Parlare di maternità, oggi, è più difficile che mai. Lo è perché in una società ancora così saldamente legata al patriarcato il rischio è che tutte le battaglie condotte fino a questo momento siano vanificate.
Lo abbiamo detto tante volte, e non ci stancheremo mai di ripeterlo: la maternità non rende una donna completa, né tanto meno serve ad assolvere quello che qualcuno pensa sia un ruolo naturale. La maternità non può essere imposta dalle aspettative degli altri, ma deve essere una scelta esclusiva, soggettiva ma soprattutto libera.
Ma la maternità non può neanche essere considerata alla stregua di una malattia invalidante, o di un problema penalizzante, come succede oggi in tantissime realtà lavorative. Basti pensare a tutte quelle aziende che in fase di colloquio chiedono alle donne se hanno intenzione di fare figli o quelle che le mamme non le assumono affatto. O, ancora all’Arma dei Carabinieri che, nei bandi, chiede alle donne di presentare un test negativo per poter partecipare a concorsi interni.
Test di gravidanza alle carabiniere: la situazione
È una polemica, questa che si è diffusa negli ultimi giorni, che divide il Paese e che apre tantissimi spunti di riflessione dove al centro c’è sempre lei, la maternità che si scontra con una visione che è stata predominante e opprimente per le donne per secoli.
A parlare della situazione e del disagio vissuto dalle carabiniere italiane è stata Gina Perotti, segretaria nazionale dell’Unione sindacale italiana carabinieri (Usic) e responsabile del dipartimento Pari opportunità, denunciando la situazione nel nostro Paese su Repubblica.
Lo spiega lei cosa succede. Per entrare a far parte dell’Arma dei Carabinieri, o per partecipare a concorsi interni volti a passaggi di carriera, alle donne è richiesto un test di gravidanza negativo. In caso positivo, ovviamente, le candidate sono escluse e rinviate al prossimo concorso.
“In modo anacronistico, il ministero della Difesa nei bandi di concorso chiede ancora alle donne il test di gravidanza, anche per la partecipazione a concorsi interni della durata di poche settimane”, spiega Gina Perrotti a Repubblica, citando l’articolo 9 del Bando che regolamenta la richiesta. Il test deve essere svolto nei cinque giorni che precedono la domanda di presentazione al bando. Il motivo, si legge, è quello di garantire lo svolgimento in sicurezza di tutti gli accertamenti psico-fisici.
L’accusa e la difesa
Le parole della sindacalista di Usic non sono passate inosservate e, al contrario, hanno sollevato una polemica che offre diversi spunti di riflessione. Immediata è stata la reazione di molte carabiniere che vivono questa situazione di disagio che ha fatto da eco alle denuncia della Perotti.
Ma anche lo Stato maggiore della Difesa è intervenuto, specificando che la richiesta del test è una misura necessaria per evitare penalizzazioni durante le prove fisiche in fase consensuale. Eppure questa risposta non convince la Perotti che fa leva sul fatto che la stessa “premura” non è riservata alle colleghe che lavorano in polizia, e che svolgono le loro stesse attività.
Così come specifica che la prova fisica alla quale sono sottoposte le carabiniere, altro non è che una corsa piana di 1000 metri, piegamenti sulle braccia e salto in alto, attività queste che tutte le donne possono scegliere di fare o non fare perché “sono in grado di autotulerasi”– afferma la Perotti –“senza che sia nei requisiti di un bando”.