C’è un articolo tra i più letti e condivisi nelle ultime settimane, che è in realtà un’intervista, pubblicata da Repubblica, al pedagogista Daniele Novara, autore di un libro dal titolo di per sé già molto esplicativo: “Non è colpa dei bambini. Perché la scuola sta rinunciando a educare i nostri figli e come dobbiamo rimediare”.
Si parte da un dato di fatto: l’incredibile boom di bambini problematici (iperattivi, aggressivi, con deficit dell’attenzione, con problemi di dislessia, disgrafia, discalculia) degli ultimi anni, con tanto di certificazioni mediche.
“Signora lo faccia vedere perché noi non lo gestiamo più”, è la frase ormai più ricorrente usata dagli insegnanti. E alzi la mano quel genitore che nella classe del proprio figlio non ha almeno qualche caso di bambino iperattivo o con DSA.
Il dubbio, sollevato dal pedagogista, è che i bambini una volta definiti semplicemente distratti o vivaci, oggi vengano “medicalizzati”, etichettati. Non senza conseguenza per gli stessi. Nel libro si punta il dito contro le troppe diagnosi sui bambini problematici, non in linea con le statistiche internazionali. E contro il sistema scolastico, che instilla nei genitori il dubbio dell’inadeguatezza dei propri figli.
Indice
La terapia si sostituisce troppo spesso all’educazione
Sostanzialmente la tesi del libro è: stiamo sostituendo la psichiatria all’educazione. In questi ultimi anni è diventato più facile definire “malato” un bambino che impegnarsi a educarlo in maniera corretta.
“Confondere un bambino molto vivace con un bambino affetto da Disturbo della condotta o da ADHD (Disturbo da deficit di attenzione e iperattività) è un grave errore – scrive Novara nel suo libro – È fondamentale fare chiarezza sulla sostanziale differenza tra le difficoltà che un bambino o un ragazzo può incontrare a causa dell’immaturità del suo sviluppo e una patologia vera e propria. La mia impressione è che nel dubbio si scelga la via della certificazione, quasi per non correre rischi, quasi per non lasciare i genitori senza una risposta”. Come per mettere le mani avanti, insomma. E delegare il problema a qualcun altro.
Il bambino che riceve una diagnosi si sente escluso ed etichettato
“Si tratta di una mortificazione – scrive Novara – Il bambino che riceve una diagnosi di disabilità o di disturbo dell’apprendimento non si sentirà per questo più aiutato e tranquillo. Questo è un grandissimo equivoco. Si sentirà al contrario escluso ed etichettato: il rischio è quello di disattivare le sue risorse. I bambini di risorse ne hanno tante, il loro cervello è plastico, la loro capacità di compensare le carenze è enorme. Le mosse giuste, a mio parere, sono di carattere educativo”.
L’etichetta viene interiorizzata dai bambini
I bambini interiorizzano la diagnosi. L’intervento di rafforzamento pedagogico dei genitori e della famiglia risulterebbe più efficace rispetto al porre una sorta di marchio sui bambini che, proprio a fronte di questo, vengono considerati “diversi” dai genitori stessi, contribuendo a giustificare una sorta di sottrazione di responsabilità genitoriale e scolastica.
L’educazione è la prima e vera cura
Daniele Novara sottolinea la necessità di una scuola diversa, di un restyling educativo per i genitori, del rispetto delle diverse tempistiche di apprendimento dei ragazzi e soprattutto delle insidie che si nascondono dietro queste certificazioni ed etichette, principalmente per quanto riguarda l’autostima di bambini e ragazzi. Novara dà inoltre alcuni consigli a genitori e insegnanti, invitando a resistere prima di ricorrere alle diagnosi: “La terapia va lasciata ai casi specifici e particolari, l’educazione è la prima vera cura”.
Anziché parlare di neuropsichiatria, andare a cercare nel cervello di questi bambini cosa (qualcosa) che non vada, indaghiamo di più nell’educazione, nell’informare i genitori, nell’aiutarli alla giusta educazione dei loro figli.
Dice ancora Novara: “Ci sarebbe bisogno di una legge nazionale di sostegno alla genitorialità, di progetti a supporto dei genitori. Invece di eccedere con le diagnosi, medicalizzazioni e certificazioni della più svariata natura, preveniamo l’orfanità educativa e attiviamo le potenzialità di una risorsa indispensabile: le madri e i padri”
Alcuni consigli di buona educazione
Intanto il sonno, essenziale. I bambini devono dormire almeno 11-12 ore, e ci vogliono sempre dei pisolini.
I dispositivi elettronici, dannosissimi. Lasciare i bambini tutto il pomeriggio davanti ai tablet, oltre alla questione degli schermi che li ipnotizzano, è evidente che i bambini sedentari rischiano di ammalarsi.
Spiega Novara: “Molti insegnanti pretendono di avere in classe dei bambini sedati, che parlino come adulti, che non abbiano più uno straccio di pensiero magico, che non siano più vivaci, disordinati. La scorciatoia imboccata, la più semplice e immediata, consiste nel consegnare figli e alunni nelle mani di medici, psichiatri, neuropsichiatri, psicologi, pediatri, logopedisti, etc”.
Il boom delle certificazioni è un business?
Il dubbio che le certificazioni di bambini e ragazzi siano un settore attorno al quale ruotano significativi interessi economici si pone seriamente. Negli ultimi anni anche l’aumento dei bambini e ragazzi seguiti dai servizi di neuropsichiatria infantile delle aziende sanitarie locali e dai centri privati è stato significativo e concorre a confermare la corsa alle certificazioni. Si è verificata un’esplosione di centri privati di diagnostica sia di disabilità che di DSA, che fino a un decennio fa non esistevano. I centri privati, accreditati o meno, rilasciano anche diagnosi di varia natura, che fino a prima della normativa sui BES non comportavano nessuna conseguenza sul piano scolastico ma che oggi possono garantire in qualche modo un’etichetta.
I bambini possono essere salvati, puntando sull’educazione
“Non ha senso sostituire l’educazione con la neuropsichiatria. I bambini possono essere salvati aiutando i genitori a fare dei buoni programmi educativi per i loro figli. Non è certo una cosa di cui si occupa la figura del neuropsichiatra: non è un pedagogista, è un medico. Il cervello dei bambini è quanto di più plastico e trasformabile l’uomo abbia a disposizione per adattarsi all’ambiente e alle sue richieste. I bambini hanno la possibilità di farcela se messi nelle condizioni di poter esprimere le loro potenzialità e compensare le competenze ancora non sviluppate.
Viviamo un paradosso: invece di puntare su questa plasticità, di attivare tutti gli strumenti pedagogici che abbiamo a disposizione per stimolare i processi, ci focalizziamo sui problemi. Puntiamo sul bicchiere mezzo vuoto invece che su quello mezzo pieno. Non ha davvero senso fare la guerra all’immaturità infantile e adolescenziale, perché in quella stessa immaturità si nascondono le potenzialità del futuro di tutti noi. Si parla tanto di dislessia nel passato di Einstein ma, se avesse avuto una certificazione di questo tipo, sarebbe diventato lo stesso il genio che conosciamo?”.