Sigfrido Ranucci, le parole del figlio Emanuele dopo l’attentato

La famiglia di Sigfrido Ranucci si è stretta intorno a lui dopo la bomba che ha minacciato tutti loro. Le parole del figlio minore Emanuele

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Martina Dessì

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“Vivo da sempre con il pensiero, il timore che ogni volta che saluto mio padre possa essere l’ultima”. Così scriveva Emanuele Ranucci, figlio del giornalista e conduttore di Report, in un post pubblicato su Facebook il 14 gennaio 2025, rispondendo a un articolo di Andrea Marcenaro apparso sul Foglio. All’epoca le sue parole avevano assunto il tono di una confessione amara, oggi suonano come una dolorosa premonizione.

Le parole di Emanuele Ranucci

Dieci mesi dopo, nella notte del 16 ottobre, un ordigno ha fatto saltare in aria l’auto di Sigfrido Ranucci davanti alla sua abitazione di Campo Ascolano, tra Roma e Pomezia. L’esplosione ha danneggiato anche la vettura di famiglia e parte della casa. “Mia figlia (Michela, ndr) è passata davanti alla mia auto pochi minuti prima dell’esplosione, potevano ammazzarla…” ha raccontato Sigfrido Ranucci, sconvolto ma lucido. Secondo una prima ricostruzione, l’attentato avrebbe impiegato almeno un chilo di esplosivo: un gesto intimidatorio gravissimo, diretto contro uno dei volti più noti del giornalismo investigativo italiano.

Di fronte alla casa ancora circondata dagli investigatori, Emanuele, uno dei tre figli, è stato raggiunto dai cronisti. “Non c’ero al momento dell’esplosione, ero a casa di un amico. Mi ha chiamato mia sorella”, ha detto senza fermarsi per altre domande. Le sue parole di dieci mesi fa, tuttavia, : “Vivo da sempre con il pensiero, il timore che ogni volta che saluto mio padre possa essere l’ultima”.

Quel post, tuttora visibile sul suo profilo Facebook, raccontava un’infanzia segnata dalla paura e dall’ombra costante delle minacce: “Credo sia inevitabile quando vivi per decenni sotto scorta, quando hai sette anni e ci sono i proiettili nella cassetta della posta di casa tua, quando ti svegli una mattina e trovi scientifica, Polizia, Carabinieri e Digos in giardino… o semplicemente quando ti abitui a non poter salire in macchina con tuo padre”.

La rubrica del Foglio che aveva suscitato la replica di Emanuele ricordava anche l’esperienza di Ranucci come inviato a Sumatra, dopo lo tsunami del 2004: “Era il 2005, per Ranucci sembrava fatta. È riuscito a tornare”.

Il ricordo di 20 anni fa

Nel suo lungo post, Emanuele rievocava quei giorni: “Ricordo perfettamente il periodo dello tsunami… Papà, contro il parere del suo direttore Roberto Morrione, decise di raccontare la tragedia dal cuore del disastro”. E poi il ricordo più intimo, quello di un bambino che comincia a comprendere la precarietà di un amore esposto al rischio: “Avevo cinque anni, erano circa quaranta ore che nessuno riusciva ad avere contatti con papà… Forse è stata la prima volta che ho avuto la sensazione che dovessi percepire la vita con lui come se fosse a tempo, con una data di scadenza”.

Ora, a indagini appena avviate per provare a individuare i responsabili, Sigfrido Ranucci ha ricevuto la piena solidarietà dei colleghi giornalisti ma anche di tante persone comuni, che nel pomeriggio del 17 ottobre si sono assiepate all’ingresso degli studi di Via Teulada per dimostrargli la propria vicinanza. “Siamo la scorta“, hanno detto in coro quando l’hanno visto affacciarsi al balcone della redazione di Report. Intanto, per la sua sicurezza, il Ministro Piantedosi ha disposto che sia rafforzata la scorta con l’auto blindata.