E’ vero. Essere obesi è un fattore di rischio per molte patologie, a partire da quelle cardiovascolari per arrivare fino ai tumori. Ma non bisogna cadere nell’errore di considerare questa condizione come una scelta. O peggio ancora una colpa, legata a stili di vita impropri. La scienza dice oggi che non è così. E ricorda come occorra affrontare la situazione considerando che lo stile di vita e l’alimentazione contano, che ci sono farmaci che aiutano a ridurre significativamente il peso, che in casi selezionati si può anche puntare su un intervento chirurgico mirato, nell’ambito di quella che viene definita chirurgia bariatrica. Insomma, bisogna superare i timori e il giudizio degli altri. Per trovare la propria strada. E superare le barriere.
Perché parliamo di patologia
Chi tende a giudicare l’obesità come frutto di una scelta personale, insomma, sbaglia. E di grosso. Perché siamo di fronte ad una patologia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato l’obesità come malattia fin dal 1948 e nel 2021 ha aggiornato la sua definizione come malattia cronica, progressiva e recidivante. Addirittura, nel 2013, l’American Medical Association ha approvato una mozione che descrive l’obesità come uno “stato patologico con molteplici aspetti fisiopatologici”. Da allora, una serie di associazioni mediche hanno espresso opinioni simili. Nel marzo 2021, la Commissione Europea ha emesso un documento in cui definisce l’obesità come una “malattia cronica recidivante”, che a sua volta funge da porta d’accesso a una serie di altre malattie non trasmissibili. E allora? Allora ricordiamo che il peso che ricade sul singolo non è fatto solo di chili in eccesso, ma anche di riflessi sulla psiche e sulla percezione sociale che possono influire pesantemente sul benessere. L’importante, insomma, è che non si tratti di un fardello psicologico da portare per chi è obeso e per la sua famiglia.
Come si può combattere lo stigma….
Per stigma verso l’obesità si intende “una svalutazione sociale della persona a causa del suo peso”. Infatti, le persone con obesità sono bersaglio di numerosi stereotipi negativi che le ritraggono come golose, pigre, senza forza di volontà, incuranti della propria salute; in poche parole, colpevoli della loro condizione. Questi atteggiamenti negativi possono portare a vere e proprie forme di discriminazione a scuola, sul lavoro, nel tempo libero, nelle relazioni. La stigmatizzazione del soggetto con obesità che tradizionalmente è descritto come un individuo privo di forza di volontà, pigro, goloso, inattivo e quindi responsabile della sua stessa condizione, deriva dal mancato pieno riconoscimento dell’obesità come malattia. Quindi, la lotta contro lo stigma di cui è vittima l’obeso non solo in ambito scolastico e lavorativo, ma spesso anche in ambito sanitario, coincide con la lotta alla banalizzazione all’obesità come un mero disordine nutrizionale, una scelta di vita dovuta ad una scarsa autodisciplina e assenza di motivazione. Riconoscere l’obesità come malattia è il solo modo per far fronte alle molteplici e difficilissime sfide che essa pone, che non sono solo di tipo sanitario ma anche socio-culturali e psicologiche. Occorre quindi puntare su un approccio multidisciplinare, informato e soprattutto privo di pregiudizi per contrastare la discriminazione sociale legata al peso e migliorare la vita dei pazienti.
E perché bisogna farlo
Il paziente con obesità vive molto spesso uno stato di profonda inadeguatezza. A volte si pensa di aver sbagliato tutto, di non riuscire mai a dimostrare esattamente quanto si vale davvero. Soprattutto a scuola e sul lavoro, dove c’è il rischio di emarginazione. E’ fondamentale, invece, evitare di giudicare in base all’aspetto esteriore, senza creare mancanza di autostima e di scarsa fiducia nelle proprie possibilità e nel futuro che si ripercuote sulla vita di relazione e affettiva. Purtroppo, in questo percorso psicologico il riconoscimento dell’obesità come malattia è fondamentale. Ma spesso lo dimentichiamo. Allora ci si convince che ci sia qualcosa di sbagliato nel proprio atteggiamento e nel proprio stile di vita. Il senso di colpa è presente e molto pervasivo ed è associato alla sensazione di essere diverso dagli altri e a un senso di fallimento perché il paziente non riesce a mettere in atto uno stile di vita corretto con conseguente perdita di peso. Questi sentimenti sono rinforzati da fattori esterni, come lo stigma sociale, instaurando un circolo vizioso che induce la persona con obesità ad adottare comportamenti ancora più sbagliati. Gli stereotipi sono tanti e molto visibili: gesti, sguardi e parole che offendono, feriscono e denigrano la persona con obesità, una narrazione distorta che deriva da anni di errata percezione del problema. Lo stereotipo più diffuso è quello del paziente obeso sdraiato su un divano, che mangia in continuazione. Ma il paziente con obesità non è questo, ha una sua vita attiva come tutte le altre persone, che però è impattata negativamente dall’eccesso di peso e le relative conseguenze sullo stato di salute generale.
