A volte, quando si parla di malattie tumorali, si dimenticano aspetti che vanno oltre la sfera medica e scientifica, le cure, la stessa genesi della malattia e i meccanismi che la creano. Perché non si pensa all’impatto di una diagnosi di questo tipo sulla vita di ogni giorno. Ammalarsi di tumore, ad esempio, può voler dire lasciare il lavoro. O magari trovarsi di colpo in difficoltà economiche. Per questo, oltre all’aspetto scientifico, bisogna sempre considerare l’ambito sociale. Lo hanno ricordato gli esperti in occasione del XXVII Congresso Nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) tenutosi a Roma.
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Cosa accade in Italia
Nel nostro Paese il 16% delle donne e il 15% degli uomini colpiti dal cancro ha dovuto abbandonare il lavoro, a seguito della diagnosi. E purtroppo l’uscita dal mondo produttivo implica gravi conseguenze, finora poco misurate e approfondite. Non solo.
Ogni paziente oncologico paga di tasca propria oltre 1.800 euro all’anno, per coprire spese che vanno dai trasporti per raggiungere il luogo di cura, ai costi di integratori, farmaci supplementari e visite specialistiche. Lo dice lo studio PROFFIT (Patient Reported Outcome for Fighting Financial Toxicity) pubblicato su Journal of Cancer Policy.
“Abbiamo già dimostrato, in uno studio su 3.760 cittadini con tumore in Italia, che al momento della diagnosi il 26% deve affrontare problemi di natura economica e il 22,5% peggiora questa condizione di disagio durante il trattamento – ha spiegato Francesco Perrone, Presidente Nazionale AIOM. Questi ultimi, inoltre, hanno un rischio di morte nei mesi e anni successivi del 20% più alto.
L’impatto della tossicità finanziaria sulla sopravvivenza dei pazienti in Italia è analogo, ma con effetti opposti, al beneficio indotto da alcune terapie approvate dalle agenzie regolatorie. Ci siamo quindi chiesti quali fossero le cause delle difficoltà finanziarie e perché potessero interessare anche i pazienti di un sistema universalistico come il nostro. Da qui il questionario PROFFIT, che è a disposizione della comunità scientifica ed è già stato validato in lingua inglese per la sua applicazione anche nel Regno Unito. È utile in tutti i contesti in cui vi sia un sistema sanitario pubblico”.
Cosa accade negli USA
“In un sistema privato come quello statunitense, in cui le assicurazioni coprono l’80% del costo delle cure, è accettato come inevitabile che chi è colpito dal cancro debba affrontare problemi finanziari – ha indicato Massimo Di Maio, Presidente eletto AIOM”. Negli USA, il rischio di morte per i pazienti oncologici che vanno in difficoltà economica e dichiarano bancarotta è di circa l’80% superiore a coloro che invece non subiscono contraccolpi nel portafoglio.
“La diagnosi di cancro può mettere in ginocchio intere famiglie, con enormi costi diretti ed indiretti – è il suo commento. Non deve invece essere così in Italia e negli altri Paesi con sistemi universalistici, in grado di garantire le cure a tutti”.
Grazie al questionario PROFFIT, impiegato nello studio, sono emerse anche notevoli differenze a livello territoriale, perché i pazienti oncologici delle Regioni meridionali devono affrontare maggiori problemi economici rispetto a chi risiede al Nord.
Il peso della tossicità finanziaria
Nel 2024, in Italia, sono state 390.100 le nuove diagnosi di tumore. Un elemento positivo, determinato soprattutto dai progressi nelle terapie, è costituito dal costante incremento del numero di persone che vivono dopo la diagnosi: nel 2024 erano circa 3,7 milioni e, in base alle stime, supereranno i 4 milioni nel 2030.
“La metà dei cittadini che oggi si ammalano è destinata a guarire, perché avrà la stessa attesa di vita di chi non ha sviluppato il cancro – è la chiosa di Perrone -. Si tratta di notizie positive per i pazienti, che pongono però problemi di sostenibilità per il sistema e un incremento dei carichi di lavoro per gli oncologi. La tossicità finanziaria non è causata solo dalla perdita di reddito, per l’eventuale uscita dal mondo del lavoro.
Dai questionari PROFITT, compilati dai pazienti, emergono cause che possono essere ricondotte a tre grandi macroaree e che possono aiutarci a contrastare il fenomeno con azioni a largo raggio. La prima riguarda la capacità di presa in carico da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Questo aspetto può essere affrontato, rendendo davvero funzionanti su tutto il territorio le Reti Oncologiche Regionali, oggi attive solo in circa la metà delle Regioni”.
In questo modo possono migliorare la qualità dell’interazione tra il paziente e gli operatori sanitari e la capacità di questi ultimi di parlarsi e costruire una rete di accoglienza, in cui il malato si senta preso in carico fin dal momento della diagnosi.
“La seconda macroarea causa della tossicità finanziaria è rappresentata dalla distanza tra la casa e il luogo di cura e dalle conseguenti spese per i trasporti – fa sapere Di Maio -. Non intendiamo necessariamente i casi estremi di migrazione sanitaria dal Sud al Nord. La distanza media coperta dai pazienti non supera i 25 km, cioè il percorso che separa la periferia dal centro delle città, che però deve essere affrontato diverse volte al mese. Va ricordato che le strutture del nostro sistema sanitario, soprattutto per branche complesse come l’oncologia, tendono a essere concentrate nei grandi centri e meno sul territorio. Ecco perché le Reti Oncologiche Regionali e la medicina del territorio sono i temi su cui lavorare”.
Il capitolo delle spese
“La terza macroarea riguarda le spese che il Servizio Sanitario Nazionale non copre: farmaci supplementari, integratori, visite specialistiche successive alla diagnosi – spiega Elisabetta Iannelli, Segretario FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) . Questi costi possono pesare in modo significativo, soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione. A ciò si aggiungono le difficoltà lavorative: molti pazienti, in particolare i lavoratori autonomi o chi non gode delle tutele del lavoro subordinato, vedono ridursi drasticamente le entrate proprio mentre le spese aumentano.
Il cancro non comporta solo costi diretti di cura, ma anche costi indiretti legati alla perdita di giornate lavorative, alla riduzione della produttività e, in alcuni casi, all’impossibilità di mantenere l’attività professionale.
Il nostro sistema garantisce l’accesso ai farmaci anticancro, ma prestazioni come fisioterapia, chirurgia ricostruttiva o cure odontoiatriche – necessarie per molti pazienti in trattamento attivo – restano escluse. Anche protesi e ausili fondamentali, come parrucche o reggiseni post-operatori per le donne operate di tumore al seno, rimangono a carico delle pazienti.
Parlare di ‘ritorno alla vita’ dopo il cancro significa considerare anche questi aspetti: la perdita di reddito, i costi indiretti e le spese non coperte. È su questo terreno che le Istituzioni devono essere sensibilizzate, perché la guarigione dal cancro non può prescindere dalla sostenibilità economica della vita quotidiana, altrimenti la vittoria clinica rischia di diventare una sconfitta sociale”.