I figli non devono essere i migliori, i figli devono essere felici

La ragazza morta suicida allo Iulm di Milano mi riporta alla mente Jack, l'amico di mia figlia che si tolse la vita a 20 anni

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

È da quando ho letto la notizia della studentessa di diciannove anni suicida, che non riesco a smettere di pensarci, non riesco a smettere di pensare al buco nel cuore di questa povera ragazza, e a quelle parole scritte in un foglietto e custodite nella sua borsa “la mia vita è un fallimento“, come un ultimo agonizzante urlo di disperazione. Non posso non pensare ai genitori che rimangono e che passeranno il resto della loro vita a chiedersi perché, consapevoli del fatto che non esista un perché a certi strazi dell’anima, ma per sempre e disperatamente orfani della loro bambina. Sarà perché ho un figlio della stessa età o una figlia che frequenta la Ca’ Foscari e che, spesso, per la nostra situazione familiare, si è trovata costretta a tirare il freno a mano della sua carriera universitaria, non senza lacrime, ma anche solo l’idea che una ragazza, poco più che adolescente, possa sentirsi fallita, quando in realtà sta solo muovendo i primi passi della sua esistenza, mi distrugge.

Qualche settimana fa, dopo aver rinunciato alla sessione di gennaio per il trapianto di suo papà, piangendo, mia figlia ha detto: «Io vedo le mie amiche che vanno avanti e che finiscono, ed io rimango sempre ferma qua e questa cosa mi fa male», ed io sono riuscita a percepire lo sgomento delle sue parole, anche se la sua è sempre stata una causa di forza maggiore, perché le condizioni di salute di suo padre l’hanno costretta a prendere troppo spesso le mie veci, quando mi sono ritrovata fuori casa negli ospedali di altre regioni.

Le ho spiegato, o almeno ci ho provato, che a noi, a me e suo padre, non interessa nulla dei suoi esami, che se non li darà a gennaio li sosterrà a giugno, che a me ne mancano ancora otto di esami per una laurea che non avverrà mai. Ho cercato di asciugare le sue lacrime e di dare un nome al suo dolore, e poi abbracciandola le ho detto: «A noi interessa solo che tu sia felice, perché tutto il resto è secondario», perché credetemi è davvero così. Eppure il suo malessere è palpabile, questo senso di inadeguatezza e di inferiorità rispetto all’altro è tangibile, così come lo è questa paura di non essere all’altezza di un sistema che ci vuole super performanti e sempre sul pezzo, costantemente connessi e informati. E no, non scrivo queste cose perché io mi ritenga una madre migliore di altre, scrivo queste cose perché da genitore sono terrorizzata dal fatto che un giorno mia figlia possa sentirsi non abbastanza, che quel tarlo che le mangia l’anima possa avere il sopravvento e spezzarle le ali, senza che io possa averle dato gli strumenti necessari per farla volare felice. E mentre scrivo queste parole faccio fatica a non piangere, pensando a quella studentessa, alla sua decisione di farla finita per quel macigno insopportabile che l’ha convinta che togliersi la vita fosse l’unica soluzione possibile.

Ma uccidersi, non potrà mai essere la soluzione, perché la morte è una pu*****, ti lusinga e ti illude, ti fa credere che con lei spariranno tutti i tuoi problemi, che basta un attimo, e finalmente il dolore si scioglierà come neve al sole, senza confessarti la verità: che quelli che verranno spazzati via sono i tuoi sogni, le tue speranze, i tuoi ricordi, e tutto quello che sarebbe potuto essere e mai sarà. Ho chiuso gli occhi e in un attimo sono tornata indietro nel tempo a quando, sei anni fa, uno dei più cari amici di mia figli decise di volare via per sempre, attaccando i suoi sogni e la sua vita ad un albero, lasciandosi cadere nel vuoto di quell’ultimo respiro, che in alcuni interminabili secondi tutto ha promesso e tutto ha tolto.

E allora ricordiamocelo che i nostri figli non devono essere performanti, non devono essere i migliori, non è necessario che frequentino corsi di inglese avanzati a cinque anni, o tre sport diversi per allenare il fisico e lo spirito di gruppo. Lasciate che i bambini facciano i bambini, che si sporchino le mani di terra e i pantaloni di erba, lasciateli vivere di sogni, alimentate le loro speranze, che a farli cadere ci penserà la vita. Accompagnateli nel loro percorso, tendendo la mano per farli rialzare, e camminate al loro fianco, né davanti, né dietro, ma accanto, E ricordate sempre che i nostri figli non devono essere i migliori, i nostri figli devono solo e soltanto essere felici.

Questa la poesia che scrissi per Jack, l’amico di mia figlia, ma è dedicata a tutti i Jack del mondo.
Si chiuderà questo buco nero e porterà via con sé i tuoi occhi.
Il tuo sorriso.
I tuoi sogni.
Le tue paure.
La tua tristezza.
Le tue gioie.
Le mie parole, che sembrano non tornare più.
Perse in un giorno legate ad un cappio.
Che era il tuo.
E nessuno lo sapeva.
Nessuno poteva immaginare
Eppure quella cosa che avevi dentro, quel mostro che magari avevi tante volte disegnato, ti ha mangiato.
Pezzo per pezzo.
Rubando tutto quello che di bello avresti potuto fare, facendoti credere che nulla aveva più un senso.
Perché a quell’età è così.
O bianco
O nero.
E quando il buio ti avvolge il cuore, i pensieri non sono più gli stessi.
E allora nella tua mente la morte ti sembra un sollievo.
Ti sembra l’unica via d’uscita.
Ma non è così.
La morte è l’unica strada senza ritorno.
La morte cancella.
Distrugge.
E tu questo non lo sapevi.
Non potevi immaginarlo.
Forse hai sperato fino alla fine che qualcuno potesse salvarti.
E chissà quei minuti quanto saranno stati lunghi.
Infiniti.
Eterni.
Ed io sono qui a scrivere.
Perché Jack poteva essere mio figlio.
Poteva essere il figlio di ognuna di noi.
Essere madre significa anche questo.
Soffrire per un ragazzo troppo giovane per decidere di morire.
Perché sarebbe bastato far passare un po’ di tempo, perché tu sai che dopo le cose diventano più chiare.
Il buio si dipana.
Non esiste più il nero e il bianco.
Esistono mille sfumature di grigio, che poi all’improvviso si trasformano in arcobaleno.
Ma tu questo non potevi saperlo.
E forse nessuno ha fatto in tempo a dirtelo.
E allora io ti chiedo scusa Jack.
Perché tu non potevi saperlo che il mondo è anche bello.
Spero solo che il tuo, adesso, sia pieno di colori.
Ciao Jack