Luca Trapanese è un ragazzo che tre anni fa ha deciso di diventare padre, anche se in realtà era già “padre” di tanti piccoli “non collocati” come dice lui, perché la parola rifiutati, accanto alla parola bambini dà fastidio, anche solo per definire una situazione reale come quella dell’abbandono di minori in difficoltà, che è quello che purtroppo accade in molti dei casi da lui incontrati nella Casa di Matteo (progetto destinato ai bambini in stato di affido o di adozione affetti da gravi disabilità o da forme tumorali) e non solo da lui. Perché la malattia spaventa, la malattia divide, la diversità in un mondo che ci vuole tutti uguali, tutti perfetti atterrisce, va a colpire famiglie messe già in difficoltà dalla vita, per problemi economici, per situazioni al limite, o semplicemente per mancanza di conoscenza.
Luca è un uomo che dopo aver fatto richiesta al tribunale di diventare genitore è stato chiamato perché il suo nome è quello uscito per primo in un caso particolare di affido: c’è una bambina di soli tredici giorni, partorita e lasciata in ospedale dalla mamma, in sicurezza e come consente la legge, ma che nessuna delle famiglie tradizionali voleva accogliere perché ha la sindrome di down. Quando arriva quella telefonata Luca è in vacanza con una ventina di ragazzi, molti dei quali affetti proprio dalla trisomia 21. Il destino sembra proprio voler bussare alla sua porta, non ci pensa un secondo e si dice immediatamente disponibile, viene sottoposto ad un colloquio, e dopo una settimana viene dichiarato idoneo all’abbinamento, può recarsi in ospedale a prendere sua figlia.
C’è chi diventa padre alla vista di un test di gravidanza, chi lo diventa dopo aver sentito i primi calcetti nella pancia della mamma, chi padre, invece e purtroppo, non lo diventa mai, nemmeno quando i figli lasciano il grembo materno. Non nel caso di questo giovane uomo. Luca arriva in ospedale e le infermiere gli mettono in braccio quello scricciolo biondo dicendo di cambiarle il pannolino, una questione di attimi, una questione di sguardi, è amore all’ennesima potenza, e lui diventa il papà di Alba non appena sente il suo odore, non appena quelle piccole mani cingono le sue, non appena i loro occhi si incontrano. Ho deciso di raccontare la loro storia non appena ne sono venuta a conoscenza, perché i loro sorrisi e il loro amore meritano di essere conosciuti e riconosciuti nel mondo. Perché la normalità non esiste, e nessuno può arrogarsi il diritto di farti sentire diverso o sbagliato. Siamo tutti diversi, siamo tutti normali. E se quest’anno volete fare un regalo di Natale bello e utile ai vostri bambini, acquistate il libro illustrato “Vi stupiremo con difetti speciali” i cui ricavati andranno interamente ad aiutare La Casa di Matteo. In esclusiva per le lettrici di DiLei, Alba e Luca Trapanese.
Come nasce la vostra storia, tu avevi un desiderio di paternità, Alba era stata rifiutata da tredici famiglie, come vi siete incontrati?
