La disperazione e il suicidio. La storia di Tiziana Cantone, uccisa dal web

Dopo la diffusione in rete di alcuni filmati, e nutrita dalla vergogna e dalla disperazione, Tiziana Cantone ha scelto di morire. Questa è la sua storia

Foto di Sabina Petrazzuolo

Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Aveva 33 anni, Tiziana, quando ha scelto di abbracciare la morte. Probabilmente considerandola l’unica e confortante alternativa a quel mondo che, proprio sotto i suoi piedi, si era sgretolato, fino a frantumarsi.

Non c’erano più i sorrisi di un tempo, quelli ormai erano impressi solo nelle vecchie e sbiadite fotografie. Non c’erano più i sogni straordinari, gli obiettivi e i desideri. Non c’era più la voglia di vivere. C’era solo la volontà di isolarsi, di nascondersi dalle risate assordanti, dai giudizi e dai commenti di chi, troppo spesso, agisce senza riflettere. C’era la vergogna, ed era l’unica compagna di Tiziana. E chissà se lo aveva capito che erano gli altri a doversi vergognare, e non lei.

No, Tiziana Cantone, non lo sapeva. Per questo aveva scelto di nascondersi, di lasciare il lavoro e di allontanarsi da tutti. Ci aveva provato, per un po’, ad aggrapparsi alla speranza di ricominciare sotto un altro cognome. Ma alla fine la disperazione aveva preso il sopravvento. Così il 13 settembre del 2016 si è tolta la vita nella casa di sua zia. A sancire la fine un foulard, stretto in un nodo attorno alla gola.

Chi era Tiziana Cantone

Nata a Casalnuovo di Napoli, il 15 luglio del 1983, Tiziana era la figlia di Maria Teresa Giglio. Suo padre, invece, non lo aveva mai conosciuto dato che aveva scelto di abbandonare la famiglia proprio dopo la nascita della sua bambina. Così è cresciuta insieme alle due figure femminili più importanti della sua vita: sua madre e sua nonna. Dopo il diploma al liceo classico, Tiziana si è iscritta all’Università di Giurisprudenza, che poi ha lasciato per dedicarsi all’attività di famiglia.

Quello che sappiamo della vita di Tiziana Cantone, negli anni successivi, è quello che è emerso prepotentemente agli onori della cronaca. Era una giovane donna e, come tutte, aveva libero arbitrio sulla sua vita sessuale e sentimentale. Aveva scelto di filmare alcuni dei rapporti sessuali avuti negli anni con diversi uomini e di inviarli tramite whatsapp ad alcune persone che frequentava. Lo aveva fatto per divertimento, per provocazione, per attenzione o per esibizionismo. Questo noi non possiamo saperlo. Quello che sappiamo, invece, è che era suo il diritto e il dovere di scegliere cosa fare della sua vita e dei suoi rapporti.

Non era un diritto degli altri, invece, divulgare quei filmati. Così il 25 aprile del 2015 Tiziana riceve una telefonata inaspettata. È un suo amico che l’avvisa di averla vista in un filmato pubblicato su un sito di contenuti a luci rosse. Lei riconosce le immagini, sa di averle mandate e ricorda anche a chi, ma questo non basta a fermare l’effetto domino che la diffusione di quelle ha provocato.

Il video e le immagini si diffondono a macchia d’olio. Su altri portali simili, ma anche sulle chat di messaggistica istantanea e sui social network. Tiziana diventa un fenomeno virale che non si può fermare. Su di lei ci sono meme, frasi, immagini modificate e persino gadget goliardici.

È allora che Tiziana chiede aiuto. Lo fa alle autorità attraverso le denunce con la speranza che i colpevoli paghino. Lo fa con la richiesta al diritto all’oblio affinché più nessuno possa trovare più nulla che la riguardi in rete. Alla fine decide anche di cambiare il proprio cognome, adottando quella della mamma. Tuttavia Tiziana Cantone, da quel momento in poi Giglio, non riesce a ricominciare e, anzi, incontra numerose difficoltà. Alla fine, convinta di non aver più una via d’uscita, decide di morire. Si impicca con un foulard nello scantinato della casa della zia il 13 settembre del 2016.

