Piergiorgio Pulixi: “I miei thriller raccontano la realtà (e amano le donne)”

Grazie a Piergiorgio Pulixi, il noir non è più maschiocentrico ma ha per protagoniste incredibili donne investigatrici. Nel nuovo romanzo parla di femminicidi, perché "i thriller devono raccontare la realtà"

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Sara Gambero

Giornalista esperta di Spettacolo e Lifestyle

Una laurea in Lettere Moderne con indirizzo Storia del Cinema. Appassionata di libri, film e del mare, ha fatto in modo che il lavoro coincidesse con le sue passioni. Scrive da vent’anni di televisione, celebrities, costume e trend. Sempre con un occhio critico e l'altro divertito.

Pubblicato: 5 Marzo 2024 22:37

Piergiorgio Pulixi, scrittore sardo diventato in questi ultimi anni uno dei migliori giallisti italiani,  ha cominciato a scrivere giovanissimo gialli nel collettivo Mama Sabot di Massimo Carlotto (“Ho avuto la fortuna di imparare dal migliore”) e grazie ai suoi investigatori – quasi tutti femminili – carismatici e affascinanti, i suoi libri hanno conquistato i lettori e reso la sua terra, la Sardegna, protagonista misteriosa e seducente.

Perché hai scelto proprio il genere thriller?
Credo risalga tutto a quando ero bambino e mio padre collezionava i gialli Mondadori, con quelle copertine un po’ macabre. Io ne ero affascinato, mosso anche dal fatto che non potevo leggerli. E come tutti i tabù, le cose proibite acquistano fascino. Questo ha fatto maturare l’interesse verso questo genere proibito allora e da grande mi ha fatto venir voglia di leggerlo e di scriverlo.

I tuoi libri sono pieni di ispettrici donne (Rosa Lopez, Mara Rais, Eva Croce, Clara Pontecorvo), diverse tra loro, ma ugualmente affascinanti e geniali. I caratteri femminili ti ispirano di più?
In primis c’era una necessità di equilibrare il genere poliziesco che è stato sempre, fin dalla sua nascita, “maschiocentrico”: il protagonista è sempre un uomo, sempre un commissario. Il problema è che perpetuando questa narrazione così maschilista, si finisce per non raccontare più la realtà, che vede invece le donne in posizioni sempre più apicali in ambienti fino pochi anni fa appannaggio degli uomini. Mi sembrava giusto che fossimo anche noi scrittori uomini a dare un segnale di cambiamento, di maggior adesione alla realtà. Poi c’è stata anche l’esigenza narrativa di affidarsi a dei personaggi che a differenza di quelli maschili, già iper-raccontati, avevano un potenziale più ampio: raccontare la psicologia di una donna a contatto con la criminalità, con le indagini di omicidi.

Come nasce un tuo libro thriller? Quando inizi a scrivere, hai già in testa storia e finale o si sviluppa tutto pagina dopo pagina?
Io sono fedele al “metodo Agatha Christie”: il romanzo si può (e deve) scrivere al contrario. Parto dalla fine, dai due personaggi principali: vittima e assassino. Non dall’ispettore, che è una costante matematica, ma da quelli che sono i più importanti. E inizio dalle domande fondamentali: chi ha ucciso chi e perché, in quali circostanze, per quale motivo, ci sono dei testimoni, i testimoni hanno parlato.. Piano piano vado a ritroso, ramificando la storia al contrario, finché non arrivo all’inizio. A quel punto ho tutta la trama costruita e posso iniziare a scrivere. In pratica mi muovo nella storia in maniera inversamente direzionale a come si muove l’investigatore.

La Sardegna fa spesso da scenario ai tuoi romanzi. La tua isola, così bella e selvaggia, dalla quale molti giovani si allontanano per trovare lavoro, tu l’hai resa protagonista. È stato programmato o è venuto istintivo?
Intanto quello che dici è verissimo: di questa continua emorragia di giovani dalla Sardegna al Continente parlo anche nel prossimo romanzo in uscita ad aprile, in cui la protagonista lascia la Sardegna per andare a Milano. Io sono d’accordo con quello che diceva Camilleri: “Non c’è nulla di più complesso per uno scrittore che raccontare la propria terra, le proprie radici”. L’amore è come una lente deformante, qualsiasi sia l’oggetto del tuo amore, non lo vedrai mai per quello che è, perché il sentimento inficia la visione. Per me la Sardegna era proprio così: finché ci vivevo, ero lì con lei, mi era impossibile raccontarla e descriverla. Per anni ho letteralmente messo il mare tra me e la mia terra. Solo dopo 10 anni che vivevo lontano da lei, ho capito come raccontarla. Avevo abbastanza freddezza e distacco per poterlo fare e quando ho iniziato l’Isola delle anime l’intento era proprio di farla scoprire a più lettori possibili, non nella sua superficialità – le coste paradisiache, il mare cristallino, le città della Costa Smeralda-,  ma nella sua essenza più verace e profonda.

