La domanda che mi viene fatta più spesso dagli amici o dai conoscenti è quale sia il metodo con il quale io scelga le persone da intervistare, se segua una precisa indicazione redazionale oppure no. La verità è che, tranne qualche caso sporadico di richieste legate a qualche evento particolare, ho sempre deciso di raccontare persone che sapevo sarebbero riuscite o ad emozionare o ad insegnare qualcosa alle lettrici.
Jleana Valentino mi è capitata nella timeline di Instagram dopo aver attivato l’opzione segui per l’hashtag #kickboxinggirl. Chi mi conosce lo sa amo questo sport, avendolo praticato a Pisa per alcuni anni, seguita dal maestro Roberto Fragale, atleta e arbitro mondiale, e amo soprattutto le donne che lo praticano. Ci voleva coraggio, faccia tosta e una grande sicurezza in sé stesse per entrare in una palestra frequentata quasi esclusivamente da maschi, prima che mettere i guantoni diventasse una moda, e tirare un calcio ad uncino fosse pazzescamente “instagrammabile”.
Ed è così che giorno dopo giorno ho cominciato a seguire questa ragazza dai capelli rasati, dai muscoli definiti, ma dallo sguardo dolce, potente e femminile allo stesso tempo, ed ho deciso di intervistarla. Ero certa che dietro alla campionessa mondiale di shootboxing ci fosse una storia meravigliosa da raccontare. In esclusiva per le lettrici di Di Lei.
Chi è Jleana Valentino? Ci vuoi spiegare l’origine del tuo nickname Nikita?
Jleana è una donna di 32 anni che ha lo spirito intatto della ragazzina che a 19 anni si presentò in palestra per la prima volta. Ero con il maestro con il quale ho cominciato, ero alle prime armi, erano i miei primi sparring (forma di allenamento sportivo praticata con un partner che incassa colpi) in vista della Fiera del fitness a Rimini, non avevo una grande competenza tecnica, di sicuro non come oggi. Durante un clinch (nella Muay Thai oltre a colpire con gli arti si può anche chiudere la distanza e lottare nel corpo a corpo in piedi. Questo atto si chiama “clinch”) non riuscivo a liberarmi in maniera tecnica, presa dal nervosismo e forse dalla rabbia, ho iniziato a morsicare il mio sparring partner nella spalla, a tal punto che mi ha dovuta scuotere un po’ per farmi riprendere dalla trance emotiva in cui ero finita. Avevo gli occhi tipo psyco e la faccia da serial killer, in palestra hanno iniziato a prendermi in giro per la mia reazione esagitata. Il caso ha voluto che proprio in quei giorni ritrasmettessero la serie tv Nikita, tratta dal film del 1990, e Christian Fabiano, il mio primo maestro, mi ha ribattezzato così. Nikita è nata a Novara nella palestra Fight Gym.
Quando ti sei avvicinata per la prima volta alle arti marziali ed hai capito che era il tuo sport?
Sono sempre stata vicina alle arti marziali, mio zio materno praticava Kung Fu, e sognava di aprire una palestra, io ero andata anche da lui a provare, ma mi annoiava. Lui molto più filosofico, io più sanguigna, alla fine della lezione chiedevo sempre: “Ok quando ci picchiamo?” Sono cresciuta con tanti cugini maschi e ci siamo picchiati anche spesso, ho sempre avuto questo tipo di passione per la fisicità. In palestra sono arrivata tardi, per una serie di motivazioni, ma tra lo zio, la visione di Rocky, e l’amore per la boxe sentivo che quella era la mia strada. Solo che mia madre non ne voleva sapere di iscrivermi, era contraria, non la riteneva adatta ad una donna. Ho dovuto aspettare la maggiore età e dopo aver visto una sera su Italia 1 la manifestazione di sport da combattimento Octagon, sono andata alla ricerca di una palestra che praticasse la Muay Thai. La dritta mi arriva dal mio ex fidanzato che mi indica la palestra giusta, fatta la lezione di prova arriva quello che poi diventerà il mio maestro (Christian Fabiano) ed io guardandolo negli occhi gli dico: “Mi sono annoiata, voglio combattere”, lui mi risponde che tutti venivano nella palestra con quest’idea, ma solo pochi arrivavano fino in fondo. Dopo sei mesi io ho fatto il mio primo match alla Fiera del Fitness.
