È la fine di un incubo per Alex Schwazer, le parole usate dal Gip di Bolzano, che ha archiviato l’accusa di doping, parlano chiaro: “Assolto per non aver commesso il fatto”. L’atleta ormai da cinque anni lottava per dimostrare la sua innocenza al mondo intero, alla fine forse era rimasto da solo a scommettere che ce l’avrebbe fatta, eppure con costanza e soffrendo, proprio come nel suo sport, ha avuto ragione.
Ripercorriamo insieme la storia di questo ragazzo, è il 2008 quando con il tricolore sulle spalle a Pechino vince la medaglia d’oro, è lui a tagliare per primo il traguardo dei cinquanta chilometri, lui e le sue gambe, nessun aiuto, nessuna polvere magica, centimetro dopo centimetro. Eppure non basta essere dichiarato campione dagli altri per sentircisi davvero, e così, Alex subito dopo il titolo comincia a doparsi, per reggere il ritmo dei marciatori russi, che negli anni successivi verranno trovati positivi e squalificati, e verrà beccato alla vigilia delle olimpiadi di Londra.
Le sue lacrime durante la conferenza stampa sono storia, ammetterà di aver fatto uso di eritropoietina, ma non seguirà quello che sembra un protocollo studiato per gli atleti trovati positivi: ammissione di colpa, consapevolezza dello sbaglio, scuse e voglia di ricominciare. Il suo è un pianto disperato, quello di un uomo che sembra un bambino, che non cerca vie di fuga, si accolla la colpa, ammettendo di averlo fatto solo “per essere competitivo come gli altri”, che lo sport gli fa schifo perché è stato lasciato da solo a combattere, mentre tutti sanno che è una gara al “doping migliore”, viene congedato anche dall’arma dei Carabinieri e nel 2013 viene squalificato per 3 anni e 6 mesi. Ma Schwazer crede davvero in quello che dice, vuole cambiare, e dopo aver fatto ammenda e scoperchiato il marcio presente nel mondo della marcia, facendo nomi e cognomi, vuole al suo fianco Sandro Donati, il simbolo mondiale della lotta al doping, e lui accetta, come nella più bella favola di Esopo, l’atleta dannato e l’allenatore simbolo dello sport pulito, decide di tendergli la mano per aiutarlo a rialzarsi e a riscattarsi, ed è qui che accade l’imprevisto e l’imprevedibile.
Perde tutto, fidanzata, sponsor, amici, denaro, premi, fa male, ma Alex ha un obiettivo, tornare a gareggiare, e così scontata la pena torna a marciare, meno forte di prima, ma più forte di tutti, a Roma l’8 maggio 2016 vince la 50 km con un tempo pauroso, 3 ore e 39 minuti esatti, in mano un biglietto per le olimpiadi di Rio de Janeiro.
La vittoria arriva nonostante le telefonate intimidatorie ricevute dal suo allenatore Donati, e registrate, dove un giudice internazionale di marcia gli consiglia di tenere a freno il suo atleta, di lasciar vincere Tallent un marciatore australiano. È l’inizio della fine. Il 22 giugno viene comunicato alla Federazione Italiana di Atletica Leggera che Alex è risultato positivo ad un campione di urine prelevatogli a sorpresa il 1 gennaio del 2016, una tempistica quanto mai sospetta, una provetta che, si scoprirà successivamente, risultata negativa in un primo momento, e deve arrivare a Colonia per far sì che saltino fuori tracce di testosterone e DNA non umano.
Lo Schwazer viene squalificato fino al 2024, che per un atleta di 32 anni (in quel momento) significa la fine della carriera agonistica. Ma Alex è un marciatore, è un uomo che è abituato a superare i suoi limiti e a soffrire, perché alla fine quando sei sulla pista devi contare su te stesso, e lui ha imparato a farlo, anche se da quattro anni al suo fianco c’è una donna meravigliosa che lo ha reso padre e che non lo ha mai abbandonato, ha creduto in lui e nella sua innocenza, come Donati, che negli occhi di questo ragazzo ha visto il bisogno di riscatto. E non ha mai mollato, in questi lunghi cinque anni ha cercato in tutti i modi di dimostrare la sua innocenza, riuscendoci, come sottolineato nelle motivazioni depositate dal gip di Bolzano: “Lo scrivente ritiene accertato con alto grado di credibilità razionale che i campioni di urina prelevati ad Alex Schwazer il primo gennaio 2016 siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e dunque di ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta, come pure del suo allenatore Sandro Donati”
Queste le parole di Alex rilasciate alla Gazzetta dello Sport: “Tutti pensano che ho lottato perché volevo ritornare a marciare. Ecco, in una scala di valori questo occupa solo il 10% del totale. La vera molla era dimostrare la mia innocenza. Perché ci avevo messo la faccia nel mio ritorno da pulito, dopo aver pagato giustamente nel 2012 le colpe per il doping. Nel 2016 sapevo di essere vittima, in compagnia di Sandro, di una colossale ingiustizia. La gente, però, giudica per quello che legge. C’era una sentenza, diceva il contrario. In pochi hanno avuto voglia e pazienza per studiare il caso, vedere le mille incongruenze, iniziare ad avere dubbi. Ecco, cancellare quella macchia era l’obiettivo. Passare il resto della mia vita con un marchio infame sarebbe stato insopportabile”
Adesso cosa può succedere? Le olimpiadi di Tokyo sono dietro l’angolo, la giustizia sportiva ha un corso diverso da quella dello Stato, quindi adesso c’è solo da sperare che Alex si appelli al Tas di Losanna per farsi togliere la squalifica e la Federazione Italiana di Atletica leggera dovrebbe lottare al suo fianco, perché quello che è stato strappato dalle mani di questo ragazzo non è solo un titolo, ma anche un pezzo di vita che nessuno gli restituirà più. Schwazer e Donati sono dei piccoli Davide che hanno combattuto da soli contro dei giganti Golia insegnando che loro non hanno sempre vinto, ma di sicuro non si sono mai arresi.