Aung San Suu Kyi: chi è la discussa leader che guida il Myanmar

Dal Nobel per la Pace a quella sua democrazia imperfetta: chi è Aung San Suu Kyi

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

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Pubblicato: 1 Febbraio 2021 13:57

Uno sguardo veloce a Google e alle notizie degli ultimi tempi ed ecco che, prepotentemente, balza agli occhi il nome di Aung San Suu Kyi, la leader birmana arrestata a seguito del colpo di stato dell’esercito. Ma chi è la vincitrice del Premio Nobel per la Pace e capo di fatto del governo in Myanmar?

Chi è Aung San Suu Kyi

19 giugno del 1945, Aung San Suu Kyi nasce a Rangoon, capitale della Birmania nel periodo coloniale britannico. Il suo destino, forse, era in qualche modo già scritto, basta dare uno sguardo alla biografia del generale Aung San, suo padre, capo della fazione nazionalista del Partito Comunista della Birmania.

Aung fu uno dei più importanti negoziatori attivi per l’indipendenza della nazione dal Regno Unito nel 1947, anno in cui l’uomo morì per mano degli avversari politici. Anche la madre di Aung San Suu Kyi, Khin Ky, era un’attivista, nominata ambasciatrice in India nel 1960.

Aung San Suu Kyi scelse, nel 1964 di iniziare gli studi di filosofia, politica ed economia presso l’università di Oxford, dove conobbe suo marito, Michael Aris, con il quale ha avuto due figli, Alexander e Kim. Tornata a casa, per stare vicina a sua madre, intraprende la carriera politica.

Aung San Suu Kyi
Fonte: Getty Images
Aung San Suu Kyi

Non stupisce, quindi, l’interesse di Aung San Suu Kyi nei confronti della politica, un mondo in cui debutta nel 1988 fondando la Lega Nazionale per la Democrazia. Un partito scomodo che, a distanza di un solo anno dalla nascita, le costò gli arresti domiciliari. L’alternativa, certo, le fu concessa: abbandonare il Paese. Ma Aung San Suu Kyi non accettò quel ricatto.

Il Premio Nobel per la Pace e gli anni 2000

Le elezioni generali convocate dal regime militare furono vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, rendendola, quindi, di diritto Primo Ministro. Una vittoria, questa, che non piacque al regime che decise di annullare il voto popolare.

Il suo attivismo nella difesa dei diritti civili nel suo Paese, le ha fatto meritare il Nobel per la Pace l’anno successivo, ma questo non è servito a toglierla dal mirino del regime. Gli arresti domiciliari, infatti, le furono revocati solo nel 1995 con la condizione, comunque, di una semi libertà. Grazie all’intervento e alle pressioni da parte delle Nazioni Unite Aung San Suu Kyi, ottenne la tanto agognata libertà, ma a solo un anno di distanza da questa, nel 2003, fu vittima di un attentato e tornò nuovamente agli arresti domiciliari.

Voglio che la nostra gente possa tenere alta la testa, orgogliosa di essere del Myanmar ovunque vada. È così che voglio che la mia gente si collochi tra le nazioni del mondo. Dobbiamo lottare duramente per questo

La resistenza pacifica contro l’oppressione. Aung San Suu Kyi, un’icona

La resistenza pacifica nei confronti dell’oppressione ha trasformato Aung San Suu Kyi in una vera e propria icona per la democrazia. Il 13 novembre del 2010 è per lei una data da ricordare: la donna viene finalmente liberata e ottiene un seggio al Parlamento birmano.

Aung San Suu Kyi
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Aung San Suu Kyi

La sua è una voce forte, sincera, apprezzata e acclamata dal popolo come dimostra la vittoria, nel 2015, della sua Lega Nazionale per la Democrazia. Le prime elezioni libere dopo il colpo di Stato del 1962 portano in alto, ancora, il nome Aung San Suu Kyi. È proprio lei a ricoprire il ruolo di Ministro degli Affari Esteri, della Pubblica Istruzione, dell’Energia elettrica e dell’Energia e Ministro dell’Ufficio del Presidente.

L’anno dopo, invece, diventerà consigliere di Stato, primo ministro e capo di fatto del governo in Myanmar. Il popolo l’acclama, lei è la Lady del Paese, il vero capo di Myanmar. Aung San Suu Kyi, non può diventare presidente perché la Costituzione vieta a chi ha figli stranieri di essere capo di stato, ma sarà lei a guidare il Paese, anche se informalmente.

Negli anni successivi, però, fino a oggi, da paladina dei diritti umani in Myanmar, Aung San Suu Kyi, è diventata la “negazionista” dei crimini contro i Rohingya.

Le critiche sulla gestione della crisi dei rohingya e il Colpo di Stato

Nessuna dinastia può produrre sovrani forti e capaci per sempre.

Il suo ruolo di leader di opposizione, ottenuto combattendo per oltre mezzo secolo contro la dittatura militare, lo stesso che quello l’ha consacrato a icona della democrazia, ha subìto però negli ultimi tempi un’evoluzione tutt’altro che positiva. A mettere in dubbio le azioni di Aung San Suu Kyi sono stati i silenzi nei confronti delle violenze e degli abusi commessi ai danni dei musulmani rohingya, la minoranza religiosa perseguitata nel paese.

Il Myanmar, a maggioranza buddista, ha sempre considerato i Rohingya come stranieri provenienti dal Bangladesh, al punto tale da negare loro la cittadinanza, la libertà di movimento e altri diritti umani fondamentali. In particolare, nel 2017, una campagna militare condotta nello Stato di Rakhine, ha reso al suolo con incendi dolosi tantissimi villaggi provocando migliaia di morti e stupri. Il governo, così come i militari, hanno sempre negato questa “azione di pulizia”, tuttavia non è mai stata fatta troppa chiarezza sulla situazione intera.

Episodi, questi, che hanno contribuito a mettere in ombra il Paese in Occidente, al punto tale che il Parlamento Europeo ha preso le distanze dalla donna e dalla decisione, del 1990, di conferirle il premio Sakharov.

Il nome di Aung San Suu Kyi, però, nelle ultime ore è balzato di nuovo alla cronaca per il colpo di stato nel Paese. Arrestata e detenuta all’interno della prigione di Naypydaw insieme al presidente Win Myint, la Lady del Myanmar è stata accusata di aver vinto le elezioni generali avvenute nel novembre del 2020 in maniera illegittima. In questa occasione il partito aveva ottenuto una vittoria schiacciante nei confronti del il Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione, sostenuto dai militari.

È stato proprio il partito ad aver dichiarato di aver identificato migliaia di casi di frode, tra cui voti di minorenni. La tensione era stata percepita anche dalle ambasciate mondiali e dall’Onu che temevano il colpo di stato, ed eccolo arrivato. I militari hanno dichiarato lo stato di emergenza del Paese e hanno sospeso tutte le trasmissioni della tv di Stato dopo aver denunciato le irregolarità della vittoria per settimane. Il potere è attualmente nelle mani del vicepresidente U Myint Swe, ex generale allineato con il pensiero dei militari, nominato presidente ad interim. Aung San Suu Kyi, attualmente è detenuta in carcere. Quale sarà il destino del Premio Nobel per la pace?

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