Henri Cartier-Bresson, il pioniere del fotogiornalismo: biografia e curiosità

Henri Cartier-Bresson è stato un grandissimo fotografo francese soprannominato “occhio del secolo”. La sua vita privata e carriera

Foto di Stefania Bernardini

Stefania Bernardini

Giornalista

Giornalista professionista dal 2012, ha collaborato con le principali testate nazionali. Ha scritto e realizzato servizi Tv prevalentemente di cronaca, politica, economia e spettacolo

Pubblicato: 5 Agosto 2016 16:50Aggiornato: 22 Settembre 2024 13:27

Henri Cartier-Bresson è uno dei fotografi che ha saputo raccontare al meglio il XX secolo. Considerato il pioniere del fotogiornalismo, è anche noto come “occhio del secolo”, proprio perché, attraverso le sue immagini, ha immortalato la realtà facendola diventare storia. Teorico dell’istante decisivo in fotografia, ha anche contribuito a portare la fotografia di stampo surrealista, ispirata a Eugène Atget, a un pubblico più ampio. È stato uno degli esponenti più importanti della cosiddetta fotografia umanista.

Chi era Henri Cartier-Bresson

Henri Cartier-Bresson nasce a Chanteloup-en-Brie nella regione dell’Ile de France il 22 agosto del 1908 da una famiglia dell’alta borghesia. Grazie allo zio Louis, si appassiona presto alla pittura e comincia a studiare con gli artisti Jacques-Émile Blanche e André Lhote che lo iniziano all’ambiente dei surrealisti francesi.

Al ritorno dal suo primo viaggio in Costa d’Avorio, una fotografia di Martin Munkacsi fa nascere in Henri la passione per la macchina fotografica. “È stata quella foto a dar fuoco alle polveri, a farmi venir voglia di guardare la realtà attraverso l’obiettivo”, dirà in seguito Cartier-Bresson. Nel 1932 compra quindi la Leica 35 mm con lente 50 mm che lo accompagnerà per molti anni.

Il cinema e la resistenza francese

A metà degli anni ’30 Henri trova lavoro come assistente del regista francese Jean Renoir in “La vita è nostra”, film nel quale è presente l’ispirazione politica del Fronte popolare e, nel 1937, firma personalmente il film “Return to Life (Victoire de la vie)”. Dopo questa esperienza decide di partire per l’Asia. Intanto, nel 1934, aveva conosciuto David Szymin, un fotografo e intellettuale polacco, che più tardi cambierà nome in David Seymour (1911–1956).

Szymin presenta il giovane Bresson a un fotografo ungherese, Endré Friedmann, che verrà poi ricordato col nome di Robert Capa. Intanto, durante la Seconda Guerra Mondiale, Henri entra nella resistenza francese, continuando a svolgere costantemente la sua attività fotografica. Nel 1940 viene catturato e imprigionato dalle truppe naziste ma, dopo tre tentativi, riesce a fuggire dal carcere. Al suo rientro si unisce a un’organizzazione di assistenza ai prigionieri evasi e nel 1944 fotografa la liberazione di Parigi.

Finita la guerra, ritorna al cinema e dirige il film “Le Retour”, un documentario sul ritorno in patria dei prigionieri di guerra e dei deportati. Nel 1946 viene a sapere che il MOMA di New York intende dedicargli una mostra “postuma”, credendolo morto in guerra. Si mette quindi in contatto con il museo e dedica oltre un anno alla preparazione dell’esposizione, inaugurata nel 1947.

Negli anni successivi è negli Stati Uniti dove lavora come fotografo per Harper’s Bazaar. Nel frattempo fona con Robert Capa, George Rodger, David Seymour e William Vandivert, l’agenzia Magnum che diventerà famosa in tutto il mondo.

I reportage in giro per il mondo di Henri Cartier-Bresson

La fotografia porta Henri Cartier-Bresson a compiere innumerevoli viaggi in cui realizza numerosi reportage che lo rendono famoso in tutto il mondo. Va in Cina, in Messico, in Canada, negli Usa, a Cuba, in India e in molti altri Paesi. È il primo fotografo occidentale che riesce a fotografare liberamente nell’Unione Sovietica del dopoguerra.

