Gli esperti lo chiamano “Binge Drinking”. È il meccanismo che porta a consumare elevate quantità di alcolici in breve tempo, sovraccaricando ovviamente il fegato che si trova quindi in condizioni non ottimali. Ci sono rischi, con questa tendenza. Soprattutto per i giovani, che non hanno ancora un ottimale sistema di metabolizzazione dell’alcol stesso.
Quindi il ripetersi di questa cattiva abitudine, soprattutto tra i giovani ma non solo, può risultare estremamente temibile per la salute di quello che è il “laboratorio” del nostro corpo. A ricordarlo sono gli esperti presenti a Roma in occasione del congresso dell’AISF – Associazione Italiana per lo Studio del Fegato.
Rischi in aumento con la pandemia
Nel periodo pandemico, secondo i dati PASSI d’Argento dell’Istituto Superiore di Sanità, il 57% degli adulti di età 18-64 anni ha dichiarato di aver consumato alcol nei 30 giorni precedenti l’intervista. Complessivamente il 17% degli intervistati ha fatto un consumo di alcol a maggior rischio per la salute, per quantità e modalità di assunzione: il 3% ne ha fatto un consumo abituale elevato, superando le soglie di consumo medio giornaliero indicate dalle linee guida internazionali, l’8% risulta un binge drinker e un altro 9% ha consumato prevalentemente alcol fuori pasto. Il consumo di alcol a rischio resta una prerogativa delle classi socialmente più avvantaggiate, per reddito o per istruzione, residenti nel Nord Italia ed è maggiore fra gli uomini.
Inoltre, nel 2020, il Sistema di Monitoraggio SISMA dell’ONA-ISS, le elaborazioni ISS dei dati Multiscopo ISTAT e i sistemi di rilevazione del Ministero della S. Proprio su questo aspetto si concentra l’attenzione degli esperti, preoccupati soprattutto per le giovanissime. Preoccupa infatti l’aumento del consumo tra le minorenni: tra 16 e 17 anni la frequenza delle consumatrici a rischio (40,5%) raggiunge quella dei coetanei maschi (43,8%); tra 11 e 15 anni 10 minori su 100 sono a rischio. Più in generale, comunque, il fenomeno del consumo concentrato di elevate quantità di alcolici in poco tempo appare diffuso.
Oltre 4 milioni di consumatori hanno abusato nel 2020, 930mila tra gli 11 e i 25 anni di età, con 120mila minori intossicati. “Durante la pandemia c’è stato un aumento nel consumo di alcolici misurato dalle vendite, che ha portato a un aumento dei ricoveri per epatite alcolica negli USA e a un incremento dei casi di trapianto di fegato per malattie alcol correlate in Nord Europa – sottolinea Alessio Aghemo, Segretario AISF.
In Italia non abbiamo ancora dati aggiornati, ma è ragionevole supporre che vi sia un impatto prolungato nel tempo. L’incremento delle complicanze probabilmente si verificherà nei prossimi 5-10 anni, poiché queste non sempre sono acute, e talora richiedono molto tempo per emergere”.
Ecco quando si esagera
Fate attenzione alle cattive abitudini, ricordano gli esperti. E per capire quanto alcol si può consumare, anche se rinunciare certo non fa male, ecco le osservazioni di Manuela Merli, Professore Ordinario di Gastroenterologia presso l’Università Sapienza di Roma: ”Attualmente le quantità di alcol che non sono considerate dannose in chi ha un fegato sano sono rispettivamente 3 unità di alcol negli uomini e 2 nelle donne durante la giornata. Una unità di alcol corrisponde a un bicchiere di vino o a una lattina di birra. Inoltre, a meno di 18 anni non si dovrebbe bere perché gli enzimi non sono ancora maturi per metabolizzare l’alcol.
Questi stessi enzimi anche dopo i 65 anni attraversano una riduzione di attività, che lascia intuire come anche la popolazione anziana dovrebbe moderare notevolmente il consumo di alcol. Tuttavia, l’alcol è sempre più diffuso nelle fasce giovanili, talvolta attraverso il fenomeno del binge drinking, per cui non si consuma abitualmente, ma in occasioni particolari si assumono più di 5 unità alcoliche in poche ore, determinando un effetto tossico importante sul fegato, col rischio soprattutto sui più giovani di provocare un coma etilico”.