Cos’è (e cosa non è) la cultura del consenso

Promuovere una cultura del consenso significa educare all’ascolto e al rispetto. Non si tratta di firmare un contratto, ma di tenere viva la conversazione.

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Veronica Colella

Sex Editor

Content writer con una laurea in Scienze antropologiche e un passato tra musei e archivi. Scrive di sessualità e questioni di genere da un punto di vista sex positive, con la consapevolezza che non esistono risposte semplici a psicodrammi complessi.

Parlare di consenso non è semplice come sembra. Limitarsi a dire che “no significa no” tende a escludere tutte quelle occasioni in cui il confine tra un “sì” e un “no” è più incerto.

Persino la metafora del tè inventata dalla blogger Emmeline May e resa virale da un corto del Blue Seat Studios è efficace solo in parte. Se immaginate di offrire a una persona una tazza di tè caldo e lei non fosse sicura di volerla, come vi comportereste? Di certo sarebbe assurdo decidere al posto suo o cercare di versargliela in gola per forza, anche nel caso in cui avesse inizialmente accettato e poi si fosse resa conto di non avere sete, o di non apprezzare quel tè in particolare. Ma nella vita reale il sesso è più complicato di una tazza di tè e i nostri sentimenti a riguardo possono essere più ambigui.

Di recente la 27esima Ora ha realizzato un sondaggio sul consenso sessuale scoprendo che questa sensazione è familiare al 52.9% dei partecipanti. Non serve essere minacciati, costretti con la forza o ricattati per essere messi in condizione di non avere scelta: a volte si dice di sì perché si ha paura di ferire i sentimenti dell’altro, altre volte il proprio disagio non viene recepito né ascoltato, in altre ancora ci si rimprovera di non essere state abbastanza chiare nel dire di no.

Cos’è davvero il consenso?

Per capire davvero cos’è il consenso dovremmo fare un passo indietro e ripensare al modo in cui intendiamo il sesso e le relazioni, suggerisce la filosofa francese Manon Garcia in Di cosa parliamo quando parliamo di consenso (Einaudi).

Quella che sulla carta dovrebbe essere una conversazione tra pari viene spesso rappresentata come una negoziazione su un campo di battaglia, in particolare quando si tratta di uomini e donne. Da questo punto di vista il consenso diventa una questione di cosa le donne sono disposte a concedere davanti alle insistenze maschili.

Una prospettiva all’antica che ignora sia l’esistenza di un desiderio e di una volontà femminili, sia la possibilità che siano gli uomini a sentirsi sotto pressione e obbligati ad accettare di fare qualcosa che non vogliono fare. Riconoscere che entrambi i partner sono prima di tutto persone che pensano, vogliono e desiderano è invece un primo passo nella direzione giusta.

Superare i vecchi schemi

Si potrebbe pensare che certi schemi di pensiero siano ormai sorpassati, almeno tra le nuove generazioni. Eppure, i risultati di uno studio qualitativo pubblicato nel 2019 sul Journal of Interpersonal Violence e riportato sulla rivista di psicologia State of Mind suggeriscono il contrario.

Basandosi su un campione di 33 adolescenti di età compresa tra i 14 e i 18 anni, i ricercatori hanno scoperto che in situazioni quotidiane ragazzi e ragazze fanno affidamento principalmente sui segnali non verbali per capire se i loro partner sono coinvolti e consenzienti e anche che per i ragazzi vige ancora la regola del silenzio assenso.

Dal momento che sono quasi sempre loro a iniziare il contatto sessuale, tendono a interpretare la mancanza di un “no” esplicito come un via libera. Non solo, ragazzi e ragazze concordano sul fatto che nel sesso i precedenti contino più della volontà del momento. Se due persone sono già state a letto insieme, non c’è più bisogno di ottenere il consenso. O invece sì?

Perché il consenso non è un contratto

Se pensiamo al consenso come a un contratto rischiamo di farci l’idea sbagliata. Proprio perché non stiamo negoziando i termini di una resa, il consenso non va scambiato per un accordo formale e valido una volta per tutte, da strappare all’altra persona perché ci sollevi da ogni responsabilità nei suoi confronti. È più utile immaginarlo come un invito a una conversazione che non ha un inizio né una fine ben definiti, ma che va tenuta viva durante tutto l’incontro sessuale e se possibile anche prima e dopo.

Uno scambio continuo di feedback e di idee che richiede di prestare attenzione all’altro, ai suoi desideri, ai suoi impulsi e alla sua situazione, accettando che si possa cambiare idea e soprattutto che non sempre è possibile determinare in anticipo cosa ci piacerà e cosa no.

Una possibilità da tenere a mente per rendere questa conversazione più sciolta è quella di prendere in prestito dalla comunità BDSM concetti come quello di safe word. Avere a disposizione uno strumento per accettare o rifiutare pratiche e proposte mentre se ne fa esperienza (e non prima) permette di sentirsi meno sotto pressione, perché si basa sul presupposto che sia possibile dire di no in qualsiasi momento senza ferire i sentimenti di nessuno.

Pretendere di più

Costruire insieme una cultura del consenso vuol dire pretendere dal sesso qualcosa di più, scrive Laurie Penny in un lungo articolo sul tema pubblicato nel 2017 su Longreads.

Insistere sull’importanza del consenso come base per il piacere e il desiderio è un modo per diventare migliori di quanto siamo mai stati, andando oltre il semplice “non mettersi nei guai” e parlare di quello che davvero è importante per noi, per la nostra autonomia e libertà di scelta. Altrimenti le conversazioni sul consenso rischiano di diventare una gara tra tecnicismi, come quelli di chi è abituato a pensare che sia sufficiente assicurarsi che una persona non sia in stato d’incoscienza o non cerchi di respingerti.