Cosa sono le emozioni? A cosa servono? Come si accolgono e, soprattutto, come si gestiscono? Sono domande, queste, che tutti noi ci poniamo. Lo facciamo quando queste prendono il sopravvento e sembrano ingestibili, quando sono così intense da spaventarci, e lo facciamo anche tutte quelle volte che scegliamo di ascoltarle, per imparare a conoscerci, per crescere ed evolvere.
Non è facile riconoscere e gestire le emozioni. Non lo è per noi, né tantomeno per i bambini e i giovanissimi che non hanno ancora gli strumenti per farlo. Ma se questi gli fossero forniti durante l’educazione? È questa la domanda che si sono posti in Campidoglio quando a seguito di un Tavolo tecnico coordinato dallo psicologo e psicoterapeuta Aldo Grauso, e istituito per riflettere sul tema delle violenze nelle relazioni, è stato deciso di introdurre l’alfabetizzazione emotiva come materia scolastica.
Un progetto pilota, questo, pensato per le scuole primarie e secondarie e che vedrà la luce nel 2024 a Roma grazie a un’iniziativa nata dalla collaborazione tra Moige, Ufficio Regionale Scolastico del Lazio, Polizia Postale, Divisione di calcio sperimentale e paralimpico della FIGC, Dipartimento Sociale della Lega Nazionale Dilettanti e TikTok Italia.
Alfabetizzazione emotiva: a Roma diventa materia scolastica
“Da settembre – spiega Aldo Grauso alla Gazzetta dello Sport – “Abbiamo istituito in Campidoglio, in sinergia tra altre istituzioni, un Tavolo tecnico per promuovere un protocollo rivoluzionario sull’adozione di lezioni curricolari di alfabetizzazione emotiva per le scuole primarie e secondarie del Comune di Roma”. Il motivo di questa scelta è spiegata dallo stesso psicologo: “Lo scopo fondamentale è quello di autoconservazione e autotutela“.
In realtà non si tratta di una novità in senso assoluto, anche se sicuramente fa notizia il fatto che l’alfabetizzazione emotiva entrerà ufficialmente nelle aule di alcune scuole della Capitale. Da tempo, infatti, molti esperti si sono uniti in coro per promuovere a gran voce l’introduzione dell’educazione delle emozioni all’interno degli istituti scolastici.
Già alcuni anni fa, per esempio, l’Istituto Comprensivo Bruno De Finetti di Roma aveva presentato un progetto di alfabetizzazione emotiva per le classi in collaborazione con la dottoressa Simona Borromeo, insegnante di Scuola Primaria e psicologa. Aveva fatto lo stesso nel lontano 2017 anche l’Istituto Comprensivo Principe di Piemonte di Santa Maria Capua Vetere, Caserta, che con il programma “Emozioni e sentimenti” aveva portato nelle aule tutta una serie di lezioni e nozioni per allenare e sviluppare l’intelligenza emotiva.
La stessa Save The Children ha dichiarato in più occasioni che il ruolo della scuola è fondamentale rispetto al tema dell’educazione alle emozioni dei bambini e degli adolescenti per dare gli strumenti per riconoscere, accettare e vivere le emozioni con consapevolezza di se stessi e degli altri.
In un clima di incertezza come quello che stiamo vivendo e sperimentando, lo stesso in cui le nuove generazioni perdono punti di riferimento e neanche riconoscono la violenza, l’alfabetizzazione emotiva diventa lo strumento per fare luce sulle ombre che aleggiano sulla società. Sono in molti, infatti, a sostenere che l’educazione emozionale sia fondamentale per relazionarsi in maniera equilibrata con se stessi e con gli altri, per comprendere le violenze e contrastarle, per rispettare il prossimo e le sue emozioni.
Ma cos’è l’alfabetizzazione emotiva? E come può essere insegnata a chi ancora non ha gli strumenti giusti per comprenderla a pieno?
