“Prove di libertà”, il lockdown degli attori e registi italiani

"Prove di Libertà" la mostra fotografica con cui Riccardo Ghilardi ha voluto documentare il lockdown del 2020, attraverso i volti degli attori e dei registi più amati

Foto di Sara Gambero

Sara Gambero

Giornalista esperta di Spettacolo e Lifestyle

Una laurea in Lettere Moderne con indirizzo Storia del Cinema. Appassionata di libri, film e del mare, ha fatto in modo che il lavoro coincidesse con le sue passioni. Scrive da vent’anni di televisione, celebrities, costume e trend. Sempre con un occhio critico e l'altro divertito.

Prove di Libertà la mostra fotografica con cui Riccardo Ghilardi ha voluto documentare il lockdown del 2020, attraverso i volti degli attori e dei registi più amati. Scatti intimi, intensi e spesso malinconici che trasmettono però la voglia di riprendere in mano la propria vita e urlare al mondo il bisogno, appunto, di libertà.

Da Matteo Garrone a Jasmine Trinca e Anna Foglietta, da Alessandro Gassmann ad Alessandro Borghi, Rocco Papaleo e Marco Giallini, ognuno di loro ha aperto la propria casa, facendosi ritrarre nella dimensione più privata e personale. La sua collezione è diventata una mostra, che sarà ospitata presso lo spazio Extra del Maxxi fino al 6 Giugno 2021 per poi traslocare nel percorso di “Cinecittà si Mostra”, l’esposizione permanente negli Studi di Cinecittà, fino al 31 luglio 2021. Organizzata dall’ Istituto Luce Cinecittà, curata da Martino Crespi, e realizzata con il supporto della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del MIC, partner culturale Rai Cinema.

Come è nata l’idea di questo reportage?
Non sono partito con l’idea di fare una mostra. Con l’inizio del lockdown (ero appena rientrato dalla Berlinale e stavo in autoisolamento), mi ha travolto, come è successo a chiunque, un’altalena di rabbia, paura, incertezza e a un certo punto ho cominciato a sentire forte il desiderio fare qualcosa. Una mattina ho visto due ragazzi nella casa di fronte che si baciavano: sono corso in casa, ho preso la macchina al volo e li ho fotografati. Quella foto mi ha fatto scattare l’idea di fare un reportage su quello che stava succedendo e su come lo stavamo vivendo. Avendo la fortuna di poter uscire per lavoro, ho iniziato a girare per una Roma pressoché deserta. Non pensavo alla mostra o a tutto quello che poi ne è poi venuto fuori, ma semplicemente a documentare la realtà, quello che accadeva attorno a me.

Perché la scelta di fotografare attori e registi?
Anche in quel caso è nato tutto per caso: lavoro nel cinema da 15 anni e conosco molte persone del settore. Mi capitava, girando per Roma e fotografando la città, di passare vicino alle case degli artisti con cui collaboro ormai da tempo. Avevo pensato che sarebbe stato bello documentare come stessero vivendo quel particolare momento storico, ma un po’ per riservatezza, un po’ per paura di sembrare invadente, non trovavo il coraggio Poi un giorno in zona Testaccio, sono passato vicino alla casa di Alessandro Borghi, che è un caro amico. Gli ho mandato un whatsapp al volo, mi ha fatto entrare e ho scattato una foto. Da lì è partito tutto.

Lo scatto più divertente e quello emotivamente più difficile?
Ce ne sono stati diversi divertenti, perché mi sono accorto che tutti avevano voglia di rivedere gente, di fare delle cose, di stabilire dei contatti. Io prendevo quel che trovavo, non organizzavo lo scatto come faccio invece normalmente come ritrattista. La foto di Matteo Garrone, per esempio, in boxer sul terrazzo, lo dimostra. Stava prendendo il sole sul lettino, mi ha chiesto cosa volessimo fare, gli ho risposto di non fare nulla, che lo avrei immortalato così. Penso anche a Rocco Papaleo, ripreso mentre dormiva. Il figlio mi ha aperto la porta, mi ha detto che papà stava riposando e gli ho chiesto di non svegliarlo. E poi c’è la foto di Jasmine Trinca, che sebbene molto solare, è stata emotivamente forte. Quel giorno aveva la febbre alta, perciò non mi ha fatto salire. Avremmo voluto farla sul terrazzo, ma non è stato possibile. Così si è affacciata al balcone e ho scattato. Anche la foto di Anna Foglietta ha una sospensione, una leggerezza, che racchiude il motivo per cui ho scelto di metterla in copertina. “Che faccio?”, mi ha chiesto, “Cosa vorresti fare?” “Vorrei volare…” E così è stato!

C’è stato qualche artista che ha declinato l’invito?
Assolutamente sì, ed è pure comprensibile. Non era scontato, in quel momento, che tutti volessero aprire la propria sfera privata.

Avevi già realizzato una bellissima mostra, Three minutes, in cui hai fotografato alcune fra le più importanti star americane. Che differenza c’è tra il divismo italiano e quello hollywoodiano?
La differenza la fa la proporzione dello star system e del mercato americano rispetto al nostro. Ma ti dico la verità: l’umanità è sostanzialmente la stessa. Specialmente nel mio lavoro, in cui cerco l’incontro con la persona e non il personaggio, la disponibilità è pressoché uguale.

Qualche star che ti ha colpito particolarmente?
Ci sono stati diversi incontri speciali, e me li tengo stretti nel cuore. Helen Mirren è una di questi, una persona davvero illuminata. Avevo conosciuto il marito, il regista Taylor Hackford, durante uno shooting a Los Angeles. Siamo rimasti in contatto e un Natale mi ha invitato nella loro casa nel Salento (possiedono una masseria a Tiggiano, in Puglia, ndr) , dove mi ha presentato Helen. La loro genuinità e sensibilità sono speciali.

Un personaggio che vorresti fotografare?
Tra i miei sogni nel cassetto c’è senza dubbio Anthony Hopkins, attore immenso. E poi Toni Servillo, che ho fotografato, ma rapidamente, anni fa. Vorrei approfondire con lui.

Helmut Newton diceva: “Il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare, tre concetti che riassumono l’arte della fotografia”. Sei d’accordo o aggiungeresti qualcosa?
Direi che è perfetto. Il suo genio si dimostra anche in questa definizione impeccabile.