Io non ho scelto Alba, io ho fatto una domanda in tribunale a gennaio, il giorno del mio compleanno, avevo un forte desiderio di paternità, e anche una forte consapevolezza che potevo essere padre di un figlio disabile per la mia esperienza di vita, per la mia formazione, perché la disabilità non mi ha mai spaventato, non ne ho mai avuto paura, sono cresciuto nella disabilità, quindi volevo realizzare la mia paternità con un figlio disabile. Ho fatto questa richiesta in tribunale e dopo sei mesi sono stato chiamato per Alba che era stata partorita in ospedale e lasciata in ospedale dalla madre e non riusciva ad essere collocata tra le coppie cosiddette “tradizionali” perché aveva la sindrome di down. Non sono tredici le famiglie che non l’hanno voluta, ma molte di più, il numero reale non lo sappiamo e il nostro incontro è avvenuto quando il tribunale, dopo il colloquio, ha deciso di affidarmela. Il tribunale non riusciva a trovare una famiglia, e dopo una serie di no, ha iniziato a cercare altrove, ed io ero il primo di quella lista dei single per gli affidi. Sono stato chiamato, ero in vacanza con una ventina di ragazzi, molti dei quali con la sindrome di down, ed ho detto subito sì. Ho fatto il colloquio e dopo una settimana mi hanno confermato che ero stato scelto per questo abbinamento e sono potuto andare in ospedale direttamente per conoscere Alba la prima volta e allo stesso tempo per portarmela a casa. Sono arrivato in ospedale con una macchina stracolma di cose perché in quella settimana mi ero dedicato a comprare tutto quello che potesse servire ad un neonato, anche se non ero certo dell’affido, ed è stato uno dei momenti più belli della mia vita, perché le infermiere mi hanno dato Alba tra le braccia subito e mi hanno detto di cambiarla. In quel momento tu ti senti padre, hai una marea di paure di preoccupazioni di responsabilità, ma io ero anche felice, camminavo a cinque metri da terra tanto grande era la mia felicità
Il vostro primo giorno insieme a casa, te lo ricordi?
Allora Alba l’ho presa in tarda mattinata ed ho deciso di rimanere solo con lei, i primi giorni siamo rimasti nella casa in campagna a Marzano Appio, in provincia di Caserta, dove abbiamo una serie di progetti, ho deciso di rimanere solo con lei, perché non volevo che la presenza di mamme o di zie mi potessero condizionare, o comunque dettare una serie di regole. Io volevo trovare le mie regole ed il mio funzionamento con Alba, volevo che il nostro rapporto fosse da subito unico, quindi sono rimasto da solo ho passato la prima notte con lei non dormendo, anche se lei dormiva, ogni tanto andavo a controllare se fosse viva perché il suo respiro era così leggero che sembrava che non ci fosse in camera. Avevo le indicazioni delle infermiere che mi avevano detto di non svegliarla, di allattarla ogni tre ore, ma se saltava una poppata di lasciarla dormire, di non fare come facevano tutte le mamme che pur di dare da mangiare ai loro figli li svegliavano durante la notte. Quindi è stata una delle nottate più indimenticabili e sicuramente più belle, poi il giorno dopo a casa sono arrivati una marea di amici, cugini, nonni portando tanti regali ed abbiamo fatto il primo bagnetto tutti insieme. Ma Alba è sempre stata una bambina buona serena, quindi anche la solitudine con lei non mi ha mai preoccupato, mi piace.
Single, gay e padre adottivo. Si può dire “caxxo” finalmente?
Single gay e ho adottato, si può dire, è una scelta che ho fatto da subito di dirlo, l’ho fatto quando ho scritto il libro con Luca Mercadante “Nata per te”, si può dire perché la verità ci rende liberi, dire quello che siamo non è una vergogna ma un’affermazione, io non mi sono mai sentito diverso ma mi sono sentito normale, dobbiamo imparare a cancellare questa parola dal vocabolario, la parola normalità non esiste, nessuno si può arrogare il diritto di stabilire chi o che cosa è normale, ma siamo tutti diversi siamo tutti imperfetti e nelle nostre imperfezioni siamo unici quindi io mi sono sempre sentito così. Ho vissuto la mia omosessualità nella massima trasparenza, quando sono stato innamorato sono stato felice di esserlo e mi sono vissuto la mia storia d’amore agli occhi di tutti con orgoglio e con felicità, quindi, quando è arrivata Alba io avevo bisogno di dire quello che sono a tutti perché era nata una famiglia e questa famiglia aveva il diritto di essere riconosciuta per quello che è, una famiglia come tutte le altre con un solo papà e, forse, si spera, in un futuro con un probabile secondo papà.
Parliamo di affido, vuoi dare qualche dritta a chi volesse intraprendere usata strada? Quali sono le difficoltà e quali i primi passi da muovere?