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Le indagini di Mara Rais ed Eva Croce

Nei tuoi libri c’è molto della tradizione e del folklore sardo. Superstizione ancestrale, anche brutale, che fa parte del Dna di tanti tuoi personaggi. In Sardegna è ancora così forte?
È ancora radicata in alcune zone delle Barbagia, che per conformazione geologica è un territorio che è stato nel tempo molto restio ai cambiamenti. Le tradizioni in quelle zone sono rimaste più radicate e le vecchie generazioni, gli anziani, ne sono ancora portatori. Il problema è che si stanno perdendo degli anelli in questa tradizione del sapere antico, perché molti giovani stanno abbandonando l’isola e non ci sono più persone cui demandare questo sapere antico. Il rischio è che finiscano per essere perpetuate solo nel loro aspetto folkloristico e non ne loro valore intrinseco e ontologico, che è quello reale e naturale.

La cronaca che leggiamo quotidianamente (penso al terribile caso, recente, di Altavilla Milicia) supera la sceneggiatura del più cupo e splatter dei libri thriller. Quanto ti condiziona la cronaca per i tuoi libri?
Sempre di più. Il noir, in quanto genere di strada, è sempre stato, fin dalla sua nascita, legato alla realtà, dalla quale trae linfa letteraria. Oggi noi scrittori abbiamo il dovere morale di creare storie intriganti ma al tempo stesso di raccontare la realtà che stiamo attraversando come se ne fossimo testimoni. Questo genere è figlio del romanzo naturalista francese, di un certo tipo di verismo, ma anche della cronaca giornalistica. Se per un certo verso è  complesso realizzare inchieste giornalistiche per la difficoltà di raccontare in poche pagine alcuni drammi, il romanzo ha invece quello spazio necessario e noi scrittori dobbiamo sfruttarlo. Il mio nuovo romanzo parla di femminicidi, di violenza di genere, e per questo diventa anche testimone dei tempi, perché si parla di alcuni casi di cronaca nera recente. I poliziotti fanno menzione proprio al caso di Altavilla Milicia, di cui parlavi, come se la realtà entrasse nel romanzo.

Se uno dei tuoi libri diventasse un film, da chi ti piacerebbe venisse diretto? E quali attori vedresti bene nei ruoli di Vito Strega, Mara ed Eva?
Tra i registi italiani mi viene in mente Stefano Sollima, che credo potrebbe fare un ottimo lavoro. Pensando in grande, ti dico  David Fincher, che mi ha sempre colpito molto, e David Lynch: i miei romanzi hanno tutti un’atmosfera “lynchiana” e per me Twin Peaks resta un paradigma del genere. Per quanto riguarda gli attori in realtà non ci penso mai, anche per non restare influenzato, ma da alcuni sondaggi dei miei lettori sono venuti fuori i nomi di Miriam Leone per Eva Croce e Geppi Cucciari per Mara Rais. Per Vito Strega invece non sono ancora riusciti a identificare un attore.

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Hai scritto anche un libro per ragazzi (Il Mistero dei bambini d’ombra). Oggi i giovani leggono poco, distratti da internet e dai social: quale consiglio daresti per appassionarli alla lettura?
Il metodo migliori per innamorarsi è trovare la persona giusta che ti faccia innamorare, che rispecchi i tuoi ideali, i tuoi gusti. Più che di libri, parlerei di amore per le storie: non dobbiamo avere la presunzione di arrivare subito ai libri. Questo è un mondo che va ad una velocità incredibile, ci sono degli studi che hanno dimostrato che i social hanno creato un abbattimento tale della soglia dell’attenzione che oggi i pesciolini rossi negli acquari riescono a concentrarsi su un obiettivo per 6 secondi, noi esseri umani solo per 4, poi l’attenzione salta. Per questo bisogna trovare qualcosa che li in interessi tantissimo, che li faccia innamorare. Che l’innamoramento passi attraverso un fumetto, un videogioco, un serie, non è importante. Tutti noi dobbiamo cominciare a un tipo di letteratura più espansa che coinvolga altri mezzi. Poi tutto può e deve convergere sulla letteratura e i libri. Ma non può partire da quella, sarebbe troppo ambizioso visti i tempi di oggi. Se un ragazzo si innamora di un manga,  l’insegnante o il genitore dovrebbe essere abbastanza bravo da fargli capire che quelle tematiche vengono toccate anche da un film e da un libro. Ma va accompagnato lentamente, perché è abituato a una società multitasking in cui mentre gioca alla play nel frattempo telefona, messaggia, e non riesce a dedicare l’attenzione ad un unico mezzo, il libro. Noi scrittori dobbiamo anche scrivere in maniera più accattivante, veloce, avere delle storie che siano ibride nello stile, che ricordino il ritmo delle serie tv o dei videogiochi e dobbiamo rendere il romanzo sempre più interattivo, ovvero riuscire a far empatizzare i lettori con i nostri personaggi. Questo è il segreto per restare dentro la storia, per non annoiarsi. È una sfida che va vinta sin dalla prima pagina del romanzo: catturare il ragazzo dalla prima riga e tenerlo dentro alla storia fino alla fine.

Sei già al lavoro su un nuovo libro della serie di Eva Croce, Mara Rais e Vito Strega?
Sì, si intitola Per un ora d’amore e uscirà il 16 aprile. È una storia ambientata a Milano, che parla di come questa città si sia incattivita. Racconta soprattutto come il nostro sia sempre più un paese che odia le donne. Strega, Mara, Clara e Pavan hanno a che fare con un cacciatore di donne: un fantasma, un uomo di cui non conoscono l’identità e loro devono capire perché uccide, se ci sia un progetto, una filosofia dietro questi omicidi. Questo libro è stato un modo per raccontare ciò che sta succedendo oggi in Italia.