Che siate le madri più pazienti, più comprensive del pianeta o facili all’ira, poco importa: avere dei bambini implica quel ritrovarsi ad urlare e a rimproverare, per l’ennesima cameretta disordinata o per i capricci prima di cena.
Nonostante nessuna/o di noi possa arrogarsi il diritto di giudicare l’altra/o, sappiamo che urlare, quando i bambini non soddisfano le nostre richieste, dal fare i compiti senza distrazioni, al sistemarsi il letto, o banalmente, andare a nanna senza rimostranze, non serva a molto.
La pedagogia e numerosi studi, ogni giorno, ci dimostrano che sgridare, urlare contro i propri figli non comporta vantaggi se non un’ubbidienza estemporanea dettata dalla pura paura. E se qualcuna di noi potrebbe asserire che quello è comunque un risultato, pensate quanto sia sfiancante dover urlare ogni giorno per essere ascoltati. Inoltre, riflettiamo su quanto quanto sia dannoso per il bambino/a adempiere ai propri piccoli doveri quotidiani solo motivato da paura, ansia o stress.
Quello che vogliamo dire è che certamente non bisogna arrendersi di fronte ai tanti No! dei nostri figli, perché abbiamo il diritto ed il dovere di educare, ma dobbiamo agire con un registro assai diverso da quello delle urla.
Ed affinché queste non rimangano righe astratte ma fatti, dati, esempi e consigli concreti, abbiamo interrogato un’esperta. La dottoressa Barbara Bove Angeretti, tra le altre cose consulente per il sonno e l’educazione empatica, insegnante di Comunicazione e Mindfulness, ci ha consigliato di cambiare la nostra comunicazione fatta di urla e sgridate, spesso più frutto di pancia che di pensiero lucido e costruttivo, con lo schema XYZ. Ma andiamo per gradi.
Indice
Sgridare, urlare: le conseguenze sui bambini
Vi sarete ritrovate, più volte, a rimproverare i vostri figli/vostre figlie per non aver messo in ordine la cameretta. Dopo aver urlato, probabilmente, avrete ottenuto quanto chiesto, con un’ulcera per voi ed un muso lungo per i ragazzi. Il giorno dopo e quello ancora, per mettere in ordine quella cameretta, avrete di nuovo dovuto alzare la voce, non è vero?
Questo classico esempio denota che urlare non serve, non è risolutivo. Ma non solo. Quando urliamo, soprattutto se i bambini sono piccoli, la loro obbedienza estemporanea è dettata dallo spavento, dalla paura di una minaccia, da ansia, stress. Emozioni che certamente non fanno bene anche se abbiamo piccole anime ribelli come coinquilini!
Nello specifico, vediamo quali sono le conseguenze, per i bambini, quando li sgridiamo.
“Urlare ai bambini può avere varie conseguenze negative sia a breve che a lungo termine, sia per il loro benessere emotivo che per il loro sviluppo psicologico. Rivolgersi al bambino urlando o comunque in modo aggressivo o con linguaggio violento può causare paura, ansia e stress, A nessuno piace essere il destinatario della rabbia altrui, ancor più se intensa. Essere sottoposti a urla costanti può altresì minare la fiducia in se stessi, portando i piccoli ad avere bassa autostima e percezione negativa di sé.
L’abitudine di urlare ai bambini può avere conseguenze dannose sulla loro salute emotiva e sul loro sviluppo psicologico complessivo. È importante per i genitori e gli adulti che si occupano dei bambini cercare modi più positivi e costruttivi di comunicare e risolvere i conflitti, evitando di ricorrere all’urlare come metodo di disciplina o di gestione delle situazioni stressanti”.
Urlare ai bambini: gli studi
Senza che in noi scattino sensi di colpa eccessivi, in quanto è umano, comprensibile e comune, perdere le staffe in certi contesti, rimane nostro dovere trovare delle alternative, delle condotte anche più efficaci nel lungo termine.
La dottoressa Bove Angeretti, inoltre, ci ha anche parlato di una ricerca con focus proprio su quanto succede ai bambini, quando urliamo.
