Morta l’orca più sola al mondo: Kshamenk era vissuta 33 anni in cattività

Kshamenk era un esemplare maschio di orca assassina, che ha lasciato questo mondo vedendogli negata la possibilità di tornare a nuotare, felice, nell'oceano

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Nicoletta Fersini

Giornalista, Content Editor, SEO Copywriter

Giornalista ed evocatrice di parole: appassionata di lifestyle, tv e attualità. Inguaribile curiosa, osserva il mondo. Spesso sorseggiando un calice di vino.

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Il mondo ha detto addio a Kshamenk. Forse per alcuni è un nome sconosciuto, ma per molti è più di questo: è un vero e proprio simbolo. Kshamenk era l’ultima orca assassina tenuta in cattività in Sud America. Ha vissuto per ben 33 anni in una vasca del parco acquatico Mundo Marino di San Clemente del Tuyú, in Argentina, e domenica 14 dicembre se n’è andata per sempre per un arresto cardiaco.

Kshamenk aveva circa 33-35 anni, un’età che in libertà avrebbe rappresentato soltanto metà della sua vita potenziale. Sono tanti, troppi gli elementi che stridono in questo racconto. Si è spenta lontano dalla libertà che avrebbe meritato, ma la sua profonda solitudine, finalmente, ha avuto fine.

Una vita intera in una vasca

Sin dai primi anni ’90, Kshamenk ha vissuto chiuso in una vasca angusta. Dopo il suo arrivo a Mundo Marino ha conosciuto soltanto l’isolamento, condividendo l’acqua solo con uno o due delfini tursiopi come compagnia, senza mai avere altri esemplari della sua specie al proprio fianco.

La sua casa è stata una vasca lunga pochi metri e profonda poco più di qualche palmo, cosa che non gli ha mai permesso di nuotare come farebbe una qualunque orca assassina libera nell’oceano. Come ricorda PETA (People for the Ethical Treatment of Animals, organizzazione no-profit a sostegno dei diritti animali), questa “orca dimenticata” trascorreva le sue giornate “girando in tondo sotto il sole cocente, in una piscina così piccola da nuotare in continuazione in cerchio”.

Questa condizione di confinamento estremo ha donato a Kshamenk una vita di enorme frustrazione. Veterinari e staff di Mundo Marino hanno cercato di curarlo e stimolarlo, ma l’ambiente in cui è vissuto non gli ha offerto mai stimoli naturali.

Per i primi anni di prigionia Kshamenk ha avuto accanto un’altra orca, Belén, salvata anch’essa da uno spiaggiamento. Con lei ha cercato di riprodursi, ma senza successo, finché la compagna è morta nel 2000. Da quel momento è rimasto da solo.

Un salvataggio diventato prigionia

Kshamenk era nato libero, nell’Atlantico meridionale. Non era un esemplare nato in cattività, come spesso accade. Il suo destino è cambiato quando, nel 1992, è stato trovato intrappolato in una baia vicino a Buenos Aires insieme ad altre orche. Arenato, disidratato e ustionato dal sole, a intervenire in suo soccorso era stato il personale del marco Mundo Marino: dapprima era stato portato e curato a San Clemente, poi, dopo la riabilitazione, i veterinari avevano dato il veto al suo ritorno in mare: Kshamenk, ormai dipendente dagli esseri umani, non avrebbe saputo più cavarsela da solo.

Questa è la versione ufficiale, diffusa da Mundo Marino, che ha sempre sostenuto che quell’intervento sia stato un’autentica operazione di salvataggio. Una versione che le associazioni di protezione animali hanno sempre guardato con un certo scetticismo. La Whale Sanctuary Project, ad esempio, sospetta che l’orca assassina sia stata forzata sugli scogli, “inscenando” un salvataggio per aggirare i divieti contro la cattura commerciale di questi animali.

La battaglia degli animalisti

Qualunque sia la verità, è inequivocabile che Kshamenk abbia vissuto la sua intera esistenza come “pupazzo da salotto”, per utilizzare una definizione coniata dall’attivista americano Ric O’Barry.

In questi decenni sono nate decine di iniziative in tutto il mondo per ottenere la liberazione o il trasferimento dell’orca assassina. Una di queste, ad esempio, è partita dall’Italia nel 2013: una petizione che ha raccolto oltre 12.000 firme per chiedere il suo trasferimento in un santuario marino. Alla fine del 2023 quasi 700.000 persone hanno firmato un’altra petizione globale per chiedere un destino più dignitoso per Kshamenk.

Ma le iniziative si sono spostate anche su un piano più “alto”. Sono stati persino presentati progetti di legge all’Assemblea argentina, accanto a campagne sui social e richieste ufficiali per portarlo in un santuario marino. Ma Mundo Marino si è sempre opposto a ogni spostamento, ribadendo che Kshamenk stesse bene e che non mostrasse alcun segno di stress.

Gli animalisti di tutto il mondo si sono fatti sentire a gran voce, nell’ambito della campagna Free Kshamenk: “Se non ora, quando?”, questo il loro grido, anche alla luce della liberazione di Tokitae (Lolita), un’altra orca assassina che ha vissuto in cattività per ben 55 anni.

Non solo un animale, ma un simbolo. Questo era diventato Kshamenk che, finalmente, ha smesso di soffrire.