Femminicidi in Italia: le parole di Emma Thompson e la condanna del New York Times

"Avete un problema con le donne" tuona - giustamente - Emma Thompson. E a farle eco è il New York Times, che tratteggia l'ultima estate violenta del nostro Paese

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Redazione

DiLei è il magazine femminile di Italiaonline lanciato a febbraio 2013, che parla a tutte le donne con occhi al 100% femminili.

Oriana Brunelli, Melina Marino, Sara Ruschi, Giulia Tramontano, Maria Michelle Causo, Anna Scala, Vera Schiopu, Rossella Nappini: questi sono solo otto dei settantasei nomi che compongono la lista dei femminicidi di Italia nel corso del 2023. Settantasei vittime, settantasei storie che, dopo un primo momento di clamore e di conseguente indignazione, sembrano formare nient’altro che un muro di silenzio, davanti al quale si transita con assoluta indifferenza.

L’aumento delle violenze di genere nel nostro Paese è letteralmente sotto gli occhi di tutti e a dimostrarlo sono l’intervento di Emma Thompson e un recente articolo del New York Times, che riaprono il più ampio dibattito sull’annientamento fisico e psicologico delle donne e sugli atteggiamenti prevaricatori e di subordinazione messi in atto quotidianamente, anche e soprattutto per via di tutti quegli atteggiamenti di stampo patriarcale che, in quanto interiorizzati, vengono considerati “normali”.

Emma Thompson: “Avete la sindrome della donna santa o pu**ana”

Proprio su questi atteggiamenti si è focalizzata Emma Thompson. L’attrice, ospite d’onore ai Diane von Furstenberg Award (che celebrano la solidarietà femminile), è stata intervistata da una giornalista di Vanity Fair proprio sul tema della violenza sulle donne e dei femminicidi. Chiamata a esprimere il suo pensiero su quanto è accaduto e accade in Italia, è partita dall’assunto che per la società italiana il machismo è un fattore culturale importante, cosa che già di base rende tutto più difficile per le donne.

Per via del machismo, secondo la Thompson nel nostro Paese è diffusa la «sindrome della donna santa o pu**ana, per cui qualsiasi donna sessualmente libera è marchiata come una sgualdrina, mentre un uomo sessualmente libero è forte […] È una vera schifezza: in questo contesto avete un problema con le donne».

Secondo la Thompson gli uomini, in Italia, dovrebbero sostenere le battaglie femministe e partecipare al dibattito, perché senza un dialogo non si abbatteranno mai le strutture e le sovrastrutture mentali divenute una piaga della nostra società.

New York Times: “In Italia atteggiamenti sciovinisti verso le donne”

Non meno diretta è la critica della giornalista Gaia Pianigiani sul New York Times, che partendo dalla sequenza di violenze sessuali che si sono susseguite negli scorsi mesi (dallo stupro di Palermo agli abusi sulle cuginette di Caivano) arriva a trattare un nodo fondamentale della violenza di genere in Italia: secondo un recente rapporto dell’ISTAT, nel nostro Paese è ancora diffusa l’idea che le donne vittime siano sempre in qualche modo colpevoli di aver provocato l’aggressione.

Questo atteggiamento è stato confermato non solo dall’infelice discorso del giornalista Andrea Giambruno («se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi») ma anche da ciò che si è scatenato dopo che i profili social della ragazza di 19 anni vittima di stupro a Palermo sono stati identificati e sono divenuti bersaglio di commenti beceri, per via della sua sensualità e di alcune foto ritenute troppo provocanti.

Sulle pagine del NYT, Antonella Veltri, presidente della Rete delle donne contro la violenza, spiega la situazione con poche ma chiarissime parole: «Si tratta di un fenomeno culturale, profondamente radicato da decenni in una società sciovinista: l’idea che le azioni o l’abbigliamento delle donne possano scatenare la violenza permea il Paese». Qual è, dunque, la soluzione? In che direzione ci si può muovere prendendo atto che ciò che accade alle donne non è frutto di isolati episodi di brutalità e crudeltà, ma di un vero e proprio sistema intrinseco, di una sorta di virus difficile da debellare?

La risposta è vasta, articolata, non di immediata comprensibilità e non può sicuramente essere sintetizzata in poche righe. Ma forse, in maniera semplicistica, si potrebbe dire che prima di ogni cosa sarebbe necessario riflettere sull’educazione maschile in Italia. Decostruendo concetti e convinzioni che vengono trasmesse sin dall’infanzia, forse, si potrebbe arrivare a un nuovo status civile. Ma il cammino è lungo e la destinazione è ancora lontana.