L’affido è quell’istituzione che permette ad un single, o ad una coppia di fatto o ad una coppia più anziana di poter prendere in casa un minore che abbia bisogno di allontanarsi dalla famiglia di origine perché in quel momento sussiste un problema sociale, economico o penale, quindi il minore va protetto. Tanto la famiglia può recuperare, tanto la famiglia può perdere la genitorialità del bambino. L’affido in questo caso particolare è un affido di bambini che il tribunale non riesce a collocare o che ha bisogno di trovare una famiglia anche fatta da una sola persona, nel mio caso la richiesta l’ho fatta nella massima libertà barrando tutte le possibilità: bambini con HIV, bambini con medie e gravi disabilità, bambini che hanno subito violenza, bambini di colore, bambini che hanno raggiunto un alto limite d’età dai sei sette anni in poi e che non riescono ad essere collocati tra le coppie tradizionali, perché molte di quelle che hanno l’idoneità all’adozione, vogliono il neonato, il bambino piccolo. L’affido è possibile farlo, bisogna fare richiesta nel proprio comune di origine o direttamente al tribunale dei minorenni e si viene valutati nella propria capacità economica, nella rete familiare, nella capacità della casa ad accogliere un bambino e la consapevolezza che l’affido può essere temporaneo. Perché la storia mia ed di Alba è una storia straordinaria, perché lei non era una bambina da affido, ma la sua condizione giuridica, il fatto che la madre l’aveva lasciata in ospedale, l’aveva resa una bambina da adozione, per cui ho potuto fare la richiesta di adozione con un articolo, il 44 della legge sulle adozioni, che mi ha consentito di adottarla. Non tutti gli affidi si possono trasformare in adozione, possono essere temporanei, affidi sine die, senza una data di scadenza, possono trasformarsi in adozioni speciali, però l’affido è l’espressione più bella che ci può essere di donarsi per un minore. Noi siamo educati che il figlio è una proprietà, che ci appartiene, invece i figli non sono nostri, i figli non sono di chi li cresce, di chi li ama, ma anche di chi li accoglie. Dovremmo capire che i figli sono di tutti, io spero che un giorno Alba sia vista anche dagli altri come figlia, perché così solo potrà essere aiutata ad essere la donna felice e realizzata che io mi auguro diventi.
Nel 2017 le vostre storie (tua e quella di Alba) si incontrano per diventare un unicum, quanto e come è cambiata la tua vita?
La mia vita è completamente cambiata, ma credo che questo capiti a tutti quelli che diventano genitori. Per me Alba è la priorità, il suo bene ed il suo benessere viene prima di tutto, io volevo diventare padre, quindi per me non è stato un sacrificio, anzi, mi ha completato e mi ha reso la persona che volevo essere cioè un papà, la mia vita è cambiata è completamente orientata su quella di Alba, sulle sue priorità e sul suo benessere, ma io sono felice non tornerei mai indietro, non ho mai pensato di tornare indietro, non mi sono mai pentito di questa scelta.
In un primo momento Alba ti è stata data in affido, solo successivamente sei riuscito ad adottarla. Hai avuto paura di perderla?
Sì, ho avuto paura di perderla, quando, durante l’affido, siamo usciti su tutti i giornali e avevo paura che potesse arrivare una famiglia che dicesse “la voglio io”. Devo dire che i giudici mi hanno tranquillizzato, ho avuto la fortuna di incontrare funzionari, psicologi e assistenti sociali che hanno pensato al bene della bambina e alla mia capacità di renderla felice, quindi non si sono fatti altre domande su come ero. Il giudice che quel giorno mi chiamò mi disse “lei non si deve preoccupare, noi abbiamo iniziato un percorso con lei e con Alba. Se c’è qualche famiglia che vuole un figlio disabile, noi ne abbiamo altri ma adesso è lei in prova e nessun altro, voi siete una famiglia che sta nascendo questo mi ha rassicurato molto.
