Ci sono temi indiscutibilmente complessi da trattare, carichi di sfaccettature: più ci si avvicina alla profondità del male, più si avverte un pericolo crescente, ma indagare è il passo fondamentale per comprendere. Il nuovo singolo di Francesca Cini, in arte Tekla, ci parla delle radici del Male, ovvero un amore tossico, che ha vissuto in prima persona, e che ha scelto di sviscerare in un brano coinvolgente, dal ritmo agrodolce, in cui l’intensità emotiva colpisce nel profondo del significato: credevo fossi qualcuno, invece sei qualcun altro.
Lei è Francesca Cini, classe 1994, nata a Bologna: della sua terra ha la spontaneità delle emozioni e della semplicità. Nel 2015 partecipa a The Voice of Italy, entrando nella squadra di J-Ax. Dopo il successo, si dedica alla musica indipendente, diventando una voce ferma e decisa nel panorama musicale italiano. Una giovane cantautrice che sa quello che vuole e sa come comunicarlo: non è un caso se per il singolo Male ha scelto una piattaforma controversa come OnlyFans per sponsorizzarlo. Una decisione coraggiosa, contestata e criticata, e che ci dice molto: Tekla osa, da provocatrice nata, su un filo sottile, fatto anche e soprattutto di trasparenza nei confronti dei suoi fan.
Il nuovo singolo Male (LaPOP) è disponibile dal 23 febbraio 2024 in rotazione radiofonica e le piattaforme di streaming digitale, dall’atmosfera inquietante e ammaliante al contempo: abbiamo chiesto a Tekla di raccontarcelo, ripercorrendo insieme, in un crescendo di emozioni e verità, cosa si cela dietro il brano, il lato più intimo e oscuro dell’amore.
Tekla ci racconta il nuovo singolo Male
Iniziamo da una domanda di rito. Quanto c’è di Francesca Cini in Tekla?
Diciamo che semplicemente entrambe sono i miei due lati. Francesca è la percentuale più riflessiva, più dolce, pacata, Tekla è tutto ciò che permette a Francesca di esprimersi. Sono due facce della stessa medaglia.
La musica è il filo conduttore della tua vita. Ci vuoi raccontare come e quando hai sentito che fosse la tua strada?
Intanto mi piace fare la differenza tra quando ho sentito che dovevo farlo e il momento in cui è arrivata l’opportunità di poterlo fare come lavoro. Di base credo che sia stata abbastanza d’impatto l’esigenza di scrivere e di cantare da quando ho 12 anni. Il primo palco mi metteva profondamente a disagio, ma ne volevo ancora. All’età di 12 anni ho iniziato a studiare musica e tecniche vocali con una privatista jazzista americana. A livello lavorativo la svolta è arrivata nel 2015 partecipando a The Voice. Non tanto per i contatti e per il mondo che ti si apre dopo, che in realtà è tutta una grande vetrina, ma è davvero poca consistenza, quanto più per una questione di consapevolezza interna. Quando finisci in un frullatore così forte, dici: è questo quello che vuoi? Se la risposta è sì, vuol dire che il proprio amore va oltre, e percepisci anche tutta la fatica e il lavoro che c’è dietro.
Non deve essere facile partecipare a un programma così importante, si aprono tante strade ma allo stesso tempo è richiesta fatica, sudore, per determinarsi e trovare il proprio spazio.
Assolutamente sì. La fatica in realtà, a parte questo aspetto, è principalmente stata per me non avere nessuno all’interno di questo ambito. Un sacco di proposte, di pensieri, ma non sai scegliere tra quelle che sono reali e quelle che sono ‘chiacchiere’. Quando si esce da un talent, si è un po’ la gallina d’oro per marchi. La parte negativa è che l’anno successivo il rilievo è già spostato su qualcun altro, quindi o si fa un lavoro di equipe, altrimenti ci si ritrova ad avere più problemi e più ansie che soddisfazioni.
Un po’ come è accaduto a Sangiovanni.
Credo che, citando una mia amica, che è figlia di talent come me, ci debba essere una bella base di propensione alla lotta, nel momento in cui fai questo lavoro. Per quanto sia bello quando arrivi, quando riesci a ottenere anche il rilievo giusto per lo sbattimento, è comunque tutta sudatissima. Incontri dinamiche che fanno titubare: chi scrive di fondo è più sensibile. Il problema è che all’interno del mondo musicale chi fa girare la musica non ha tutta quella sensibilità lì. Si parla di numeri, ora si parla di stream, di follower. Le etichette devono avere un rientro.
Si parla più del personaggio che della persona.
Chiaramente soprattutto per i ragazzi, che dalla televisione vedono una realtà completamente diversa, è un trauma.
Hai preso parte a The Voice of Italy nel 2015. 9 anni dopo, cosa ricordi di quell’esperienza e cosa ti ha lasciato.
