Il digiuno intermittente non fa male al cervello, nel senso che non ne compromette le funzioni cognitive. La conferma è arrivata da quello che è il più ampio studio condotto finora su uno degli aspetti più dibattuti del regime alimentare che prevede di saltare alcuni pasti. Il risultato sembra chiarire che non porterebbe a maggiori difficoltà di concentrazione, né a minori prestazioni del cervello.
Cosa è emerso dallo studio
La ricerca è stata condotta da due studiosi dell’Università di Auckland, in Nuova Zelanda, e poi pubblicata su Psychological Bulletin e The Conversation Si tratta della più ampia meta-analisi mai realizzata finora perché sono state passate al setaccio oltre 70 ricerche indipendenti, svolte tra il 1958 e il 2025, per un totale di 3.484 partecipanti coinvolti. Il risultato sembra chiarire che il digiuno intermittente non ha conseguenze negative in termini di performance del cervello, che dunque non risentirebbe di un regime alimentare che prevede di lasciare passare anche diverse ore tra alcuni pasti.
Il cervello non risente del digiuno
“Dopo aver unito i dati, la nostra conclusione è che non esiste alcuna differenza significativa nelle prestazioni cognitive tra adulti sani a digiuno e non a digiuno”, ha chiarito David Moreau, uno dei co autori dello studio. Nei test di memoria, concentrazione e attenzione, infatti, coloro che avevano mangiato a orari prestabiliti avevano ottenuto punteggi del tutto in linea e sovrapponibili rispetto a quelli di chi aveva mangiato in un arco temporale più ravvicinato ai test stessi. Da questo si deduce che le funzioni cerebrali non avevano risentito del digiuno.
Perché la concentrazione non diminuisce
La spiegazione, secondo i ricercatori, sta nel fatto che l’uomo è atavicamente predisposto anche ad affrontare periodi di scarsità di cibo. Quando le riserve di glicogeno, che rappresenta la principale fonte di glucosio immagazzinata nel corpo, si esauriscono, il metabolismo cambia il proprio funzionamento, andando ad attingere altrove. Nello specifico, inizia la cosiddetta chetosi: il corpo inizia a scomporre i grassi (invece dei carboidrati) in corpi chetonici, come acetoacetato e beta-idrossibutirrato, che diventano una fonte alternativa di energia per cervello e muscoli.
Cambia il funzionamento metabolico
Secondo gli esperti, dunque, anche con il digiuno intermittente si dimostra una “flessibilità metabolica”, che non danneggia il regolare funzionamento cognitivo. Verrebbe, quindi, smentito il timore di un calo di performance, insieme alla convinzione che il cervello, per mantenere le sue prestazioni in condizioni ottimali, avrebbe bisogno di un apporto costante costante di zuccheri – in termini di glucosio – e pasti regolari. Anche a livello cerebrale, quindi, si verificherebbe un cambio metabolico già noto a livello organico generale, in un contesto di digiuno intermittente.
I benefici in termini metabolici
Il digiuno intermittente, infatti, viene apprezzato anche dall’Associazione Nazionale Diabetologi per i potenziali benefici nella regolazione dei livelli di glicemia, a patto che sia effettuato sotto controllo medico. In soggetti nei quali non si possa andare incontro a effetti negativi, dunque, si potrebbe ottenere una riduzione del rischio di diabete di tipo 2, insieme al processo di detox noto anche come “autofagia”. Si tratta del meccanismo che si innesca in caso di digiuno, appunto, e che porta a distruggere le cellule “vecchie”, lasciando più spazio a quelle più giovani e sane, favorendo una rigenerazione complessiva.
Pro e contro
Ai benefici indicati anche dai diabetologi, però, si accompagna una certa prudenza da parte di tutti gli esperti di alimentazione. Gli effetti positivi, infatti, tenderebbero a ridursi nel lungo periodo e non sarebbero semplici da ottenere per tutti, a causa della difficoltà di mantenere una certa aderenza a questo tipo di regime alimentare. Inoltre, un’analisi condotta dal Centro di Ricerche Cliniche Mario Negri sottolinea un altro aspetto cruciale: il digiuno intermittente contribuisce al dimagrimento, ma principalmente perché porterebbe a mangiare meno. Il rischio, quindi, sarebbe di riprendere il peso perduto non appena tornati a un’alimentazione più standard e regolare.
Cosa accade sul periodo
Tutti gli esperti mettono in guardia dalla possibilità che un ritorno ad abitudini alimentari normali possa comportare una ripresa dell’apporto calorico e dunque anche di chili. Va anche considerato, secondo i nutrizionisti, che il digiuno intermittente andrebbe seguito solo dietro supervisione di un professionista che non solo indichi cosa mangiare, per evitare carenze alimentari, ma anche ‘quando’: i benefici di un digiuno intermittente, infatti, sarebbero maggiori se i pasti fossero concentrati nella fascia oraria tra le 7 e le 15, soprattutto per migliorare la sensibilità all’insulina e il controllo della glicemia. Al momento, comunque, molti studi sono ancora in corso e in fase preliminare, dunque spesso condotti su campioni animali.
Attenzione ai bambini
Un punto fondamentale sul quale c’è unanimità, infine, riguarda l’età dei soggetti che possono essere sottoposti a digiuno intermittente. Questo tipo di alimentazione, infatti, è altamente sconsigliata nella fascia pediatrica e, più in generale, nei giovani. Per chi è in fase di crescita, infatti, non dovrebbe mai venire meno un corretto e regolare apporto energetico. È uno dei motivi per i quali gli esperti di alimentazione consigliano sempre, ad esempio, di non far mai saltare la colazione ai figli, dal momento che rappresenta un momento importante per la nutrizione dei ragazzi e dei bambini (ma anche degli adulti).