Epilessia, perché bisogna curare la persona e non la malattia (anche nella terza età)

È stato definito un nuovo metodo per gestire l'Epilessia che si prende cura della persona e non solo della malattia, anche nei pazienti anziani

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 5 Dicembre 2024 12:18

Un protocollo su misura. Per dare ad ogni persona con epilessia, malattia dai mille volti e mille caratteristiche, la risposta cui ha diritto. È una svolta in favore di chi affronta la patologia quella che viene dal Parco Tecnologico dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzili, in occasione del workshop “Crisi e (ri)soluzioni”. Ha sancito un momento di svolta nella gestione dell’Epilessia. L’evento è organizzato in collaborazione con la Società Italiana di Neurologia (SIN) e l’Associazione Italiana Epilessia (AIE). Neuromed e AIE hanno firmato un protocollo di intesa che pone le basi per un nuovo modello di cura.

Considerare il paziente nella sua globalità

“Non si tratta solo di curare la malattia – ha detto Tarcisio Levorato, Presidente dell’AIE – ma di prenderci cura delle persone con epilessia nella loro interezza: emozioni, relazioni, progetti di vita. Questo protocollo rappresenta una visione umanistica della medicina che speriamo venga replicata altrove”. Il protocollo, unico nel suo genere, è stato sviluppato attraverso la collaborazione diretta con pazienti e caregiver, che hanno partecipato alla definizione di dieci punti fondamentali per migliorare la qualità della vita delle persone con epilessia.

“Abbiamo chiesto loro cosa volessero da noi – ha spiegato Giancarlo Di Gennaro, Responsabile del Centro per la diagnosi e cura dell’epilessia del Neuromed – e le risposte sono state chiare. Non basta ridurre le crisi: bisogna ascoltare, comprendere e costruire percorsi personalizzati che tengano conto degli aspetti psicologici, sociali e familiari”.

Fondato su un approccio multidisciplinare, il protocollo integra aspetti biologici, psicologici, sociali e familiari, puntando a migliorare la qualità della vita delle persone con epilessia. Il documento promuove infatti una medicina che ascolta e valorizza le esperienze individuali, superando il tradizionale paradigma clinico per creare un percorso di cura personalizzato e replicabile in altri contesti clinici.

L’approccio multidimensionale è stato sottolineato anche da Angelo Labate, coordinatore del Gruppo di Studio Epilessia della SIN: “è necessario un cambio di paradigma. Il neurologo moderno deve guardare oltre la malattia e comprendere la persona nella sua globalità. Questo significa superare la frammentazione della medicina e integrare competenze diverse in un unico percorso”.

Terapie ancor più mirate

Levorato ha condiviso la prospettiva dei pazienti, ricordando che l’epilessia non è solo una condizione medica, ma una parte della vita quotidiana. “Viviamo con questa malattia 24 ore su 24, ogni giorno dell’anno – è il suo commento. Non possiamo essere visti solo come pazienti durante le visite cliniche: abbiamo bisogno di un sostegno continuo che consideri tutti gli aspetti della nostra esistenza”. Un elemento distintivo del progetto è l’utilizzo della ricerca qualitativa per valutare l’efficacia delle terapie.

Spiega Di Gennaro: “non ci limitiamo a misurare il successo dal punto di vista medico. Chiediamo ai pazienti come si sentono, se i trattamenti stanno migliorando davvero la loro vita. È un cambio di prospettiva fondamentale per costruire una medicina che sia davvero per le persone”. Infine, Levorato segnala come il modello possa essere adottato in altri contesti clinici: “Abbiamo dimostrato che è possibile costruire un approccio ‘sartoriale’ alla cura, centrato sulla persona e basato sulla collaborazione. Ora è il momento di esportare questa esperienza per trasformare il modo in cui la medicina si rapporta con l’epilessia”.

Non solo bambini

Per capire quanto è importante “tarare” esattamente l’approccio di cura, basti pensare che le epilessie sono i disturbi neurologici più frequenti nelle persone anziane, dopo le malattie cerebrovascolari e le demenze, con un’incidenza proporzionalmente superiore a quella infantile e una modesta prevalenza nel sesso maschile.

Recentemente la Lice (Lega Italiana Contro l’Epilessia), ha ricordato quanto e come l’epilessia, infatti, a differenza di quanto comunemente si crede, sia frequente nei bambini ma, ancor di più, negli anziani. Considerando la tendenza all’invecchiamento della popolazione mondiale, è quindi atteso un numero proporzionalmente crescente di persone con Epilessia ad esordio nella terza età.

Le indagini epidemiologiche degli ultimi decenni hanno evidenziato come un esordio dell’Epilessia in età superiore ai 60 anni sia un’evenienza comune e le cause più frequenti siano rappresentate da lesioni cerebrali conseguenti a disturbi vascolari (per esempio dopo un ictus o una emorragia cerebrale), demenze o altre malattie degenerative (vi sono indizi di meccanismi eziologici condivisi tra declino cognitivo ed Epilessia ad esordio tardivo), tumori, traumi cranici. Tuttavia, in oltre il 30% dei casi non è possibile identificare alcuna causa, nonostante metodiche diagnostiche avanzate, e le crisi insorgono come unico problema in una condizione di buona salute generale.

Come identificare il quadro negli anziani

“La corretta diagnosi delle crisi – ha ricordato  Carlo Andrea Galimberti, Presidente LICE – avviene spesso tardivamente negli anziani. I fenomeni più comuni nelle crisi epilettiche della terza età possono infatti indirizzare erroneamente la diagnosi verso malattie cerebrovascolari, cardiocircolatorie e neurodegenerative che hanno anch’esse un’elevata incidenza in età senile.

Invece, una diagnosi tempestiva e un trattamento appropriato sono particolarmente essenziali in questa fascia di popolazione, poiché la presenza di crisi epilettiche e un utilizzo subottimale dei farmaci anti-crisi sono risultati associati ad una più precoce istituzionalizzazione dei soggetti anziani”.

La maggior parte delle Epilessie della terza età è rappresentata da Epilessie con crisi “focali”; le crisi possono essere rappresentate da una breve alterazione del contatto con l’ambiente e della consapevolezza e/o da episodi con “convulsioni” durante il sonno; i deficit “post-critici” (un declino transitorio dell’efficienza cognitiva o motoria che si verifica con variabile durata dopo una crisi) possono essere più prolungati negli anziani rispetto agli adulti più giovani.

Così, se possono indurre un declino generale dell’efficienza di una persona anziana (fino a quadri di “pseudo-demenza”) che è facile interpretare in modo erroneo, mentre è potenzialmente reversibile dopo un trattamento appropriato con farmaci anti-crisi.