Giulia Cecchettin, l’ergastolo di Turetta e le ombre su un verdetto incompleto

Giulia Cecchettin: ergastolo a Filippo Turetta per un femminicidio fatto di violenza fisica e psicologica. Escluse crudeltà e stalking nel verdetto

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Francesca Secci

Giornalista

Sarda, ma anche molto umbra. Giornalista pubblicista, sogno di una vita, da maggio 2023, scrive soprattutto di argomenti che riguardano l’attualità.

Pubblicato: 3 Dicembre 2024 20:00

La corte d’Assise di Venezia ha scritto la parola fine su un caso doloroso e controverso: Filippo Turetta, 23 anni, passerà la vita dietro le sbarre. La condanna all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin arriva a distanza di un anno da quella notte di orrore.

Premeditazione, sequestro di persona e occultamento di cadavere: queste le accuse che hanno inchiodato il giovane, spazzando via ogni possibilità di attenuanti per un gesto che ha spezzato brutalmente i sogni di una ragazza piena di futuro.

La spirale di ossessione e controllo

Per l’accusa, Turetta non si è fermato alla violenza fisica: prima di colpire Giulia Cecchettin con il coltello, l’ha colpita ogni giorno con una strategia di manipolazione continua. Messaggi senza fine, minacce teatrali, ricatti emotivi travestiti da disperazione: tutto pur di imprigionarla in una relazione tossica. “Era l’ultimo atto di possesso”, hanno spiegato i magistrati, svelando un legame dove amore e ossessione si sono trasformati in un cocktail letale.

Giulia, un futuro spezzato

A 22 anni, Giulia Cecchettin aveva tutto da costruire: una laurea in ingegneria biomedica ormai vicina e un futuro per coronare il sogno di diventare illustratrice, come raccontato da suo padre Gino. Una famiglia unita, con i fratelli Elena e Davide.

Vigonovo, il suo paese, le stava stretto ma era il nido che la sosteneva. Poi c’era Filippo Turetta, compagno di studi diventato un’ombra asfissiante. Da presenza amica a peso insopportabile, le sue continue pressioni non le lasciavano tregua, costringendola a mettere fine a un rapporto che, invece di amore, era diventato una gabbia.

Un giorno come un altro, almeno in apparenza. Giulia invia alla relatrice la sua tesi, pronta a coronare anni di studio e sacrifici. Nel pomeriggio si incontra con Turetta: scarpe da comprare, una cena veloce, gesti che sembrano normali. Ma la normalità si spezza nel viaggio di ritorno. Una discussione esplode come una miccia accesa. Giulia prova a scappare, ma quell’auto, simbolo di una relazione ormai tossica, la trascina verso un destino senza ritorno.

Nel verdetto c’è l’ergastolo, ma senza aggravanti di stalking e crudeltà

L’idea di sfuggire al massimo della pena con un processo abbreviato si è schiantata contro la fermezza della corte. Nessuna attenuante, nessuna scappatoia: per un atto così feroce, l’ergastolo è stata l’unica risposta. Una decisione che non può restituire Giulia alla sua famiglia, ma che lancia un messaggio inequivocabile: l’amore non può mai essere un pretesto per il controllo, né una scusa per la violenza.

Un verdetto che ricorda quello, recentissimo, di Alessandro Impagnatiello, condannato per l’atroce femminicidio di Giulia Tramontano. Anche qui l’ergastolo, ma con un’aggravante che fa la differenza: premeditazione, crudeltà, futili motivi e il vincolo della convivenza. Nel caso di Filippo Turetta, però, la sentenza lascia fuori la crudeltà e lo stalking. Un’esclusione che stona di fronte a 75 coltellate e mesi di manipolazione ossessiva. Come se il tribunale avesse scelto di chiudere un occhio su ciò che, invece, avrebbe dovuto pesare come un macigno.

La crudeltà delle minacce e dei ricatti morali, mai considerati

Escludere le aggravanti della crudeltà e dello stalking in questa vicenda suona come una scelta che sminuisce la portata della tragedia. Un delitto come questo non si consuma solo nei 75 colpi di coltello, ma anche nei mesi di tormento psicologico che lo hanno preceduto. Minacce, pressioni emotive, ricatti morali: elementi che distruggono lentamente, pezzo dopo pezzo, la serenità e la libertà di una persona. Giulia è stata vittima di una crudeltà che andava ben oltre il gesto finale.

Le minacce di suicidio usate come strumento di controllo e i messaggi ossessivi non sono semplici azioni, ma armi sottili e devastanti. Creano una gabbia invisibile che soffoca, logora e annienta. Ignorare questi elementi nel verdetto significa trascurare una parte fondamentale di ciò che Giulia ha subito.