Bonus mamme, la beffa non è finita: a cosa fare attenzione per l’assegno unico

Il bonus mamme delude le aspettative: stando ai calcoli della Fisac Cgil si tratta di una vera e propria beffa. Ecco perché

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Francesca Secci

Giornalista

Sarda, ma anche molto umbra. Giornalista pubblicista, sogno di una vita, da maggio 2023, scrive soprattutto di argomenti che riguardano l’attualità.

Il tanto discusso bonus mamme, introdotto dal governo Meloni come una misura di sostegno alle madri lavoratrici, si è rivelato essere una beffa. Un’analisi dettagliata condotta dalla Fisac Cgil ha rivelato che il taglio dei contributi previsto da questa misura non si traduce direttamente in un aumento proporzionale della retribuzione netta, portando a conseguenze indesiderate per molte famiglie.

Il bonus “invisibile” mamme

Inserito nella seconda manovra del governo, il bonus si presenta come una decontribuzione, una sorta di sconto sui contributi previdenziali versati mensilmente all’Inps dalle lavoratrici dipendenti con contratto stabile. Il bonus mamma infatti, è rivolto esclusivamente alle lavoratrici a tempo indeterminato con almeno due figli. Per le madri con almeno tre figli, l’esonero contributivo è previsto fino al compimento del 18° anno del figlio più piccolo, mentre per quelle con due figli è disponibile solo nel 2024 e fino al compimento del 10° anno del figlio più piccolo. La verità è che questo beneficio non è così vantaggioso come sembrava inizialmente.

Il bonus mamma prevede uno sgravo contributivo che può variare dal 2,19% al 9,19% del reddito lordo mensile, con un massimo di 250 euro al mese. Nonostante questa riduzione delle trattenute previdenziali, l’analisi della Fisac Cgil ha dimostrato che l’aumento della retribuzione netta non è pari alla somma risparmiata sui contributi. Questo perché la diminuzione dei contributi previdenziali fa aumentare il reddito imponibile fiscale, e di conseguenza l’Irpef da pagare.

Il bonus viene calcolato in base al reddito dell’individuo. Questo significa che le lavoratrici con stipendi più alti ottengono uno sconto maggiore, mentre per quelle con redditi più bassi l’aiuto si riduce proporzionalmente. Paradossalmente il bonus mamme si è rivelata essere una misura che favorisce principalmente le lavoratrici con redditi più alti.

Quanto si guadagna col bonus

La delusione non finisce qui. Oltre alla discrepanza tra le aspettative e la realtà dei benefici, le lavoratrici si trovano ad affrontare un’altra sfida: l’aumento del reddito imponibile lordo, che a sua volta fa salire le tasse. Questo significa che il bonus, anche se teoricamente vale fino a 250 euro lordi al mese, si traduce in un importo nettamente inferiore dopo le detrazioni fiscali. Un’illusione che si dissolve ulteriormente quando ci si rende conto che il bonus netto massimo è di soli 142 euro al mese o 1.700 euro all’anno.

Un’illustrazione concreta di questa situazione è data dalla tabella elaborata dalla Fisac Cgil, che mostra come l’aumento della retribuzione netta varia in base al reddito lordo mensile. Ad esempio, una lavoratrice con un reddito lordo mensile di 2.000 euro vedrà un aumento della retribuzione netta di soli 49 euro, nonostante uno sgravio contributivo di 64 euro, a causa dell’Irpef aggiuntivo di 15 euro. Questo schema si ripete anche per redditi più elevati: una lavoratrice con un reddito lordo mensile di 5.000 euro vedrà un aumento della busta paga di soli 142 euro, nonostante uno sgravio contributivo di 250 euro.

La situazione si complica ulteriormente considerando che l’aumento del reddito imponibile lordo può incidere negativamente sull’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee) dell’anno successivo. Ciò potrebbe comportare una riduzione dell’assegno unico per i figli e la perdita di altri benefici, come sussidi per l’asilo o agevolazioni sulle bollette.

Ma le criticità non finiscono qui. La Fisac Cgil fa notare che il bonus mamme si sovrappone all’esonero contributivo già esistente, noto come “taglio del cuneo“. In pratica, il governo Meloni ha aggiunto solo pochi euro in più alle lavoratrici madri, e questo vantaggio beneficia principalmente coloro con redditi più alti, lasciando escluse le lavoratrici precarie, autonome e domestiche.