Qualche mese fa sei stato vittima di un furto d’identità sui social, ci vuoi raccontare com’è successo e come è finita? E magari come difendersi?
Purtroppo posso dire che lo sbaglio è stato solo mio, mi è arrivato un messaggio privato in Direct, da un utente che sembrava proprio quello ufficiale di Instagram, dove mi si contestava una presunta violazione della privacy in riferimento al mio ultimo post, e mi richiedeva lo username e la password, tra le altre cose, per non perdere il mio profilo. Ci sono cascato in pieno, perché quell’account era un fake, e perché Instagram conosce già i tuoi dati, non ne ha bisogno. Sono stato fortunato perché nel giro di una settimana grazie a Facebook Italia e alla Polizia postale, sono riuscito a rientrare in possesso dei miei profili, ed ho potuto continuare ad interagire con la rete di follower che ci seguono, che si sono affezionati a noi e che non ci hanno mai abbandonato. Mi raccomando password lunghe, autenticazione doppia e mai ripeto mai dare la password agli sconosciuti :))))
Sei il direttore della Casa di Matteo, una struttura di accoglienza per bambini, come nasce questo progetto?
La casa di Matteo nasce da una storia vera, Matteo è un bambino che viene adottato da una coppia di amici a 12 giorni, durante lo svezzamento inizia a stare male, a vomitare si pensa che fosse celiaco, invece dopo una serie di indagini molto lunghe si scopre che Matteo ha un tumore congenito al cervello, alla testa e in due mesi muore. Da lì al di là del dolore enorme nell’affrontare questo dolore da parte dei suoi genitori e degli amici e dei parenti, con Luigi e Rosa (i genitori) pensiamo che se Matteo non fosse stato adottato sarebbe morto da solo in ospedale e allora fondiamo questa comunità che è l’unica in tutto il sud d’Italia ad accogliere bambini terminali con gravi disabilità o forme tumorali che purtroppo vengono lasciati negli ospedali dopo la nascita o abbandonati dalla famiglie perché non riescono a portare avanti un peso così grande. Ad oggi la casa di Matteo è una realtà unica, in questo momento abbiamo sette bambini, tutti molto gravi è una realtà che si sostiene grazie al contributo di molti privati è un progetto difficile perché lavoriamo tutti i giorni a contatto con la morte e la sofferenza dei bambini ma è un progetto bellissimo perché ti fa sentire utile e dai la possibilità a questi bambini che nessuno vuole di avere una casa e una famiglia noi abbiamo la fortuna di avere tante volontarie tante infermiere tanti educatori che la vivono come una missione
Tu ed Alba siete riusciti ad entrare nei cuori di milioni di persone, la bontà e la gentilezza davvero riusciranno a salvare il mondo?
