cadavere – e lo hanno privato della potestà genitoriale sulla figlia (che probabilmente, durante il delitto, dormiva in auto e dopo la morte della madre ha cambiato cognome ed è stata affidata alle cure della famiglia materna). Nel 2015, con l’esclusione dell’aggravante della crudeltà, la pena è stata ridotta a 20 anni di carcere, diventando poi definitiva.
Perché si parla ancora dell’omicidio di Melania Rea
L’omicidio di Melania Rea è tornato a fare notizia perché Salvatore Parolisi è uscito dal carcere nel 2023 per un permesso premio dopo aver scontato dodici anni di pena. Una scelta che ha mandato su tutte le furie la famiglia Rea, che si è data da fare tramite il proprio legale per cambiare la situazione. “Dodici anni: la vita di una persona, di una mamma, di una ragazza uccisa in quel modo vale così poco?”, ha dichiarato il fratello di Melania.
Ad aggravare la situazione l’intervista che Salvatore Parolisi ha rilasciato al programma tv Chi l’ha visto?, nella quale ha ribadito la propria estraneità ai fatti: “Ho tradito Melania più volte, ma non l’ho uccisa. E con Ludovica era una solo una scappatella”, ha detto l’ex militare. “Se trovassi un lavoro potrei uscire, ma chi me lo dà un lavoro? Quando sentono il mio nome e cognome, scappano, fanno il deserto. Mi hanno dato 12 ore di permesso dopo 12 anni”.
Un’intervista che ha indignato la famiglia Rea: “Dicono che il carcere riabiliti, soprattutto nelle relazioni interpersonali, ma crediamo che lui sia peggiorato in questi anni e lo ha dimostrato. Non mi sembra il caso che dopo 12 anni un assassino del genere possa uscire, rifarsi una vita e avere contatti con altre persone, con la società. Tanto si è fatto in questi anni per il femminicidio, ma tanto si deve ancora fare”. Successivamente i parenti di Melania, con l’aiuto di un legale di fiducia, sono riusciti ad ottenere dal Tribunale uno stop dei permessi.
Dopo l’intervista del detenuto la famiglia di Melania Rea ha informato il magistrato di sorveglianza dei comportamenti di Parolisi che a loro dire erano in contrasto con i benefici concessi all’uomo e per questo un nuovo provvedimento ha revocato tutti i 15 permessi già concessi fino a ottobre a Salvatore Parolisi che, nonostante tutto, continua a sostenere di essere stato “ingiustamente condannato”.