Cos’è l’alfabetizzazione emotiva
Riconoscere ciò che proviamo, saperlo accogliere e gestire non è un compito facile. Non lo è perché spesso le emozioni, così come i sentimenti, hanno un linguaggio che spesso appare indecifrabile e poco comprensibile. Eppure si tratta di un percorso necessario che tutti dobbiamo intraprendere prima o poi, per arrivare a conoscerci, a comprenderci e soprattutto a relazionarci con gli altri e con il mondo esterno.
Da questa consapevolezza nasce quella che viene chiamata dagli esperti alfabetizzazione emotiva. Il nome in qualche modo spiega già il suo significato: si tratta di un vero e proprio insegnamento che però non riguarda la scrittura, la lettura o una materia scolastica, ma le emozioni.
Uno dei primi sostenitori di questa educazione emozionale è stato Daniel Goleman, psicologo, scrittore e giornalista statunitense che ha insegnato ad Harvard. Nella sua carriera si è fatto promotore dell’intelligenza emotiva, un’abilità che può e deve essere sviluppata e che consente di conoscere e riconoscere le emozioni, quelle proprie e quelle degli altri.
Secondo Goleman l’intelligenza emotiva permette di sviluppare consapevolezza, motivazione, empatia e capacità di relazionarsi agli altri. Dai suoi numerosi studi, raccolti nel libro Emotional Intelligence, è emerso che quando queste capacità vengono a mancare, perché ignorate o sottovalutate, si manifestano inevitabilmente problemi e turbamenti già in età adolescenziale che possono sfociare anche nell’aggressività e nella violenza.
Per questo, secondo lo psicologo statunitense, è necessario portare in campo dei programmi di educazione e di prevenzione che permettano alle persone di sviluppare tutte quelle competenze sociali ed emotive che servono a relazionarsi con se stessi e con gli altri. È partendo da questi presupposti che l’alfabetizzazione emotiva ricopre un ruolo cruciale nell’educazione delle nuove generazioni e, in questo senso, fa altrettanto la scuola che è il luogo di incontro e di crescita di bambini e ragazzi.
Sono stati propri loro, in occasione del sondaggio Teen Community condotto da Fondazione Libellula, a indicare la scuola come il luogo migliore per la formazione e il confronto sul tema della violenza.
In cosa consiste l’educazione emotiva
Ma come possono le emozioni trasformarsi in materia scolastica? “Le competenze chiave per l’apprendimento permanente” – si legge su Centro Nova Mentis – “Riconoscono la necessità di un apprendimento che dura per tutto l’arco della vita e che è strettamente legato allo sviluppo di competenze socio-emotive e civiche”. Competenze, queste, che consentono di vivere in gruppo, di rispettare l’altro e di relazionarsi col mondo lì fuori.
Ancora oggi, però, la scuola basa il suo insegnamento solo sullo sviluppo delle capacità logiche e linguistiche, per questo è necessario un cambio di rotta. Il progetto che partirà nel 2024 nella capitale, e che mira a estendersi in tutta Italia, ha proprio come obiettivo quello di introdurre tra gli insegnamenti anche quello relativo delle emozioni.
Gli alunni, in questo senso, possono scoprire cosa vuol dire prendersi cura di sé e degli altri, fare proprio il concetto di fiducia, di rispetto e di accettazione in un contesto sociale, come quello scolastico, che consente anche la condivisione degli insegnamenti e delle stesse emozioni. In questo modo il dialogo, il confronto e la comprensione diventano il fulcro di un insegnamento totale e completo che non mira a educare solo la mente razionale, ma anche il cuore e l’empatia.
“A 18 anni è già tardi – ha spiegato Aldo Grauso alla Gazzetta dello Sport – occorre agire prima. Le evidenze scientifiche sottolineano che, se non si interviene dalla scuola elementare, ogni altra azione futura si traduce in “chiacchiere da bar”. Ore curricolari ministeriali e ore di alfabetizzazione emotiva, come una materia scolastica, sono l’unica via per intervenire in tempo perché i primi segni della comparsa di una disregolazione emotiva iniziano a manifestarsi nella seconda infanzia. Diversamente, c’è il rischio di mantenere alcune crisi non elaborate, pronte a manifestarsi con il primo fattore esterno scatenante”.