È vero io e Alba siamo seguiti in tutto il mondo, io credo che il messaggio che piace sia innanzitutto quello della paternità, ma anche della disabilità. Molte mamme e molti papà mi scrivono dei loro figli disabili, e tante volte insieme discutiamo, affrontiamo dei problemi, cerchiamo di condividere le ansie e le paure quindi forse c’è bisogno di parlare di più di disabilità, di raccontare com’è la vita con un figlio disabile. Perché è vero, è una vita faticosa, ma può essere anche felice e bella, io scelto di essere sui social perché volevo raccontare la paternità e volevo soprattutto raccontare la scelta di un figlio disabile, per me Alba non è stata una scelta di serie B. Se avessi potuto accedere al registro al pari di una coppia avrei comunque scelto di adottare un figlio disabile, quindi questo lo volevo raccontare, perché all’inizio si parlava di gesto di carità, gesto di eroismo. Io non sono un eroe, non ho salvato Alba, non ho fatto un gesto di carità, ma ho assecondato il mio istinto di paternità, ritengo che tutti i genitori quando generano un figlio non facciano un gesto di carità, ma un gesto d’amore, è diverso. Io sono convinto che la gentilezza e la bontà salvano il mondo, noi abbiamo bisogno di amore, ho voluto raccontare la nostra storia perché volevo distruggere una serie di incasellamenti, la bambina abbandonata rifiutata e poi salvata, Alba non è stata abbandonata, è stata lasciata in ospedale, la madre ha seguito una legge e va difesa ed onorata per quello che ha fatto, perché così facendo ha partorito in sicurezza e ha dato a me la possibilità di diventare padre. Meglio centomila volte quella mamma, piuttosto che quelli che buttano i bambini in un sacchetto della spazzatura. Alba non è stata rifiutata, quelle coppie non erano idonee, non erano pronte, erano spaventate, impreparate, diseducate alla disabilità, ed io non ho fatto un gesto eroico io ero pronto, ero la persona giusta per accogliere una bambina come lei. Piuttosto noi dobbiamo cercare di capire perché, non dobbiamo trovare i colpevoli, siamo orientati a cercare un colpevole, invece dovremmo essere orientati nel cercare di comprendere le situazioni e quindi io credo che la bontà e la gentilezza possano essere gli strumenti per arrivare a questi obiettivi.
È difficile essere un padre single adottivo e cercare l’amore? O l’hai già trovato?
La mia condizione di padre single mette dei limiti ad una probabile storia, in questo momento non ho un compagno, sono convinto che quando arriverà la persona giusta sarà Alba a fare la selezione perché dovrà piacere prima a lei. Non credo sia difficile, ma sicuramente spaventa prendersi delle responsabilità, e un uomo, con una figlia disabile, sono tante responsabilità. Credo molto nell’amore anche se ne sono stato deluso, ma credo che prima poi arriverà la persona giusta e lo capiremo subito sia io che Alba che lo è, certo che oggi noi viviamo in una società che non vuole assumersi degli oneri gravosi e che in nome della libertà non se le assume, viviamo come tante mine vaganti alla ricerca di qualcosa che forse già abbiamo e che non sappiamo di avere. Ma spero che prima o poi arrivi questo compagno.
Qual è stato il momento più bello da quando sei diventato padre?
Sono due i momenti, quando Alba ha detto papà, ed io ironicamente dicevo a tutti che aveva detto pappa, perché lei ama molto mangiare, invece no, aveva davvero detto papà, ed è un martellamento quotidiano, mi chiama di continuo perché io sono il suo punto di riferimento, e questo è importante far capire, al di là di quello che sei, coppia o single, se tu dai amore, e rendi tuo figlio felice allora non manca nulla. Il secondo momento è stato quando Alba ha iniziato a camminare, i bambini con la sua sindrome hanno difficoltà a camminare, e lei non ne voleva sapere proprio, invece a tre anni lo ha fatto, si è alzata in piedi e allargando le sue braccia mi è venuta incontro, non me lo dimenticherò mai.
Hai il microfono aperto e puoi dire quello che vuoi a tutti gli abitanti della terra, cosa dici?
Agli abitanti della terra dico che dobbiamo aspirare al fatto che i nostri figli siano felici, che non siano i primi ed i migliori, dobbiamo far sì che loro vedano in noi lo strumento per raggiungere questa felicità. La normalità non esiste, nessuno si può arrogare il diritto di stabilire chi e cosa è normale, siamo tutti diversi, imperfetti, forse siamo tutti disabili ,chi più, chi meno, ma proprio per questa disabilità e questa imperfezione, siamo perfetti come siamo. Ed è per questo che io parlo sempre di difetti, perché ci spaventano, ed invece sono quella particolarità che ci caratterizza e che ci rende unici. Dobbiamo aspirare alla felicità, nonostante le nostre imperfezioni perché la perfezione non esiste, non siamo perfetti nelle nostre imperfezioni Bisogna aspirare alla felicità, e non consentire mai a nessuno di dire se siamo o non siamo normali, lo siamo e basta. Non esiste la normalità.