La richiesta d’aiuto

Ci aveva provato, Tiziana, a cercare una via d’uscita da quell’incubo. Lo aveva fatto più e più volte, ma senza successo. Un mese dopo aver scoperto che i suoi filmati erano finiti in rete, aveva deciso di denunciare alla procura di Napoli quello che stava succedendo. Alle autorità fa i nomi di quattro uomini, quelli ai quali lei aveva inviato sei video, colpevoli secondo lei di averli diffusi in rete.

Le autorità vanno così alla ricerca degli accusati, ma dopo aver controllato e sequestrato gli smartphone e i device degli indagati, gli uomini risultano totalmente estranei ai fatti. Avevano ricevuto i video da Tiziana Cantone, ma non erano stati loro a divulgarli sul web.

Nel luglio dello stesso anno, con la speranza di porre fine a quell’incubo, Tiziana Cantone chiede la rimozione dal web dei sei video diffusi e di tutti i contenuti legati a lei. Per il magistrato, però, questo non è possibile a causa dell’alta viralità degli stessi. L’unica cosa che si può fare è quella di imporre ai social network, come Facebook, Twitter e Youtube, e ai motori di ricerca Google e Yahoo, di rimuovere ogni post o pubblicazione con diretti collegamenti alla sua persona.

Una magra consolazione, questa, per Tiziana, che alla fine della vicenda viene anche condannata a pagare le spese legali ai siti in questione per un totale di circa 2000 euro.

“Uccisa dal web”

Il 13 settembre del 2016, ormai rassegnata e senza speranza, Tiziana Cantone sceglie di suicidarsi. Dal quel momento, l’attenzione mediatica intorno al caso è altissima.

Per gli inquirenti non ci sono dubbi: si tratta di un gesto disperato di una donna stanca e depressa. Tuttavia alcuni investigatori si muovono verso l’ipotesi di omicidio facendo riferimento proprio al foulard con il quale Tiziana si sarebbe impiccata. Quell’accessorio non poteva reggere il corpo della donna, né tantomeno provocarle il solco di 2,5 centimetri sul collo.

Si aprono così le indagini per istigazione al suicidio. Vengono interrogati il suo ex fidanzato, Sergio di Palo, e gli uomini accusati precedentemente da Tiziana per la diffusione del video. Nessuna prova fu trovata e nessuno di loro fu iscritto nel registro degli indagati. Alla fine il caso venne chiuso e archiviato come suicidio.

Chi non crede a questa tesi, però, è Maria Teresa Giglio, la madre di Tiziana. È lei che, nel 2020, chiede ai giudizi di riesumare la salma di sua figlia per un’autopsia, che per altro non fu effettuata dopo la sua morte. A seguito delle sue richieste, il caso è stato riaperto.

Risonanza mediatica e indagini in corso

La storia di Tiziana Cantone ha avuto una risonanza mediatica molto importante, costringendo in qualche modo l’opinione pubblica alla sensibilizzazione nei confronti della diffusione di condivisioni di immagini e video intimi senza il consenso della persona che ne è protagonista, ma anche del cyberbullismo. Lo stesso caso, infatti, ha portato alla nascita di una legge in Italia per prevenire e contrastare il cyberbullismo.

Nel 2018, al Senato italiano, viene presentata una petizione firmata dal popolo con la richiesta di inserire casi come quello di Tiziana tra i reati previsti nel codice penale. Nel 2019 viene ufficialmente approvata la legge, entrata in vigore nel mese di agosto dello stesso anno.

Il caso di Tiziana Cantone non solo non è stato dimenticato, ma non è ancora chiuso. Gli avvocati di Teresa Giglio, infatti, si sono opposti alla decisione del pubblico ministero che, dopo la riesumazione della salma, ha riconfermato la prima ipotesi, ovvero quella del suicidio legato alla diffusione dei video. Un’archiviazione che però non ci sarà almeno fino a quando la Procura effettuerà nuove indagini per stabilire se il decesso è venuto da asfissia per impiccagione.