Francesca Barra alle vittime di violenza online: “Non siamo noi a doverci vergognare”

Dopo aver scoperto e denunciato pubblicamente la diffusione di deep nude che la vedono protagonista, Francesca Barra lancia un accorato appello alle vittime di violenza online

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Nicoletta Fersini

Giornalista, Content Editor, SEO Copywriter

Giornalista ed evocatrice di parole: appassionata di lifestyle, tv e attualità. Inguaribile curiosa, osserva il mondo. Spesso sorseggiando un calice di vino.

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“Non siete voi, non siamo noi a doverci vergognare”. È il messaggio di Francesca Barra alle vittime di violenza online. A chi, come lei, si è vista “spogliare” con l’Intelligenza Artificiale in alcune immagini senza veli – chiaramente fake – diffuse nel web senza alcun consenso. Perché sì, anche questa è una forma di violenza, sotto molti aspetti. Ed è giusto che fenomeni di questo tipo vengano combattuti con ogni mezzo possibile.

Il messaggio per le vittime di violenza online

Sono immagini “manipolate e false”. Immagini che “avrebbero potuto finire nelle mani sbagliate”, che creano “sgomento”. Francesca Barra non usa mezzi termini tornando su un argomento che tiene banco ormai da diverse ore: la giornalista è stata l’inconsapevole protagonista di una vera e propria forma di violenza digitale, perpetrata da qualcuno che, servendosi dell’Intelligenza Artificiale, ha diffuso online alcuni suoi nudi fake.

Barra pensa ai propri figli, ricorda la domanda che le ha posto la figlia: “Mamma, come ti fa sentire tutto questo?”. Ed è da qui che parte una lunga riflessione, più un appello forse, rivolto a chi come lei ha subito questo o qualcosa di simile. “È importante che qualcuno ce lo chieda e che ci sia spazio per raccontarlo. Perché nominare le emozioni è già un modo per riprendersi la propria dignità – ha scritto su Instagram -. È importante per chi subisce queste violenze, e per chi, dall’altra parte dello schermo, consuma certi materiali senza chiedersi cosa possano produrre nella vita di una donna che viene usata, trattata come oggetto, senza consenso“.

Quando manca il consenso – parola che ancora fa storcere il naso a fin troppi uomini – non c’è scusa che tenga. “Non siete voi, non siamo noi a doverci vergognare“, tiene a ribadire, rivolgendosi alle ragazze e ai genitori di chi ha “subito la stessa violenza, anche su piattaforme come Telegram: non abbiate paura di chiedere aiuto, non vergognatevi, non lasciate che qualcuno vi dica come dovete reagire”.

E ancora: “Non c’è niente di peggio di chi tenta di zittire le vostre emozioni, come mi confidate, di chi giudica, di chi trasforma una denuncia in un presunto desiderio di apparire, sappiate che questo sta cambiando. Ci sono persone che per quei giudizi sono morte, non vi arrendete. (…) Andate avanti. Non siete sole. Il personale è politico. Da anni mi occupo di raccontare, denunciare e portare all’attenzione pubblica le storie di chi subisce violenze e reati commessi per via telematica. E da anni, come tanti di voi, schivo o combatto i più beceri attacchi, le diffamazioni, le delegittimazioni in rete. Perché il silenzio e l’isolamento sono il concime su cui cresce questa violenza. Non dimentichiamolo”.

I deep nude e la denuncia di Francesca Barra

Un lungo e accorato appello che arriva dopo la denuncia che la giornalista ha fatto, sia su Instagram che, successivamente, intervistata da Repubblica. Il termine per definire queste immagini create con l’Intelligenza Artificiale “montando”, di fatto, il volto di qualcuno su un corpo nudo o che comunque non gli appartiene è deep nude. Ma in inglese o in italiano che dir si voglia, il succo non cambia: sono un atto becero, volto a colpire la dignità di una donna, sminuendone la persona e offrendo a passivi e discutibili fruitori di siti a stampo pornografico materiale per i loro passatempi.

“Qualcuno ha deciso di costruire quella menzogna per ottenere attenzione e insinuare il dubbio che potessi essermi mostrata in quel modo negli ambienti in cui lavoro o ho lavorato – ha denunciato Barra -. (…) Ho pensato ai miei figli e ho provato imbarazzo e paura per ciò che avrebbero potuto sentire o leggere, se quelle immagini fossero finite nelle mani sbagliate. Non è arte, non è una scelta personale quindi ovviamente creata per suscitare morbosità pericolose perché basate sull’alterazione della realtà senza consenso della diretta interessata”.

Senza troppi giri di parole: “É una violenza e un abuso che marchia la dignità, la reputazione, la fiducia. Un furto dell’immagine, del corpo, della libertà di essere viste come si è – non come un algoritmo o una mente malintenzionata decide di rappresentarci. Le tecnologie dovrebbero essere strumenti di progresso, non di sopraffazione. E invece, troppo spesso, diventano armi: di manipolazione, di vergogna, di distruzione dell’identità”.

La giornalista ha ricordato, poi, che creare, diffondere e ospitare tali immagini è un reato, sebbene troppo spesso, ancora, resti impunito, e che il “cyberbullismo non è un problema fra ragazzi, ma uno specchio delle nostre fragilità collettive”.