L’11 maggio del 2016, durante un mercoledì qualunque di primavera, veniva approvata la legge Cirinnà con 372 sì, 51 no e 99 astenuti. Nata dal disegno di legge Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze di cui Monica Cirinnà, senatrice del Partito Democratico, è stata la prima firmataria dell’iniziativa parlamentare, la legge è spesso indicata e riconosciuta con il suo nome.
Attesa, voluta e sperava, la legge che finalmente ha regolamentato l’unione civile tra persone delle stesso sesso e ha disciplinato le convivenze di fatto, ha permesso al nostro Paese di uscire dal torpore culturale medievale e di superare la concezione di famiglia tradizionale.
Certo, le polemiche a seguito dell’approvazione sono esistite, e persistono ancora, da tutti coloro che sostengono ancora la sola unione solenne tra uomo e donne consacrata dal matrimonio. ”La Cirinnà è una legge sbagliata. A questo punto perché limitarsi al matrimonio tra due persone, facciamo anche quattro o cinque”, avevano contestato alcuni esponenti della Lega. Ma la decisione era stata presa e l’Italia, finalmente aveva, e ha, le sue unioni civili!
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Chi è Monica Cirinnà
Politica, senatrice e battagliera, riconosciuta all’unanimità come paladina delle unioni civili. La senatrice del Partito Democratico, oggi, conta un sostegno trasversale da parte dei movimenti ambientalisti e di quelli dei diritti civili, nonché di tutte le persone che, grazie a lei, hanno ottenuto la tanto agognata parità. Al suo cognome, infatti, è legata l’omonima legge che ha regolamentate le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze. Grazie a lei, le coppie omosessuali hanno potuto, finalmente, usufruire dell’unione civile.
Nata il 15 febbraio 1963 a Roma, e sposata con il suo collega di partito Esterino Montino, Monica Cirinnà è da sempre stata una donna libera. Nonostante sia nata e cresciuta in una famiglia cattolica, ha da sempre sostenuto il superamento della concezione della famiglia tradizionale. È inoltre impegnata in diverse iniziative a tutela degli animali.
Cosa sono le unioni civili
La legge Cirinnà ha permesso all’Italia di fare un grande passo avanti e di proiettarsi, finalmente, verso il futuro. Grazie all’approvazione della Legge 20 maggio 2016, n. 76, è stata regolamentata l’unione civile tra persone dello stesso sesso alle quali sono stati riconosciuti i diritti inviolabili dell’uomo (articolo 2 della Costituzione) e quelli sulla pari dignità sociale dei cittadini senza distinzione di sesso (articolo 3 della Costituzione).
L’unione civile, oggi, può essere celebrata tra due persone maggiorenni da un ufficiale di Stato e in presenza di due testimoni. Gli atti dell’unione, insieme a quelli anagrafici e personali, vengono registrati e depositati all’interno dell’archivio dello stato civile. La legge estende alle coppie gli stessi diritti previsti dal matrimonio civile. Per questo con l’unione le parti possono stabilire di condividere lo stesso cognome.
Sono escluse dall’unione civile le persone già sposate, quelle interdette per malattie mentali, i parenti e quelle che condannate per omicidio.
Unioni civili e matrimoni: differenze
Le unioni civili regolamentate dalla legge Cirinnà presentano molti diritti e doveri in comune con il matrimonio. Il comma 20 afferma con chiarezza che tutte le leggi che contengono la parola coniugi, si applicano indistintamente anche alle persone che si sono unite civilmente.
Tra le distinzioni di carattere burocratico troviamo quelle riguardanti il periodo di separazione (sei mesi per il matrimonio, tre per l’unione civile), la possibilità di sciogliere l’unione del matrimonio se questa non viene consumata e le pubblicazioni. Tuttavia, le distinzioni maggiori riguardano l’obbligo di fedeltà e la stepchild adoption, entrambe presenti nel testo originale della proposta di legge, ma eliminate dopo il voto del Senato.
La stepchild adoption riguarda la possibilità che viene data al genitore non biologico di adottare il figlio del partner. Per le coppie eterosessuali l’adozione viene concessa dopo almeno tre anni di matrimonio.
L’obbligo di fedeltà, invece, non è previsto. Nel matrimonio, invece, le parti acquisiscono gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri, tra i quali l’obbligo reciproco all’assistenza morale, materiale e alla coabitazione.
Per quando riguarda il divorzio sono previste le stesse modalità del matrimonio con la possibilità di separarsi in soli tre mesi dalla dichiarazione.
Le coppie di fatto
La seconda parte della legge Cirinnà, invece, ha disciplinato la convivenza di fatto tra due persone, sia eterosessuali che omosessuali. Grazie a queste disposizioni, le persone non sposate, possono stipulare dei contratti di convivenza che dimostrano l’esistenza di due persone unite stabilmente da legami affettivi e reciproca assistenza morale e materiale.
È bene ricordare che, la convivenza di fatto non rappresenta uno stato familiare e, l’unione, è caratterizzata dall’assenza di vincoli giuridici, motivi per cui c’è una maggiore libertà dei componenti di questa unione.
Le coppie di fatto possono optare per il regime patrimoniale della comunione dei beni sempre dopo la sottoscrizione di un contratto di convivenza con atto pubblico o scrittura privata, ma convalidato da un avvocato o un notaio. Questi contratti possono contenere indicazioni sul regime patrimoniale, che può essere modificato, modalità di contribuzione e residenza. Inoltre, grazie al riconoscimento delle coppie di fatto, sono state concesse ai conviventi gli stessi diritti che spettano al coniuge in caso di malattia, ricovero o morte.
Il contratto di convivenza può essere annullato per accordo tra le parti o per recesso unilaterale, per la morte di uno dei due contraenti, ma anche nel caso in cui la coppia decida di unirsi civilmente o di sposarsi. La risoluzione del contratti di convivenza, comunque, determina anche lo scioglimento dell’eventuale regime patrimoniale della comunione dei beni.
In caso di morte del proprietario della casa comune, il convivente ha diritto a continuare a vivere nella stessa casa per due anni o comunque a un periodo pari della convivenza salvo che questo non superi i 5 anni. Il diritto viene revocato qualora il convivente in vita smetta di abitarci continuamente, in caso di matrimonio, di un unione civile o di una nuova convivenza di fatto.
A proposito, invece, dell’assegno di mantenimento, il giudice può stabilire il diritto del convivente di riceverlo dall’altro convivente qualora questo si trovi in stato di bisogno economico. Le prestazioni di assistenza materiale dovute per legge sono assegnate per un periodo proporzionato alla durata della stessa convivenza.