La storia della piccola Diana, morta di stenti e di mancanza d’amore

Cosa può scattare nella mente di un essere umano per decidere di fare questo alla carne della sua carne, giocare alla roulette russa con la vita del proprio figlio?

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Io non volevo scrivere nulla sulla morte della piccola Diana, la bambina lasciata morire di stenti, di fame e di sete, nel suo lettino da campeggio. Non volevo perché una parola poteva essere poco, e due potevano essere troppe. Non volevo scriverne perché quello che è accaduto a questo scricciolo è quanto di più disumano possa essere anche solo immaginato, perché volevo chiudere gli occhi e immaginarmela felice in un altro posto, in un altro luogo, dove le sue pene avessero avuto una fine, ma soprattutto, perché sono una madre. Sì, io sono una madre, prima di essere una donna, una moglie, una giornalista, una figlia, io sono e mi sento una madre, e in quell’abbandono non riesco ad immedesimarmi, nemmeno per un singolo istante. Non riesco, come altri hanno fatto, a cercare di capire il contorno, non riesco a trovare nemmeno un briciolo di attenuante, non ce la faccio. Perché io l’unica immagine che riesco a visualizzare è quella di una bambina di un anno e mezzo abbandonata in una stanza, da sola, con temperature che all’esterno sono arrivate a 40 gradi, per sei lunghi giorni. Sapete quante ore ci sono in sei giorni? Centoquarantaquattro. Ottomilaseicentoquaranta minuti. Ed io non riesco a non immaginare lo strazio di questo cucciolo d’uomo, che non ha mai chiesto di essere messa al mondo, in quell’ultima drammatica settimana della sua breve e tormentata vita.

Cosa avrà pensato? Cosa avrà provato? Avrà sperato che la sua mamma tornasse, che quella porta si riaprisse, che la sua fame e la sua sete si placassero, che un abbraccio potesse salvarla da quell’incubo, che qualcuno potesse sentire il suo strazio? E invece no. Nessuno ha sentito, nessuno l’ha aiutata, nessuno l’ha salvata. Perché nessuno sapeva. E viene da chiedersi come sia possibile, come sia possibile che nel 2022 una bambina di diciotto mesi, possa morire così, ad una passo dalla propria porta di casa, magari mentre tu stai guardando l’ultima puntata dell’ultima stagione della tua serie preferita e, ad un passo da te, c’è uno scricciolo che sta esalando il suo ultimo sospiro. No, io non volevo davvero scrivere nulla di questa tragedia, perché non c’è niente da scrivere che non sia stato già detto, è che l’immagine della piccola Diana non riesco a togliermela dagli occhi, non riesco a togliermi dalla mente l’inferno da lei vissuto nei suoi ultimi instanti, perché a diciotto mesi si prende a morsi la vita, non un cuscino con la speranza di riuscire a placare quella fame che ti sconquassa il corpicino. Perché la bambina ha provato anche a sostentarsi, mentre sua madre faceva la spola tra una sagra e una cena, tra un ballo in paese e una foto al tramonto, rientrando anche a Milano, senza decidere mai di ripassare da casa, e alla fine il suo cuore ha ceduto.

Ha ceduto alla paura, ha ceduto alla morte, ha ceduto alla sofferenza, ha chiuso gli occhi ed è morta, al buio, nel silenzio di una vita vissuta sottovoce, sotto sonniferi e benzodiazepine, per non disturbare troppo. E quelle parole “avevo messo in conto che potesse finire così, che potesse accadere” dette da Alessia Pifferi, la madre, senza una lacrima, senza un minimo di senso di colpa, cioè tu puoi mettere in conto che ti si possa rompere la macchina, se per esempio non sostituisci una gomma bucata, puoi mettere in conto che se non esegui la manutenzione sulla lavatrice, possa smettere di funzionare, ma qua stiamo parlando di un essere indifeso e dipendente da te per il suo sostentamento, come puoi anche solo mettere in conto quest’evenienza? Come puoi ballare, andare a cena fuori, sorridere, scattare foto per i social, sapendo che tua figlia potrà morire perché tu l’hai abbandonata? L’immagine di Diana fredda ed immobile nel suo letto di morte, con accanto un biberon vuoto e dei sonniferi, tormenta la mia coscienza, e mi domando cosa possa scattare nella mente di un essere umano per decidere di fare questo alla carne della sua carne, giocare alla roulette russa con la vita del proprio figlio, mettere in conto che le tue azioni potranno togliergli l’esistenza.

E poco importa se, come penso, l’esame tossicologico confermerà la presenza di tranquillanti nel latte della bambina, confermando la tesi che vuole che Alessia l’abbia volutamente drogata prima di uscire di casa, affinché non potesse urlare, e quindi la premeditazione. Per me la piccola Diana è morta nel momento esatto in cui quella porta è stata chiusa, è morta di indifferenza, è morta di stenti, di sete e fame d’amore, di un abbraccio che la salvasse, di una rete familiare che la accudisse, che la venisse a trovare quando era in vita, è morta tutte le volte in cui è stata lasciata da sola a badare a se stessa, ma soprattutto è morta senza sapere perché. È morta con un’unica colpa, certamente non sua, quella di essere nata nel posto sbagliato. Perdonaci tutti, se puoi.