“Sono trascorsi quarant’anni dal vile assassinio per mano mafiosa di Giuseppe Fava, giornalista che ha messo la sua passione civile al servizio della gente e della Sicilia, impegnato nella battaglia per liberarla dal giogo della criminalità e dalla rete di collusioni. Fava ha fatto del giornalismo uno strumento di irrinunciabile libertà”. Ecco le toccanti parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in sua memoria.
Oggi, a quarant’anni di distanza da quel giorno imbevuto di sangue e terrore, vogliamo ricordare Giuseppe Fava – meglio conosciuto come Pippo – che ha dedicato la sua vita alla ricerca della verità. Un uomo che ha fatto grandi sacrifici per la sua passione civile, per il suo popolo e per la sua amata Sicilia.
Cinque colpi di pistola alla testa, sparati freddamente mentre era seduto in macchina, vicino al teatro Stabile di Catania. Un atto di vile crudeltà, una morte orchestrata dalla mafia in risposta alla sua incessante sete di giustizia.
Chi era Giuseppe Fava, il giornalista ucciso da Cosa Nostra
Giuseppe Fava, nato il 15 settembre 1925 a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, è una figura di rilievo nel panorama giornalistico italiano del Novecento. Dopo essersi trasferito a Catania nel 1943, si laurea in Giurisprudenza e intraprende una carriera nel giornalismo, distinguendosi per il suo carisma e la sua professionalità.
Inizia il suo percorso collaborando con diverse testate locali e nazionali, acquisendo una sempre più vasta competenza, insieme a una profonda conoscenza del territorio e delle sue dinamiche.
Nel 1956, Fava inizia a lavorare per la redazione de “L’Espresso“, dove ricoprirà il ruolo di caporedattore fino al 1980. Durante questo periodo, si occupa di una vasta gamma di temi, dal cinema al calcio, ma è grazie ai suoi reportage sulle attività di Cosa Nostra che lascia un segno indelebile nella storia del giornalismo italiano. Tra le sue interviste più importanti, spiccano quelle ai boss del calibro di Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo, grazie alle quali non esita a mostrare al grande pubblico l’oscura realtà della mafia siciliana.
Nella primavera del 1980, assume la direzione del “Giornale del Sud“. Con grande determinazione e coraggio, si impegna a trasformare il quotidiano in una voce libera e indipendente, capace di denunciare senza timore le attività illecite e i soprusi della mafia. Per realizzare questo ambizioso progetto, Fava si circonda di un gruppo di giovani collaboratori, tra cui il figlio Claudio. Questa nuova redazione diventa subito un punto di riferimento per l’informazione siciliana. Un’opera di giornalismo illuminata, che incarna lo spirito di una Sicilia decisa a combattere le forze oscure che minacciano la sua integrità.
Ma la sua audace linea editoriale non passa inosservata. Infatti, il quotidiano diventa rapidamente un bersaglio per chi preferisce che certe verità rimangano nell’ombra. La tensione culmina quando una prima pagina che denuncia le attività illecite del boss Alfio Ferlito viene sequestrata ancor prima della stampa e poi censurata in un tentativo di soffocare l’informazione libera.
La minaccia più grave arriva con l’organizzazione di un attentato a Fava: un chilo di tritolo destinato a spegnere quella voce scomoda. Fortunatamente, il giornalista riesce a scampare all’atto terroristico, ma il messaggio è inequivocabile: chi sfida la mafia, mette a rischio la propria vita. Eppure, lui non si lascia intimidire, anzi. Continua a combattere per la verità e a portare avanti il suo impegno giornalistico. Prosegue fino al giorno in cui viene licenziato, l’ennesimo tentativo di zittire la sua voce.
L’ultima intervista di Giuseppe Fava: il coraggioso dialogo con Enzo Biagi
Dopo essersi ritrovato senza lavoro, Giuseppe Fava non si lascia abbattere. Al contrario, si rimbocca le maniche e insieme ai suoi collaboratori fonda una cooperativa, la Radar, con l’obiettivo di finanziare un nuovo progetto editoriale. Questo prende forma nel novembre del 1982, quando il primo numero della rivista mensile “I Siciliani”, diventa rapidamente un baluardo del movimento antimafia in Italia, grazie alle inchieste che Fava e il suo team conducono su una vasta gamma di argomenti di attualità.
Esattamente sette giorni prima del suo assassinio, il 28 dicembre 1983, rilascia un’intervista al celebre giornalista Enzo Biagi durante la quale denuncia le connessioni tra la criminalità organizzata e le sfere più alte del potere politico italiano: “I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Tutto parte dall’assenza dello Stato e dal fallimento della società politica italiana e forse anche della nostra democrazia”.
In occasione del quarantesimo anniversario della sua morte, la città di Catania ha reso omaggio al coraggioso giornalista e scrittore con una serie di eventi commemorativi. Un corteo si è mosso da via Roma, ora ribattezzata via Giuseppe Fava in onore del suo eroe locale, per raggiungere la lapide che segna il luogo della sua tragica fine. Alle 17, una folla commossa si è radunata per ricordare l’uomo che ha pagato con la vita la sua battaglia contro la mafia. Un tributo che dimostra come, anche a quarant’anni di distanza, l’eredità di Giuseppe Fava continua a risuonare nel cuore dei siciliani e di tutti coloro che credono nella libertà di stampa e nella giustizia.