Il Massacro di Srebrenica. Una strage che non si può dimenticare

La condanna a Ratko Mladic ha chiuso uno dei capitoli più neri della storia d'Europa. Ma la strage avvenuta a Srebrenica è una ferita ancora aperta

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Pubblicato: 13 Giugno 2021 07:00

Nel luglio del 1995 la strage più grande e grave dell’Europa, dopo la Seconda Guerra Mondiale, veniva compiuta dalle milizie servo-bosniache sotto gli occhi dei soldati dell’ONU. Oggi, l’IRMCT (Meccanismo residuale per i Tribunali Penali Internazionali) conferma la condanna all’ergastolo per Ratko Mladic, il generale serbo, ormai 79 enne, ritenuto responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità.

Così, è stato messo un punto a uno dei capitoli più neri della storia d’Europa, il peggior massacro avvenuto dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma la strage di Srebrenica e di quegli oltre ottomila bosniaci musulmani uccisi, secondo un piano ben preciso e organizzato, non si può dimenticare.

Il Massacro di Srebrenica

Prima del massacro, Srebrenica era già protagonista di numerosi scontri, iniziati già nel 1992. Erano gli anni della dichiarazione di indipendenza della Bosnia dalla Yugoslavia. I servi bosniaci avevano già tentato di boicottare il referendum. Così, quando fu proclamata l’indipendenza iniziò una guerra particolarmente brutale e sanguinosa, appoggiata dal governo serbo di i Slobodan Milosevic, per ottenere l’annessione alla Serbia della loro regione.

Ratko Mladic
Fonte: Getty Images
Ratko Mladic

La Bosnia, all’epoca, era una delle più variegate repubbliche federali a maggioranza religiosa mussulmana. Ma c’erano anche serbi ortodossi e croati cattolici. Nei territori a maggioranza serba, però, iniziò quella che gli stessi leader del tempo hanno ribattezzato pulizia etnica, un termine aberrante che però restituisce tristemente tutte le azioni di distruzione operate ai danni dei paesi e dei villaggi musulmani. Lo scopo era uno soltanto: creare un territorio omogeneo: La Grande Serbia.

Srebrenica però, era un ostacolo a questo grande progetto. Tutta colpa di quell’indipendenza voluta e ottenuta, pagata comunque a caro prezzo. Nel 1993, vista la situazione disperata, intervenne anche l’ONU, dichiarando la città safe zone, vale a dire che entrambe le parti avrebbero dovuto interrompere le attività militari. Sul posto fu inviato anche un contingente militare olandese, ma nei mesi successivi entrambe le parti violarono gli accordi.

L’11 luglio 1995

Le truppe serbo-bosniache, comandate da Mladic, entrarono a Srebrenica l’11 luglio. Nonostante la presenza dei caschi blu olandesi, un accordo per l’occupazione della città fu raggiunto: “In questo 11 luglio 1995 siamo nella città serba di Srebrenica, facciamo dono di questa città al popolo serbo”, dichiarò Mladic.

La mattina dopo il comandante appariva tra le strade della città, intento a rassicurare tutte quelle persone emotivamente già  segnate da una guerra che era durata per troppo tempo. Potevano tirare un sospiro di sollievo, adesso. Sarebbe andato tutto bene.

Le donne, i bambini e gli anziani venivano fatti salire su un autobus per essere trasferiti in un’altra base Onu. La sorte degli uomini e dei ragazzi, però, era diversa. Loro venivano portati in un altro complesso chiamato la Casa Bianca, affinché venisse appurato che non facessero parte delle milizie locali. Questa erano le motivazioni ufficiali. La verità, però, è che dietro a quell’edificio il massacro era già iniziato.

In quei giorni, sotto gli occhi dei militari olandesi e degli altri rifugiati, si susseguivano episodi di violenza di ogni genere. Gli uomini venivano uccisi e le donne violentate: i miliziani serbi stavano attuando quello che secondo i tribunali internazionali era un massacro pianificato e ben coordinato.