Nel film Billy Elliot (storia di un ragazzino proveniente da una situazione disagiata che viene scelto per frequentare l’accademia più importante del balletto a Londra) alla domanda su cosa prova quando danza, risponde: “Io sono elettricità”. Tu cosa provi quando sali sul ring? Quando senti la musica partire e sai che dopo poco inizierà l’incontro?
Conosco molto bene il film, l’ho visto innumerevoli volte, perché è una storia che fa sognare. Mi ritrovo molto nelle parole di Billy, perché anche io mi sento elettricità quando salgo sul ring, mi sento esplosiva, mi emoziono tantissimo anche solo a parlarne, è difficile da descrivere realmente quello che provo. Quando mi alleno mi lamento di tutto, ma la verità è che quello che si prova quando stai per salire quelle tre scalette, o quando fai la passerella è indescrivibile, mi trema la voce. Io mi sento una bomba, mi sento una potenza, carica di elettricità. Per avere la misura corretta delle mie emozioni dovrei farti entrare dentro di me.
Ti definisci una guerriera, anche io lo sono stata per un po’ sul ring, ma soprattutto lo sono nella vita. Tu che tipo di guerriera sei? Contro cosa combatti?
Combatto per me stessa, soprattutto contro i pregiudizi, all’inizio forse anche per dimostrare a tutti quelli che dicevano che non ce l’avrei fatta, di che pasta ero. La femminilità non si misura nello sport che fai, io sono una guerriera, ma non rinuncio alle mie unghie lunghe e curate appena finito un match. Sfatiamo questi luoghi comuni che vogliono le lottatrici dei maschi mancati. L’essere l’unica donna in palestra ti sprona a tirare fuori la grinta per dimostrare di non essere da meno degli altri, anzi le donne sono più guerriere degli uomini, le donne ci nascono guerriere, per una serie di motivi, e lo dimostrano anche gli incontri femminili che sono molto più agguerriti. Io combatto per avere una vita diversa: non credo sarei riuscita a fare altro, lo sport che pratico mi fa sentire viva. Sono la dimostrazione che si può lottare per vivere il proprio sogno anche contro gli schemi imposti dalla società. Io ero una guerriera anche prima di combattere, il ring mi ha dato la disciplina.
Quando io ho iniziato la kick eravamo solo due donne in una palestra di uomini, era il 1995, adesso ci sono tantissime ragazze che lo praticano e magari sognano di diventare come te. Vuoi raccontare la tua routine di allenamento? Che prezzo ha essere una campionessa mondiale?
Anche quando ho iniziato io eravamo davvero poche, adesso sicuramente sono molte di più quelle che lo praticano, ed io auguro loro di raggiungere anche obiettivi migliori dei miei, ma la verità è che il prezzo che si paga è altissimo. Il nostro non è un lavoro come gli altri, in realtà per lo stato italiano non è nemmeno considerato un lavoro. Io vivo di rimborsi spese e come me tantissimi altri atleti che praticano i cosiddetti sport minori, che non vengono riconosciuti come agonistici, ma fanno parte dei dilettanti. Se a questo aggiungi il fatto che sono donna, raggiungiamo il menù completo.
A volte perdi anche lo stimolo e devi far leva sui tuoi ricordi, per rammentare perché hai iniziato a combattere, e quello che provi quando combatti, perché il prezzo da pagare in termini di vita sociale è elevato. Io mi alleno a tavola, devo mangiare sano, devo andare a dormire presto, non posso fare serata, perché ad un cibo scadente corrisponde un allenamento scadente, la mancanza di sonno produce lo stesso effetto. Quando sono in preparazione mi alleno anche due volte al giorno, e sono così stanca da non riuscire quasi a parlare. Però nonostante tutti i sacrifici se chiudo gli occhi non riesco ad immaginare un percorso diverso da questo, e se ancora oggi dopo tutti questi anni, anche solo il parlarne con te al telefono mi fa tremare la voce, vuol dire che era la scelta giusta per me.
Nel 2018 sei tornata dal Giappone con il titolo mondiale in tasca, che effetto ti ha fatto vincere?
