“Tuo padre è gay? Che te ne frega, è la vita”: intolleranze elementari da superare

Elisabetta Darida ci parla del suo libro, "Intolleranze elementari": 20 racconti per riflettere sul rifiuto della diversità che disturba

Foto di Federica Cislaghi

Federica Cislaghi

Royal e Lifestyle Specialist

Dopo il dottorato in filosofia, decide di fare della scrittura una professione. Si specializza così nel raccontare la cronaca rosa, i vizi e le virtù dei Reali, i segreti del mondo dello spettacolo e della televisione.

Donne maltrattate che si ribellano e si liberano o soccombono, donne tradite, xenofobia, omofobia, amori discriminati, vite straniere che cercano di reinventarsi, famiglie sul punto di scoppiare tra non detti e tradimenti, genitori contro figli e figli contro genitori, individui che tentano di trovare il proprio posto nel mondo: queste le realtà affrontate, ora con ironia ora con gravità, nel libro Intolleranze elementari, di Elisabetta Darida, pubblicato da Edizioni L’Erudita e proposto per l’edizione 2022 del Premio Strega.

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Venti racconti brevi, apparentemente indipendenti gli uni dagli altri – si possono anche leggere in ordine sparso senza seguire il numero delle pagine – ma in realtà sono tutti collegati: ciascun protagonista, nel suo monologo, cita dei nomi di persone che conosce/ama/detesta, e andando avanti si scopre che quei nomi sono quelli di altri protagonisti che a loro volta citano dei nomi, ecc….fino a formare una ragnatela di relazioni più o meno strette, più o meno lasche, per cui sono tutti collegati. Come nella vita.

Venti racconti per commuoversi, inorridire, sdegnarsi ma anche sorridere e sempre riflettere intorno al rifiuto dell’altro e alla diversità che disturba. A noi Elisabetta Darida ci ha spiegato cosa sono queste intolleranze elementari, perché ci avvelenano la vita e come possiamo cercare di superarle.

Cosa sono le “intolleranze elementari” da cui prende il titolo il tuo libro?
Ovviamente c’è un gioco di parole. Per intolleranze elementari si intendono quelle piccole intolleranze che facciamo subire tutti i giorni agli altri e quelle che tutti gli altri fanno subire a noi. Sono quei piccoli gesti di insofferenza, di sopportazione che apparentemente sono innocui e il più delle volte non provocano gravi tragedie, perché sono le classiche frasi fatte, il rifiuto della società che cambia, i cliché, i luoghi comuni. Per esempio nel libro scrivo di genitori che non comprendono i figli che non vogliono seguire le loro orme, di donne maltrattate che si ribellano e ce la fanno, ma anche di quelle che si ribellano e non ce la fanno, di amori contrastati per la differenza di età, racconto il caso di un uomo anziano vedovo che è innamorato e ricambiato da una fanciulla giovanissima ma subisce la guerra dei figli. Sono queste le intolleranze, per lo più le piccole cose di tutti i giorni che avvelenano la vita sia a chi le subisce che a chi le infligge perché è gente che si lamenta e non è felice.

Che cosa racconti nel tuo libro Intolleranze elementari?
Le storie contenute nel mio libro sono per la maggior parte ironiche. Come quello della donna che scopre il tradimento del marito e lo butta fuori casa. C’è la storia dello straniero licenziato, secondo lui ingiustamente, ma in realtà giustamente, perché è un badante fedifrago. Racconto anche di omofobia, di xenofobia, ma sempre col sorriso, un sorriso che però vuol far riflettere. Come dicevo, sono storie di intolleranze elementari perché sono piccole e sembrano non fare danno. Ma in realtà ne fanno, perché le parole pesano. Infatti, quello che diciamo, anche se non ha una conseguenza diretta, alimenta un pensiero negativo. Come le classiche categorizzazione, pensiamo a quando diciamo: ‘sono tutti ladri in quella categoria di persone’. È un’affermazione apparentemente banale ma sedimenta e crea negatività, pronta a scoppiare o a creare disagi profondi appena ci sono tensioni.
Non sono comunque tutti racconti leggeri. Ci sono storie di non integrazione, dal professore rumeno che in Italia pulisce le scale che non riesce a inserirsi nella nostra società, perché non glielo permettono, a quello di Adila, pakistana nata in Italia, alla ricerca di una vita “normale” fatta di studio, sport, amici e un amore da scegliere senza imposizioni, ma è la famiglia che non glielo consente perché non vuole che abbandoni tradizioni che in realtà non le appartengono.
Il filo rosso che tiene insieme tutte queste storie è da parte dei protagonisti la ricerca della libertà, cioè di poter scegliere della propria vita. L’intolleranza è quindi l’arroganza di scegliere al posto degli altri: decidono i genitori se i figli si possono integrare nella società, decide il figlio se il genitore anziano può innamorarsi ancora.

