La strage di Mestre, il dolore di chi aspetta e di chi non tornerà più

"Una tragedia di giovani, se non giovanissimi, salvo qualche adulto", l'hanno definita i soccorritori

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Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Ieri sera mio figlio doveva tornare dalla stazione di Padova con il pullman, dopo una giornata passata nella sede di ingegneria, come ogni giorno da quando ha iniziato l’università. Aveva il bus alle 18:50 dalla stazione, il 53E, per una serie di motivi, non ultimo il fatto che non abbai trovato il punto di partenza, lo ha perso, e io sono partita da Stra per recuperarlo, una mezz’oretta per raccoglierlo e tornare a casa. Non ho fatto in tempo a posare la borsa, che sui social ho letto la notizia della tragedia di Mestre. Erano le 20:05.  Parlavano di un mezzo di linea, ACTV, la stessa che mio figlio e tanti dei suoi compagni di scuola utilizzano  per seguire le lezioni e spostarsi senza dover pesare sui genitori, e ho iniziato il giro delle telefonate per sapere se fossero tornati a casa. Solo successivamente si scoprirà che il mezzo precipitato era una navetta utilizzata da un campeggio per trasportare i turisti nelle zone limitrofe, infatti il bollettino delle vittime parlerà di strage di turisti stranieri, con un unico morto italiano accertato, l’autista.

Per le successive ore sono rimasta pietrificata davanti allo schermo per ascoltare gli aggiornamenti, con un occhio sulla tv e l’altro aperto sulle chat di Whatsapp, una delle quali con mia figlia che si trova a Venezia per studio e che mi raccontava di come sulle chat dell’università i ragazzi si cercassero per capire se per caso qualcuno fosse su quella maledetta corsa. E mi sono messa nei panni di chi, ieri sera, avrà visto uscire dalla porta di casa un proprio familiare, per non vederlo rientrare mai più, un dolore che quasi fa scoppiare il cuore.

Nessun segno di frenata, un volo di dieci metri nel vuoto e nel buio, poi l’impatto e le fiamme, così sono morte 21 persone, e altrettante sono ricoverate nei vari ospedali di zona, che sono stati subito allertati e messi a disposizione dei soccorsi. Vite spezzate così, mentre facevano ritorno al camping Hu, da dove erano partiti, dopo una giornata passata a scoprire le bellezze venete. Chissà la felicità, chissà la gioia e lo stupore di vedere Venezia per la prima volta, chissà quante corse, quanti sorrisi, chissà che gioia, e poi un epilogo così tragico da non riuscire nemmeno ad immaginarselo da quanto fa male. Perché davvero “la vita è un brivido che vola via”. Quanti di noi ieri sera davanti a quelle devastanti immagini ha pensato che fosse proprio così l’inferno in terra, un groviglio di lamiere, le fiamme che si alzano, le urla, il sangue, la devastazione dei corpi e dell’anima e in un attimo tutto quello che è stato, non sarà mai più. Perché tutti potevamo essere su quel bus, è come se la morte ti girasse intorno, ti guardasse dai vetri della tragedia, a ricordati quanto tu sia fortunato ad essere ancora vivo, o semplicemente per farti capire quanto la mania del controllo, di cui soffro, non serva a niente, perché il destino è quella cosa che arriva mentre tu sei intento a fare tutt’altro, magari stai pensando alla cena da preparare, ai giochi da fare con i tuoi figli, e sei seduto su quella seggiolina, mentre aspetti di arrivare a destinazione, e poi all’improvviso tutto finisce, ed è solo buio intorno a te.

Mestre, tragedia: pullman si ribalta e prende fuoco
Fonte: Ansa
Mestre, tragedia: pullman si ribalta e prende fuoco

Nella conta di chi sopravviverà ci sono famiglie distrutte, bambini che non diventeranno mai grandi, adolescenti che non vedranno più gli amici, sogni spezzati, madri che non potranno più accarezzare i loro figli, per una tragica maledetta fatalità, l’appuntamento con un destino infame, che prima ti ha illuso e poi ti ha tolto tutto, lasciandoti inerme su quell’asfalto. Ma c’è chi ieri sera di fronte all’apocalisse non si è tirato indietro, mentre in cielo si alzavano fiamme ed elicotteri, mentre le sirene delle ambulanze urlavano tutta la disperazione del momento, due uomini dopo aver sentito il boato della caduta del bus, sono usciti dalla loro casa e si sono lanciati dentro il fuoco per salvare quante più persone possibile, riuscendo a portarne in salvo quattro, prima dell’arrivo dei pompieri.

Loro sono Godstime Erheneden di 30 anni e Boubacar Tourè di 27, entrambi giovani padri, che senza pensarci sono scesi in strada per aiutare, e quando hanno sentito una donna gridare: “My daughter, my daughter”, si sono buttati tra le fiamme trovando questa bambina, di soli due anni, e stringendola al corpo sono riusciti a tirarla fuori da quell’inferno, ancora in vita. Non si sono girati dall’altra parte, non hanno realizzato video da mettere sui social, hanno messo a repentaglio la loro stessa esistenza per salvare quella di sconosciuti, perché il bisogno di rendersi utili è stato più forte di qualsiasi altro sentimento. Anche della paura. E allora chiamiamoli con il loro nome, perché no, questi non sono semplicemente due uomini, sono due eroi.