È stato il momento più bello della mia carriera, se ci penso ancora oggi mi emoziono tantissimo. Ho desiderato così tanto quella vittoria che non l’avrei barattata con nulla al mondo, ci sono certe cose che davvero non hanno prezzo. Durante quel periodo ho fatto innumerevoli sacrifici, ho combattuto con un peso che non era il mio, (nei combattimenti le categorie vanno per peso) con il ciclo, ho dovuto perdere molti chili in una sola notte dovuti alla pressurizzazione del volo, ma l’ho voluto talmente tanto che alla bilancia il giorno dopo avevo raggiunto l’obiettivo. A quel punto mi sono sentita una montagna, mi sono sentita invincibile. Ho combattuto tre match, ogni match erano tre round da tre minuti, li ho vinti uno dopo l’altro con le atlete più forti del ranking giapponese. Sognavo quella cintura nelle mie mani, e alla fine i miei sacrifici sono stati ripagati. Io sul ring, la bandiera italiana e il nostro inno, se ci penso mi commuovo anche adesso. È stato un miracolo. Il mio personale miracolo.
Che cosa c’è nel futuro di Nikita?
Non lo so, perché non so se ho fatto la scelta giusta per il mio futuro, so che però ho fatto una scelta che mi ha permesso di provare delle emozioni che pochi nella vita possono provare. Però cosa io stia costruendo di solido non lo so. Viviamo in un paese che non valorizza questa tipologia di atleti, io per lo stato non sono nessuno, non ho la maternità, vivo di rimborsi spese, se un domani dovessi decidere di avere un figlio, come potrei vivere questo tipo di scelta sapendo di non poter più allenarmi senza una copertura lavorativa? Il mio più grande rammarico rimane quello di non essere riuscita a trasferirmi in un paese che valorizzi questo genere di sport, perché probabilmente avrei potuto dare molto di più. Uno stato che ti costringe a scegliere tra il desiderio di avere un figlio e quello di diventare una campionessa mondiale, è uno stato che fa le differenze tra i suoi atleti. Come una madre con i suoi stessi figli. Ci sono figli. E figliastri. E lo dico ragionando per ipotesi e guardando al futuro, perché in questo momento non ho una relazione così stabile da farmi desiderare di diventare madre.
In Italia purtroppo si registrano tantissime aggressioni alle donne, che spesso sfociano in omicidi. Pensi che le cose potrebbero cambiare se le mamme invece di spingere le proprie figlie a fare danza le iscrivessero ad un corso di difesa personale?
Non è solo Italia, ma è un problema a livello mondiale. Per alcuni uomini una gonna corta è sinonimo di ragazza facile, e per sentirsi in diritto di toccare, stuprare, uccidere. Detto questo io sono convinta che non solo le donne dovrebbero iscriversi in palestra per sentirsi più sicure, ma anche gli uomini per imparare la disciplina dello sport. Nelle nostre palestre impari il rispetto, non solo dell’avversario, ma del genere umano. Gli sport da combattimento sono considerati violenti e per questo mandati in tv in seconda serata. Ma diciamo la verità, è molto più violento a livello psicologico un telegiornale che parla di uomini, mariti e padri che uccidono violentano e stuprano donne, moglie e figli, che il sangue che fuoriesce da un cazzotto dato sul ring. Noi alla fine del gong ci abbracciamo. Loro alla fine del tg, spesso, sono morte.
Carriera di Jleana Nikita Valentino Sponsor Sapfightingstyle
- Novara seguita da CHRISTIAN FABIANO Palestra FIGHT GYM
- Traferita in Grecia dal maestro di MIKE ZAMBIDIS MALLIOS TEAM di Atene
- Milano dai fratelli PETROSYAN
- America (California ) da JASON MANLY alla GracieFighterDojo
- Milano alla KICK&PUNCH di ANGELO VALENTE
- Alle Canarie nuovamente dal mio primo maestro CHRISTIAN Fabiano
- Friuli dove il mio team di rappresentanza è il team SATORI GORIZIA del MAESTRO ALFIO ROMANUT
- Team Satori seguita principalmente da GIUSEPPE PANZA (che mi allena su ordini del maestro) e mi appoggio al TEAM LA FENICE per dedicarmi alla lotta mi segue principalmente FLORIAN DOSKJA che è il mio sparring partner