Tra il 1951 e il 1973 girovaga più volte per l’Italia restando affascinato in particolare dall’Abruzzo. È il medievale piccolo borgo di Scanno a rapirgli il cuore. Henri ne immortala gli scorci e la popolazione, in particolare le donne scannesi nel costume tipico, contribuendo a rendere l’isolato paese, insieme a Mario Giacomelli con “Il bambino di Scanno” (1957) uno dei luoghi più interessanti e suggestivi d’Abruzzo e famoso al grande pubblico.

Nel 1962, su incarico della rivista Vogue, passa una ventina di giorni in Sardegna. Qui ha modo di visitare i luoghi della tradizione come Nuoro, Oliena, Orgosolo, Mamoiada, Desulo, Orosei, Cala Gonone e Cagliari. Verso la fine degli anni ’60 il grandissimo fotografo inizia gradualmente a ridurre la sua attività per tornare a dedicarsi al suo primo amore artistico: la pittura. Dichiarerà poi che “in realtà la fotografia di per sé non mi interessa proprio; l’unica cosa che voglio è fissare una frazione di secondo di realtà”. L’unica eccezione sono i ritratti che continua a produrre almeno fin al 1980. Nel 1979 viene organizzata a New York una mostra tributo al genio del fotogiornalismo e del reportage.

Gli ultimi anni di vita di Henri Cartier-Bresson

Negli ultimi anni di vita il fotografo, con la moglie Martine Franck e la figlia Mélanie crea la Fondazione Henri Cartier-Bresson con lo scopo di raccogliere le sue opere e creare uno spazio espositivo aperto ad altri artisti. Nel 2002 la Fondazione viene riconosciuta dallo stato francese come ente di pubblica utilità. Il 3 agosto 2004 il pioniere del fotogiornalismo muore a Montjustin in Francia all’età di 95 anni. Nel corso della sua carriera ha ritratto personalità importanti in tutti i campi; come Albert Camus, Truman Capote, Marcel Duchamp, Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Marilyn Monroe Erobert Oppenheimer.

Stile e opere principali di Henri Cartier-Bresson

Henri Cartier-Bresson ha sempre avuto una predilezione per le macchine fotografiche Leica ritenute versatili e discrete, dato che gli consentivano di scattare come amava: velocemente e senza dare nell’occhio, cogliendo il soggetto in tutta la sua naturale mobilità.

Il suo stile privilegiava l’immediatezza, lo scatto dell’istante decisivo, in netta opposizione con la messa in scena. Una sorta di neorealista della fotografia. La scelta del bianco e nero nelle sue opere contribuisce a dare un elemento emotivo di astrazione dalla realtà capace di evidenziare forma e sostanza.

I suoi lavori sono caratterizzati da realismo e immediatezza, da una ricerca dell’armonia in un attimo spontaneo e irripetibile e della continua osservazione dell’essere umano che si relaziona con ciò che gli sta intorno. La finalità della foto non è solo raccontare, ma cogliere un momento e renderlo eterno, è un’estensione dell’occhio del fotografo capace di mostrare come questo vede il mondo.

The decisive Moment” è sicuramente il libro più famoso di Cartier-Bresson. Scritto nel 1952, contiene una raccolta di alcune delle più note foto del fotografo ed è uno dei maggiori esempi dello stile dell’artista francese. “Scrap Book” è l’album preparato per la mostra al Museum of Modern Art del 1946. Henri Cartier-Bresson era partito per gli Stati Uniti con circa 346 foto nella valigia. All’arrivo comprò un album nel quale posizionò le immagini per mostrarle ai curatori. Dopo la mostra, lo “Scrap Book” finì sepolto in una valigia e poi nella biblioteca di casa fino al 1992 quando venne recuperato. Gran parte delle immagini sono state rimosse a causa del deperimento della carta dell’album: soltanto 13 pagine sono rimaste integre.