Io lo paragono ogni volta – so che è un po’ pesante come esempio – a un frontale in auto. Ne sono uscita miracolata, perché è arrivato che non sapevo nemmeno come andasse il programma: mi ha iscritto mia zia. Ed è stato casuale il fatto che io entrassi, non mi aspettavo minimamente l’esperienza. Ma è stato molto bello, e mi ha fatto togliere l’illusione della ragazza della provincia di Bologna che vuole cantare. Al tempo stesso mi ha fatto capire che non è un gioco: è il motivo per cui è anche molto difficile lavorare nel mondo della musica, è concepita come uno svago, un intrattenimento. La ricordo come un’esperienza meravigliosa, ho incontrato molte persone che porto nel cuore. Lo stesso J-Ax, che mi ha fatto da team leader, era ed è una persona estremamente trasparente, molto affettuosa. Una persona che si è dimostrata molto presente in quel percorso e che ringrazio.
E lo senti ancora oggi?
Il legame è andato a scemare, ci siamo sentiti durante i primi tempi quando aveva l’etichetta con Fedez. C’eravamo sentiti per delle voci, per delle cose. Sono rapporti che vanno curati, io tendo a sentirmi spesso fuori luogo, non scrivo a una persona dopo anni che non la frequento, sebbene abbiamo fatto un percorso lavorativo insieme: mi sembra di essere invadente, non sono fatta così.
Da dove arriva l’ispirazione per la tua musica e come scegli le tematiche da affrontare: ti ispiri unicamente al tuo vissuto, o accogli anche le storie degli altri?
Faccio fatica a raccontare qualcosa che non ho vissuto, per me è necessario essere autentica. Amo, però, il lavoro di autrice: mi è capitato di scrivere per altri ed è meraviglioso. Prima di scrivere, c’è una fase in cui si parla, una sorta di seduta di psicoterapia, dove c’è uno scambio di pareri e di confidenze.
Passiamo ora al tuo nuovo singolo, Male. Un titolo forte, dalla sonorità tra dolcezza e amarezza, un crescendo di emozioni, lucidità e consapevolezza. È stato difficile sviscerare la fine di un amore, che ha fatto appunto “male”?
È stato molto complesso. Ci ho messo sei anni, è successo nel 2018 e l’ho pubblicato solo adesso. Ti senti in colpa, sono cose che hai vissuto ma non vuoi ferire nessuno. Non è bello, perché qualcuno vede un po’ di revenge quando escono dei pezzi che parlano degli ex. Io ho estremo rispetto di quello che c’è stato, a prescindere da tutto. Ma alcune esperienze sono utili ad altri. E penso che si parla molto delle vittime, ma non di quello che le fa diventare tali. Le relazioni tossiche nascono in funzione del fatto che ci sono dei vuoti che vengono colmati e noi non ce ne rendiamo conto.
Dietro al concept di Male, c’è un invito a tutte le donne a riconoscere che spesso una relazione non è come sembra?
Assolutamente sì. Oltre a riconoscere questo aspetto, smettiamola di diventare quello che vorrebbero gli altri. Abbiamo questa tendenza, soprattutto parlo alle donne con relazioni appena iniziate, si ha questa tendenza all’approvazione, di ricerca di essere all’interno dei canoni richiesti, per far capire che la priorità è il sentimento. Va bene, ma fino a che punto? Perché è la base dove si crea lo scompenso. Nel momento in cui ci rendiamo conto che è disfunzionale, uscirne non è così semplice.
“Credevo fossi qualcuno, e invece sei qualcun altro”. È alla base della canzone Male, che spiega l’amore tossico, disfunzionale, il legame tra chi domina e chi subisce.
Ogni tanto ci si inverte anche i ruoli. Ci sono anche relazioni in cui è l’uomo a subire determinate situazioni, perché la vittima dal momento in cui si sente tale ha anche un largo spettro di manipolazione emotiva, ma dipende dai gradi. Parliamo di qualcosa che è ancora embrionale, ma ha già le radici del male.
Come hai capito questo male che avevi in te nei confronti della relazione, lo hai compreso durante la relazione, o una volta chiusa?
Il male l’ho capito perfettamente durante la relazione, ma all’interno della relazione – anche questo è un aspetto di cui si parla poco – il carnefice non sarà mai solo cattivo, altrimenti sarebbe facile. Alterna una fase di estremo distacco a fasi di estrema commiserazione e necessità di approvazione e di aiuto. La relazione potrei dividerla in due parti: una estremamente felice, in cui avevo scelto una persona diversa da me, per poi però scoprire che questo aspetto era anche un limite. Nella seconda fase di questa storia mi sono ritrovata a svegliarmi con qualcuno che mi controllava il telefono, a tornare a casa e avere delle crisi di pianto, o anche violenze nelle quali c’era da prendersela con gli oggetti in casa. Penso che in un momento di rabbia possa accadere a tutti, ma non deve essere un abitudine. E da lì in poi nella mia testa c’è stato un clic, nel quale l’ho vista come una persona da curare. Ci ho messo un po’ a venirne via.
La sindrome della crocerossina.