Le esecuzioni era precise e uniformi: gli uomini venivano portati in luoghi lontani dalle zone abitate e uccisi con un colpo di pistola alla testa. Venivano poi spinti con dei bulldozer all’interno di fosse comuni. A perdere la vita, nel massacro di Srebrenica furono più di 8000 persone.

Negli anni, in diversi villaggi bosniaci vicino a Srebrenica, sono state ritrovate in diverse fosse comuni la maggior parte dei resti dei musulmani uccisi nel luglio del 1995. Vittime alle quali, grazie alle analisi del DNA, è stato potuto dare un nome.

fosse comuni

Durante quei giorni, i 600 caschi blu dell’Onu, non intervennero. Mladic e l’allora presidente della repubblica serba di Bosnia, Radovan Karadžić furono arrestati soltanto dopo diversi anni dal massacro. Si deve arrivare al 2004 per vedere l’ammissione di responsabilità nei confronti di tutto ciò che è stato da parte della Serbia. Eppure c’è ancora chi, come la Russia, ha messo il veto sulla parola genocidio in riferimento a quesi fatti.

Il sopravvissuto di Srebrenica e la sentenza su Mladic

A distanza di 26 anni dalla strage di Srebenica, nel giugno del 2021, il Tribunale dell’Aia ha confermato l’ergastolo all’ex generale dell’esercito serbo bosniaco, Ratko Mladic, ritenuto il responsabile del genocidio. Un verdetto, questo, che ha fatto giustizia rispetto a quello che è considerato all’unanimità, l’episodio di violenza più grave e atroce in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Sono trascorsi anni, migliaia di giorni di processi e oltre 90 condanne, e tutti quei morti possono riposare in pace ora che il “Boia”, così ribattezzato, è dietro le sbarre e resterà fino alla fine dei suoi giorni. Però c’è anche chi, quella sentenza, la utilizza per tornare al passato e riaprire conti irrisolti, e chi, invece, non si riconosce nelle decisioni dell’Aja perché “fieri della Repubblica serba”.

C’è chi, invece, tira un sospiro di sollievo vedendo chiudere uno dei capitoli più brutti dell’Europa, come Semso Osmanòvic che quel massacro lo ha vissuto sulla sua pelle. È uno dei sopravvissuti al massacro Srebrenica. A quei tempi aveva 13 anni, e quando i soldati arrivarono in città, sua mamma riuscì a metterlo in salvo insieme a sua sorella. Nel 1999 è arrivato in Italia e ora è docente di sociologia all’Università di Trieste.

“È stata fatta giustizia. Finalmente dopo 25 anni posso tornare a Srebrenica, a casa mia, nella mia cittadina. Posso dire anche che mi sento rinato dopo questa sentenza” – Ha dichiarato Semso Osmanòvic in un’intervista rilasciata a Vatican News“E’ stato un periodo lungo, ma la Corte internazionale ha dimostrato che nessuno è sopra la legge, nessuno può fare un genocidio, scappare e non venire punito per i suoi crimini. Per quanto riguarda la Bosnia è un forte messaggio da parte della comunità internazionale per la riconciliazione, la pace e il futuro”.

Semso Osmanòvic ha dichiarato che, finalmente, potrà tornare in Bosnia, a Srebrenica, dove ha sempre immaginato il suo futuro: “Non potevo vivere a Srebrenica prima della sentenza e vedere ogni giorno quelli che hanno ucciso mio nonno, mio fratello, i miei amici più stretti e i parenti” – ha confessato – “Io non vedevo il mio futuro a Srebrenica. Adesso sì. Sarà un processo lungo. Sono passati 25 anni, ma ci vorrà ancora qualche anno perché in Bosnia si raggiunga una tranquillità e una piena fiducia tra i popoli della Bosnia e tra la gente”.

memoriale di SrebrenicaâPotocari a Srebrenica
Fonte: Getty Images
Memoriale di Srebrenica a Potočari