Non era il re dei vini: Ragnedda è un assassino, Cinzia Pinna una vittima

La 33enne di Castelsardo uccisa e nascosta come un rifiuto. Basta narrazioni che elogiano i carnefici e cancellano le donne

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Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

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Cinzia Pinna aveva 33 anni. Era nata a Castelsardo, figlia di una famiglia conosciuta nel settore turistico, e da qualche tempo lavorava a Palau nella ristorazione. La sera dell’11 settembre è stata vista per l’ultima volta nei pressi di un locale notturno. Le telecamere di sorveglianza l’hanno ripresa barcollante. Poi un’auto si è fermata, lei è salita a bordo. Dalla targa i carabinieri sono risaliti al proprietario: Emanuele Ragnedda, 41 anni, imprenditore vitivinicolo di Arzachena.
Per giorni si è sperato. Appelli social, ricerche con droni, famiglie e amici impegnati in un’attesa straziante. Dodici giorni di angoscia, mentre Ragnedda continuava la sua vita: presente a feste familiari, visto a bordo di un gommone nei pressi di Baja Sardinia.

Cinzia Pinna e il suo assassino, Ragnedda
ANSA
Cinzia Pinna e il suo assassino, Ragnedda

La svolta è arrivata durante un lungo interrogatorio: l’uomo ha confessato. Ha detto di aver ucciso Cinzia nella sua tenuta di Conca Entosa, al termine di una lite. La sua versione parla di un gesto dettato dalla paura: lei avrebbe avuto un oggetto in mano, lui avrebbe premuto il grilletto “per difendersi”. Una narrazione che la Procura di Tempio Pausania, con il procuratore Gregorio Capasso e la pm Noemi Mancini, sta verificando.

Ragnedda ha indicato il luogo dove aveva nascosto il corpo: in un terreno della sua proprietà, tra una radura e una roccia, coperto di sterpaglie. Intanto i Ris di Cagliari hanno trovato tracce di sangue nell’abitazione, soprattutto sul divano, nonostante i tentativi di pulizia, e residui di polvere bianca compatibile con cocaina. L’imprenditore è ora rinchiuso nel carcere di Nuchis, accusato di omicidio volontario aggravato dall’uso di arma da fuoco e occultamento di cadavere.

A Castelsardo, la notizia è stata una ferita profonda. “Ci sono momenti in cui le parole non bastano. Questo è uno di quelli”, ha detto la sindaca Maria Lucia Tirotto. Una fiaccolata in memoria di Cinzia è stata organizzata dal parroco don Pietro Denicu, per gridare ancora una volta il no alla violenza sulle donne.

Non era il re dei vini. Non era il rampollo della Gallura, non era l’uomo da bottiglie da 1800 euro. Era un uomo che ha ucciso. Punto. Ogni volta che una donna muore per mano di un uomo, la stampa trova sempre un modo per raccontare lui: i suoi affari, i suoi successi, le sue feste. E lei? Lei diventa “una trentatreenne ritrovata senza vita”.

Di Cinzia Pinna si è scritto poco. Non dei suoi sogni, del suo lavoro, della sua vita. Invece paginate sul fatturato di lui, sulle etichette pregiate, sul “bianco più costoso d’Italia”. Come se questo potesse giustificare o spiegare.

E poi c’è il copione più odioso: quello dell’incidente, della fatalità. Lo abbiamo già sentito. Nel delitto di Carol Maltesi, il suo assassino disse: “Ho fatto una cazzata”. Oggi Ragnedda parla di un gesto di paura, di un colpo partito quasi per caso, ma uccidere non è una cazzata. Non si inciampa in una pistola, non si inciampa in un femminicidio. Quando decidi di togliere la vita, hai già scelto.
Non ci interessa se fosse ricco o povero, cocainomane o sobrio. Non ci interessa il numero dei suoi ettari, dei clienti o delle bottiglie. Ci interessa solo la verità: si è trasformato in un assassino, e tanto basta.

Cinzia non era “la sua donna”. Era una donna. Era una figlia. Poteva essere vostra figlia. Poteva essere vostra sorella. E invece è stata uccisa, nascosta, buttata via come un rifiuto. Perché questo è il filo rosso che unisce troppi femminicidi: uomini che ammazzano e poi raccontano al mondo che è stato un errore, uno scivolone, una marachella. No: è un omicidio. E va chiamato con il suo nome. E chi uccide può essere indicato solo con un nome: assassino.