“Una ricerca condotta dalla University of Pittsburgh, in dieci scuole medie, in due anni, ha evidenziato che urlare contro i bambini produce gli stessi effetti di picchiarli. Come fossero abusi e punizioni fisiche, le urla causerebbero nel lungo periodo dalla depressione a violenza, rabbia a loro volta.
Le urla sono una forma di abuso verbale e, come ogni forma di abuso, possono causare danni permanenti sulle competenze relazionali del bambino. A livello neurobiologico, una comunicazione verbalmente aggressiva innesca una risposta di lotta/fuga/congelamento attivata dagli ormoni dello stress, che potrebbero alterare l’architettura cerebrale, soprattutto se tali episodi sono frequenti”.
Come possiamo comunicare con i nostri figli
I No! dei nostri bambini e ragazzi sono fisiologici, ma questo non deve farci mollare la presa, farci arrenderci o delegare l’educazione alla scuola, perché noi non sappiamo come fare. Bove Angeretti ci suggerisce un nuovo modo di comunicare, che non è la chiave di ogni problema (del resto, in caso di evidenti difficoltà, ci sono appunto i professionisti di settore) ma è un ottimo punto di partenza per operare un cambiamento graduale, che coinvolge tutta la famiglia.
“Per comunicare un limite in modo efficace, anche con i bambini, si può seguire lo schema XYZ: Quando hai fatto X, mi sono sentito Y, vorrei che facessi Z. Si tratta di un semplice schema di Comunicazione Non Violenta (Marshall Rosenberg), che può essere usato in generale nelle relazioni importanti perché consente di eliminare dalla comunicazione giudizi, generalizzazioni, assoluti e aspettative, che sono gli elementi che più frequentemente mettono gli altri sulla difensiva.
Facciamo degli esempi: quando diciamo -Non fai mai quello che ti chiedo- utilizziamo una comunicazione che comprende giudizi, aspettative (disattese) e anche generalizzazioni e assoluti (col quel mai), con scarsissime possibilità di ottenere collaborazione.
Mentre con la frase- Vedo che la tua stanza è in disordine, potresti sistemarla prima di cena?- usiamo una comunicazione che si concentra su un fatto e non generalizza, contemplando ulteriori soluzioni/compromessi.
Se tuo figlio accetta la tua richiesta per paura, senso colpa, vergogna, obbligo o desiderio di ricompensa, questo compromette la qualità della comunicazione e della fiducia tra di voi.
Quando siamo in grado di esprimere una richiesta chiara, invece, aumentiamo la probabilità che la persona che ci ascolta senta la possibilità di poter scegliere nell’esprimere la risposta.
Di conseguenza, anche se non possiamo ottenere un assenso immediato alle nostre richieste, è più probabile che vengano ascoltate perché stiamo curando la relazione. In un’atmosfera di fiducia e rispetto, la volontà di collaborare aumenta”.
Creare una relazione, al posto di sgridare
È chiaro che quello che ci indica la dottoressa non è affatto un cambio di registro facile, immediato. Però rimane un modo più rispettoso verso tutti, di comunicare ed educare. Mettere in campo atteggiamenti più lucidi e razionali richiede un considerevole sforzo e dispendio di energie, ma provare è necessario, se vogliamo che qualcosa cambi.
“Fare richieste chiare in luogo di pretese e rispondere invece di reagire, sono competenze molto difficili da acquisire per la maggior parte delle persone. C’è una consolidata quanto erronea abitudine a pensare in termini di ciò che si vuole che le persone facciano o smettano di fare. Esempi concreti sono: non urlare con me; non rispondermi in questo modo; ti ho detto di non lanciare le cose; trattami con rispetto; rispondi bene. Sono aspettative, ordini, non sono fonte di un reale dialogo.
Scegliere di acquisire nuovi strumenti comunicativamente efficaci permette, con il tempo, di creare una connessione più profonda con i propri bisogni, in questo modo la “creatività” si espande, consentendo di immaginare e abbracciare più strategie.
Il passaggio dalle pretese alle richieste implica un balzo in avanti nella visione e nella fiducia: passiamo dal concentrarci su come soddisfare i nostri bisogni, a concentrarci sulla qualità della relazione, che consentirà di prendere in considerazione i bisogni di tutti e, in ultima analisi, anche il loro soddisfacimento”.