Nel momento in cui ho avuto uno schiaffo, una spinta, delle cose un po’ pesantine, subito dopo avevo la reazione di una persona che non stava bene. Di conseguenza è difficile reagire e dire: me ne vado. Sono – purtroppo – una persona molto sensibile a tutte le tematiche della salute mentale, ho avuto tanti amici che se ne sono andati scegliendo di andarsene, mi sono sentita spesso fallita dal punto di vista umano per non aver interpretato, per non essere stata vicina abbastanza. Penso che tutto sia recuperabile, ma ogni tanto non abbiamo potere in merito. E su questa dinamica si fa leva sul senso di colpa, ma accade anche al contrario e non voglio fare discriminazione, ci sono tanti uomini che subiscono tante violenze, soprattutto dopo aver avuto dei figli, vengono tagliati completamente fuori dalla vita emotiva e personale di alcune donne. E la sindrome della crocerossina l’ho vista come l’unica via percorribile, perché una persona che si rivela violenta sta confidando un segreto, una debolezza. E ti senti in colpa a farlo trasparire.
Oggi hai fatto pace con quello che è successo o c’è qualcosa di irrisolto?
I rimpianti ci saranno sempre, perché uno dice: potevo venir via prima, non ne è valsa la pena. Dall’altra non è servita. Ci sono tanti aspetti che uno valuta, però anche in questo caso qua credo sia fondamentale mantenere la mente lucida, un po’ cinica, e dire: sì, ok, di cosa ho bisogno nella mia vita? Di concentrare le mie energie in un altro individuo? Perché ha dei problemi socialmente grossi nell’interfacciarsi con una donna? O posso ambire a qualcosa di più?
Parliamo di OnlyFans. Lo hai scelto come canale comunicativo principale, perché?
Di natura sono una provocatrice seriale, più che con il corpo, lo faccio con la testa. Da sempre, essendo femmina, ho ricevuto un sacco di: “Bellissimo il brano, ma non ti si vede mai, e sei sempre vestita sportiva”. “Guarda il percorso di altre artiste, non vedi che curano l’immagine in modo migliore?”. Un fondo di verità c’è, ma io non mi sono mai dovuta agghindare per sentirmi meglio, sono sempre stata molto a mio agio con me stessa. Amo prendermi cura di me, ma non è lo specchio che guardo prima di uscire. L’immagine è fortissima, sì, ok, ma se non ci fosse stato tutto il resto? Io mi sono impegnata a studiare, a scrivere, a leggere un sacco – credo che la lettura sia fondamentale per chi vuole scrivere o per chi deve interloquire e parlare – quindi il fatto di The Voice, quando si sono girati sentendo solo la mia voce, mi ha fatto dire: non diamo peso solamente a chi di te vede un determinato aspetto, ma c’è altro. Su OnlyFans ho pensato che questo aspetto fosse messo maggiormente in evidenza, perché tutti si aspettano qualcosa da qualcuno: nel mio caso ho pensato che la copertina fosse molto forte, e volevo creare della polemica, interesse, scuotere.
E le polemiche sono arrivate?
Un bagno di sangue. Persone che si sono rivelate estremamente codarde nel dirmi: credo tu abbia trovato la tua strada. Io non ho nulla contro il sex work, ma mi sono sempre occupata dell’altro lato della medaglia, e uno che ti dice tu hai trovato la tua strada, è perché ti vuole far capire che è quello il tuo valore. Al tempo stesso avevo persone super scioccate: ma come, ma no, tu sei libera di far quello che vuoi, ma hai molto da dire in modo diverso, ti seguivo per questo motivo, mi aspettavo un contenuto differente. Non ti nego che da parte dell’entourage: “E se le persone dopo che si iscrivono a OnlyFans vedono che non ci sono contenuti erotici e si sentono prese in giro?”. Nella mia testa ho detto: facciamo pulizia. La persona che si sente presa in giro non sarà mai a un mio concerto. All’interno del brano c’è il fraintendimento e io ho pensato di farci una campagna promozionale.
Qualcuno ti ha anche supportato o ci sono state maggiormente critiche sterili?
Di supporto ne ho avuto tanto. Questo è il lato di me che dovrò cambiare, perché do un sacco di peso a tutto l’aspetto più oscuro: la critica. Critiche ce ne sono state, ma anche tanto supporto, che mi ha commosso. Persone comprensive di quello che stavo facendo. Ed è già capitato come in Amore Wi-Fi, il vecchio singolo, dove per promuoverlo avevo creato il profilo Tinder: la chat era il testo del brano.
Un’ultima domanda di rito. Quali sono i tuoi programmi per il futuro e soprattutto qual è il sogno che tieni nel cassetto.
I miei programmi per il futuro sono imminenti, non sono troppo articolati, ho dei singoli da fare uscire ad aprile, maggio, giugno, luglio. Sogno nel cassetto? Quello di fare un sacco di live, ho voglia di tornare a cantare, anche in situazioni di competizione. Sogno grande? Magari cantare in Piazza Maggiore nel 2024. Mi piacerebbe cantare al centro della mia città: piccoli obiettivi, ogni anno si evolvono.