Queste intolleranze da dove nascono? Dai social, da una società poco colta…?
I social hanno un ruolo fondamentale, perché da un lato consentono di veicolare le informazioni e di diffonderle in maniera capillare, raggiungendo chiunque. Dall’altro, aumentano i rischi riguardo alla trasmissione di notizie non controllate. Inoltre, è più facile relazionarsi con un numero maggiore di persone, ma per contro si è anche più esposti a ondate di aggressione per lo più verbale. Diciamo che influiscono sia positivamente che negativamente: si raggiungono più persone, anche famose e un tempo inaccessibili, ma questa accessibilità può essere utilizzata in modo aggressivo. Non per questo comunque condannerei i social, piuttosto è la scarsa sensibilità con cui molte volte vengono utilizzati a dover essere condannata.

C’è un modo per superare le intolleranze?
Bella domanda [ride ndr]. Sicuramente, sono fondamentali l’ascolto e la riflessione. Mi sembra che viviamo in un’epoca di tanta parola e di poco ascolto. Mentre è importante fermarsi e prestare attenzione agli altri. Se non si ascoltano le motivazioni, i sentimenti, le emozioni di chi ci sta accanto, non è possibile capire il perché delle loro scelte e delle loro azioni. E nemmeno potremmo arrivare a comprendere che forse hanno ragione su tanti aspetti. Ragionando per cliché, tutto ciò che si discosta dalle frasi fatte naturalmente è fastidioso. Ma, come ho detto, se ci si comincia a riflettere, si arriva a comprendere il pensiero degli altri, poi si può rimanere fermi nelle proprie convinzioni, ma almeno si è fatto lo sforzo di andare incontro a chi ci si trova di fronte, senza giudicarlo prima. Oppure invece si cambia idea.

Tra l’altro si può essere anche vittime delle proprie intolleranze, a volte in modo inconsapevole
Certo. Nel libro ci sono persone che non cambiano idea. Come la Signora Castellini Guarneri, una donna anziana che non riconosce più il quartiere e il suo mondo. Altri invece riflettendo, mettono in discussione le proprie convinzioni. È il caso di Adriano, professore universitario che all’inizio non comprende le aspirazioni dei figli, uno vuole fare il fumettista e l’altro l’attore. Poi con l’aiuto anche della moglie, supera questo suo smarrimento e accetta che i figli facciano liberamente le loro scelte. Oppure c’è il racconto di Wladimiro che scopre che suo padre è gay e vive questo fatto come una tragedia. Alla fine chiede aiuto a un’amica, perché la nonna non ha capito nulla, la madre non è chiaro se ne è a conoscenza, anche perché è separata dal marito. L’unica che può aiutarlo è questa compagna di scuola che ha due mamme e che gli dici: ‘Scialla, che te ne frega con chi va a letto. È la vita, sono fatti suoi […] Pensa che magari lui te lo vorrebbe dire e non c’ha il coraggio perché pensa che tu ti schifi e non gli vuoi più bene’. Alla fine lui ci riflette e capisce che suo padre è felice così e quindi va bene così.

Elisabetta Darida
Fonte: Ufficio stampa
Elisabetta Darida