Era mio nipote. Dopo il femminicidio di mia sorella, è mio figlio

Damiano Rizzi ha adottato il figlio della sorella uccisa nel 2013. Ora chiede allo Stato di riconoscere e sostenere gli orfani di femminicidio

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Pubblicato: 22 Aprile 2025 09:50

“Aveva due anni e mezzo. Era piccolo, disorientato, e stringeva tra le mani un sacchetto di plastica. Dentro c’era tutto ciò che gli era rimasto: poco più di niente. Quando l’ho visto ho capito che non lo avrei mai lasciato, per nessuna ragione al mondo.”

Damiano Rizzi non ha scelto di diventare padre. È stato il dolore a scegliere per lui. Psicologo, psicoterapeuta, presidente della Fondazione Soleterre, da quel giorno di luglio 2013 la sua vita si è divisa tra ciò che era prima e ciò che è stato dopo: l’omicidio di sua sorella Tiziana, uccisa a coltellate dall’ex marito, e lo sguardo di suo nipote rimasto solo al mondo. Un femminicidio avvenuto quando questa parola non era nemmeno inserita nel nostro ordinamento. Un lutto violento, improvviso, che ha colpito lui e la sua famiglia nel cuore, spezzando vite e lasciando un bambino piccolo senza madre né padre.

“Quel bambino non aveva più nulla. Neanche un pigiama. Ma aveva me.” Questa è la storia di un uomo che ha deciso di restare. E di mettere radici nel vuoto per trasformarlo in casa.

Damiano Rizzi nel 2022 con il Premio Campione dei City Angels
Fonte: IPA
Damiano Rizzi nel 2022 con il Premio Campione dei City Angels

Damiano Rizzi è uno psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Soleterre. Ma soprattutto è il fratello di Tiziana, uccisa nel 2013 dall’ex marito. E da quel giorno è anche il padre adottivo di suo nipote. Una storia di dolore, resilienza e amore che chiede giustizia e verità per tutti gli orfani di femminicidio. Perché chi resta, oggi in Italia, resta spesso solo.

Cosa ricorda del giorno in cui ha appreso della morte di sua sorella Tiziana?
Era luglio, faceva caldo. Ero a Roma per un incontro con Maurizio Costanzo, che per me era più di un amico. Nella notte, una telefonata di mia madre mi ha svegliato: ‘Torna subito a casa, Tiziana è stata uccisa.“ La mente rifiutava la notizia. Ma il corpo ha fatto da solo: ha rifatto la valigia e ha preso il primo treno per tornare in Lombardia. I giorni successivi sono stati surreali: andare a riconoscere il cadavere, accompagnare mia madre a scegliere la bara per una figlia di 36 anni. Il posto di Tiziana non era una bara. Non lo sarà mai.

Cosa ha provato la prima volta che ha rivisto suo nipote?
Aveva due anni e mezzo. Era piccolo, disorientato, e stringeva tra le mani un sacchetto di plastica. Dentro c’era tutto ciò che gli era rimasto. Da quel niente siamo ripartiti. Lo portavo ovunque con me, gli raccontavo storie, lo facevo ridere. In una sola notte aveva perso tutto: la mamma, il papà, la casa, i giochi. Riuscii a recuperare dalla casa sotto sequestro un peluche, quel peluche è ancora con noi. È il simbolo della nostra rinascita.

Quando ha capito che lo avrebbe adottato?
Non abbiamo avuto dubbi. Io, mia moglie e mia figlia sapevamo che era l’unica cosa da fare. Durante i colloqui per l’adozione, un’assistente sociale mi disse: “Lei si sta caricando uno zaino pieno di sassi”. Aveva ragione: è stato difficile. Ma anche straordinariamente umano. Abbiamo affrontato tante salite, e continueremo a farlo. Come ogni famiglia. Come ogni essere umano che sceglie l’amore prima di tutto.

Cosa fa lo Stato italiano quando una donna viene uccisa?
Nel 2013 il termine ‘femminicidio’ non era neanche nel nostro codice penale. L’unico intervento dello Stato fu il processo all’assassino e la procedura di adozione. Tutto il resto è rimasto sulle nostre spalle. La legge dovrebbe proteggere, non solo punire. Ma la sua assenza spesso crea nuovi ostacoli.

Da dove nasce “Tiziana Vive”?
Tiziana Vive è nata per tenere vivo il suo nome e dare voce a chi vive relazioni violente. Non ho creato una nuova associazione dedicata solo agli orfani di femminicidio, ma ho iniziato a raccogliere le loro storie. In Italia si stimano oltre 2.000 orfani, ma non esiste un registro. Non sappiamo chi sono, dove sono, cosa serve loro.

Quali sono oggi le principali lacune del sistema?
Il primo vuoto è l’assenza di un registro ufficiale. Il secondo è il sostegno psicologico e scolastico: non esiste un fondo operativo funzionante. Nel 2018 è stato istituito un fondo, ma è ancora inaccessibile o bloccato dalla burocrazia. Abbiamo una legge, ma nessun mezzo per attuarla.

È in contatto con altre famiglie?
Sì. E ciò che le accomuna è la solitudine. Un senso profondo di abbandono da parte dello Stato. Da psicoterapeuta so che il trauma non elaborato si trasmette. E invece lo Stato continua a ignorarlo.

Come si sopravvive a un dolore così?
Non ho ricette. Io ho capito che per non soccombere dovevo essere più grande del mio dolore. Per dieci anni mi sono svegliato alle quattro del mattino, ogni giorno. Era il mio modo per riprendermi il tempo che ci avevano rubato. Chi ha ucciso mia sorella mi ha tolto troppo. Non gli permetterò di togliermi anche il futuro.

Se potesse mandare un messaggio alle istituzioni?
Serve un tavolo interministeriale permanente, come un pronto soccorso h24, luogo dove si lavori ogni giorno per gli orfani di femminicidio, chiedo: un registro nazionale, un fondo realmente accessibile. Un tavolo di lavoro che non si riunisca una volta l’anno, ma che agisca ogni giorno. Ogni bambino orfano di femminicidio porta un’eredità di dolore che non ha scelto. Non possiamo più permetterci il silenzio.

C’è sempre chi resta. Resta a svuotare la casa, a lavare via il sangue, a rispondere a domande che non avranno mai risposte. Resta a spiegare a un bambino che la mamma non tornerà. Resta a ricominciare con niente in mano, tranne l’amore. E se lo Stato non si accorge di chi resta, allora non ha capito nulla. Perché chi resta è l’unico futuro possibile.

CHI È DAMIANO RIZZI
Psicologo, Psicoterapeuta dell’età evolutiva, Psico-Oncologo Specializzato in Psicoterapia del Bambino e dell’Adolescente (PSIBA, Milano), lavora da oltre 15 anni presso il Dipartimento Salute della Donna e del Bambino della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, dove coordina le attività di 12 psicologi della Fondazione Soleterre (ONG di cui è presidente e fondatore), attivi in 19 ospedali nel mondo. È cultore della materia in Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Pavia, membro dell’Unità di Ricerca sul Trauma infantile dell’Università Cattolica di Milano e parte di SIPO, AIEOP e IPOS. Nel 2023 ha fondato l’associazione “Tiziana Vive” per la prevenzione della violenza di genere.
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