Quando parliamo di obesità
Abbiamo messo un punto fermo. L’obesità è una malattia cronica e progressiva. Ora bisogna capire quando una persona si può definire obesa, ricordando che per giungere a questo risultato occorre considerare una complessa rete di fattori, tra cui la genetica oltre ad elementi psicosociali e ambientali. In ogni caso, si parla di obesità in presenza di un eccessivo accumulo di grasso corporeo in relazione alla massa magra, in termini sia di quantità assoluta, sia di distribuzione in punti precisi del corpo. La misurazione della distribuzione del grasso corporeo può essere effettuata con diversi metodi, dalla misura delle pieghe della pelle, al rapporto tra la circonferenza della vita e dei fianchi, o con tecniche più sofisticate come gli ultrasuoni, la Tac o la risonanza magnetica. La classificazione della popolazione in base al peso viene fatta utilizzando l’indice di massa corporea (BMI = Body Mass Index, secondo la definizione americana), che rappresenta il parametro quantitativo con cui si definisce la patologia.
Il BMI si calcola secondo la formula seguente: BMI = peso (in kg) /quadrato dell’altezza (in metri)
Le classi di peso per gli adulti indicate dal BMI sono:
< 18,5 sottopeso
18,5 – 24,9 normopeso
25 – 29,9 sovrappeso
30 – 34,9 obesità
> 35 obesità grave
Quanto pesa la genetica?
Sicuramente la forza dei determinanti genetici nello sviluppo dell’obesità rappresenta un valido indicatore a favore della definizione dell’obesità come malattia. Infatti, è ormai ampiamente documentata la forte ereditabilità dell’obesità che a seconda degli studi risulta compresa tra il 40% e il 70%; in particolare, sembrano essere imputati i geni che codificano le molecole coinvolte nella regolazione dell’appetito e della sazietà, e più in generale coinvolte nel controllo del bilancio energetico a livello del sistema nervoso centrale. Certamente anche l’ambiente obesogeno in cui viviamo gioca un suo ruolo favorente, permettendo una slatentizzazione clinica di questa predisposizione genetica. L’obesità è definita “cronica e progressiva” perché nel soggetto che ne è affetto si assiste nel corso degli anni ad un progressivo aumento della massa grassa, a un progressivo sviluppo e aggravamento delle complicanze cliniche ad essa associate e alla comparsa di progressive disabilità. Vi è poi la difficoltà del soggetto con obesità a mantenere nel tempo la riduzione del peso. Infatti, in risposta al calo ponderale si instaurano un insieme di adattamenti metabolici e risposte compensatorie rappresentate dall’aumento dell’appetito e del desiderio di mangiare e dalla riduzione della spesa energetica, volte a favorire il recupero del peso perso. Proprio questa ineludibile tendenza a recuperare il peso perso rappresenta l’espressione della recidività dell’obesità.
Come si affronta l’obesità
L’obesità va prima di tutto prevenuta. E quando è presente va curata, sfruttando approcci multidisciplinari che includono interventi comportamentali, nutrizione, attività fisica, terapia farmacologica e procedure endoscopiche/chirurgia bariatrica, se del caso. Di certo è che il quadro è complesso e che le persone con obesità fanno fatica a perdere peso e a mantenerlo nel tempo. Le modifiche dello stile di vita non sempre sono sufficienti. Per la maggior parte delle persone cambiare comportamenti e abitudini alimentari spesso non dà risultati sufficienti e non contribuisce a perdere peso in modo prolungato tanto da migliorare la salute a lungo termine. Questo in parte perché, quando una persona riduce l’introito calorico per perdere peso, il corpo può aumentare la produzione degli ormoni che regolano la fame e il desiderio di cibo. Insomma. siamo di fronte ad una situazione complessa. Ed occorrono risposte su misura, caso per caso, con programmi specifici di trattamento. In questo senso la ricerca farmacologica propone attualmente diverse opzioni che possono essere indicate dal medico: negli ultimi giorni, ad esempio, è stato dato il via libera da parte dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ad un nuovo medicinale, ulteriore opportunità di trattamento. Il principio attivo è tirzepatide ed è indicato per il trattamento dell’obesità, del sovrappeso in presenza di almeno una comorbidità, e del diabete tipo 2.
In collaborazione con Eli Lilly Italia