Sentirsi invisibili per gran parte della propria vita e poi un giorno scoprire che lo si può diventare davvero e che quello che prima ci sembrava una debolezza diventa un superpotere.
Parte da qui l’idea di Zero, la nuova serie originale italiana Netflix, prodotta da Fabula Pictures con la partecipazione di Red Joint Film e disponibile dal 21 aprile in tutti i Paesi in cui è attiva la piattaforma.
Quando l’ha ideata Antonio Dikele Distefano si è ispirato al suo libro Non ho mai avuto la mia età, ma anche a tutto l’immaginario dei manga giapponesi e al film Ferro 3 di Kim Ki-duk in cui un uomo riesce a mimetizzarsi nelle case dei ricchi come se fosse un ninja.
“In questa serie c’è un po’ la mia storia, ma anche quella di tutte le persone che sono nate sconfitte prima ancora di scendere in campo”, racconta Distefano durante la presentazione riservata ai giornalisti.
Zero, la trama della serie
Omar (interpretato dall’esordiente Giuseppe Dave Seke) è un giovane che vive nel Barrio, quartiere multietnico alla periferia di Milano, che fa il rider per mettere da parte i soldi per poter andare in Belgio e diventare un fumettista. Grazie a un evento imprevisto scopre di poter diventare invisibile e insieme a un gruppo di nuovi amici decide di sfruttare questo superpotere per salvare il suo quartiere dalle mire di un gruppo immobiliare senza scrupoli che vuole sgomberarli per costruire nuove abitazioni a prezzi decisamente più alti. In mezzo ci sono amori, amicizia e i rapporti familiari, con le loro difficoltà e i loro segreti.
L’eccezionalità di Zero
Per tutti Zero è la serie che parla di diversità e che segna uno spartiacque, essendo la prima serie con un cast composto quasi interamente da ragazzi neri, di seconda generazione e italianissimi. Un evento, per l’Italia e non solo.
“Mi stupisco che nelle serie italiane non ci sia la rappresentazione di ragazzi neri, o cinesi – continua Distefano – Quando abbiamo iniziato a lavorare a questa serie mi veniva detto che non esistono attori neri, registi o tecnici. Pensavano fosse impossibile. Invece esistono, bisogna coinvolgerli, e questa può essere una occasione”.
L’eccezionalità di Zero non è tanto nella scelta del cast di colore, quanto nella capacità di rendere la cosa del tutto normale, come è giusto che sia. I protagonisti non interpretano il classico ruolo che di solito si riserva loro, quello dello “straniero” o dell’immigrato e della relativa difficoltà di inserimento nella società: sono ragazzi nati e cresciuti in Italia, che parlano lo slang di tutti i giovani della loro età così come le lingue dei loro genitori, e che hanno sogni e idee, come tutti. Sono normali ed è per questo che Distefano sottolinea che vorrebbe si parlasse della serie come si fa per tante altre: “Vorrei che Zero fosse vista come una serie che racconta la normalità”, dice chiedendo di concetrarci sulle dinamiche tra i personaggi, sull’evoluzione della trama, su tutti quegli argomenti di cui si parlerebbe se fosse un altro qualsiasi prodotto.
“Questo Paese non è mai davvero pronto al cambiamento, c’è molta paura. Io credo che le cose cambino anche attraverso il business. Se Zero dovesse essere un successo, le istituzioni poi in qualche modo saranno costrette a prendere atto che la realtà è diversa e che sia necessario cambiare. Penso che Zero possa essere l’inizio di un processo di cambiamento”, ha detto.
Zero: le donne della serie, forti e decise
Un ruolo fondamentale nello sviluppo della serie e nei messaggi che lancia è rivestito dalle figure femminili. Le giovani protagoniste, Anna, Sara e Awa (interpretate rispettivamente da Beatrice Grannò, Daniela Scattolin e Virginia Diop) sono tre ragazze molto diverse tra loro, per carattere e vissuto, ma hanno in comune una forza interiore e il fatto di avere le idee chiare, sul loro futuro e su ciò che vogliono.
E se ad Anna, giovane bianca ricca che sogna di fare l’architetta, spetta il compito di scardinare gli schemi e innamorarsi di Omar, sdoganando il tema delle classi sociali e superando i limiti imposti dai confini ideologici di chi vuole che ci sia qualcuno che vive al centro (fisico e metaforico) e qualcun altro relegato alla periferia, a Sara e Awa spetta invece quello di essere spalle e allo stesso tempo traino. Sara, in particolare, come ci racconta la sua stessa interprete nell’intervista che potete vedere sopra, è quella che con caparbietà e testa sulle spalle porta avanti il gruppo. È giovane, ma è già una donna, con il suo studio di registrazione e la sua vita. Awa, invece, è la sorellina più piccola di Omar, la cui storia parte in sordina per poi evolversi in un climax crescente (che non possiamo spoilerare).
La colonna sonora di Zero, parte integrante della serie
Sempre più spesso le colonne sonore diventano in qualche modo protagoniste esse stesse del racconto (Grey’s Anatomy insegna). Anche in Zero la musica, affidata a Yakamoto Kotzuga, ricopre un ruolo fondamentale: segue lo sviluppo della trama, dona ritmo e consente anche ai personaggi di essere se stessi, di giocare, ballare. I brani sono firmati dai maggiori artisti del momento, da Mahmood che ha scritto una canzone ad hoc che sarà contenuta nel suo prossimo album (in uscita a giugno) a Madame, Ginevra, The Supreme, Emis Killa. Artisti giovani, per giovani, che parlano a una nuova generazione ma affrontano problemi e tematiche sempre più attuali e che sono stati scelti non a caso.
Zero, la serie per i giovani che dovrebbero vedere tutti
In conclusione, Zero è una serie il cui target di riferimento è certamente giovane e che sarà apprezzata soprattutto da un pubblico giovane, ma che può e dovrebbe essere vista da tutti. Anche solo per rendersi conto che c’è stato un prima e un dopo, che c’è una realtà che scalpita, un cambiamento in atto. Perché racconta una Milano, un’Italia, che esiste e di cui spesso non ci accorgiamo. Un’Italia – appunto – invisibile. Eppure, per dirla con le parole di Antonio Dikele Distefano “è la storia di chi impara che le cose più importanti che ci salveranno sono quelle che teniamo invisibili”.