Mi chiamavo Joseph, avevo sei mesi e ieri sono morto

Ma davvero voi pensate che una una donna incinta o una madre affronterebbe mai un viaggio del genere, mettendo a rischio i suoi stessi figli, se ci fosse una possibilità diversa?

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Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Pubblicato: 13 Novembre 2020 19:37

Ieri pomeriggio l’o.n.g. Open Arms ha pubblicato un video su Twitter, diventato virale, accompagnato da questa didascalia “Nonostante gli enormi sforzi dell’equipe medica una bimba di 6 mesi è venuta a mancare a causa del naufragio. Avevamo chiesto per lei e per altri casi gravi un’evacuazione urgente, da effettuare tra breve, ma non ce l’ha fatta ad aspettare. Siamo addolorati.”.

Ho deciso di guardare quel video, perché non sempre si può far finta di nulla, non sempre ci si può girare dall’altra parte, e soprattutto perché decidere di “non” vedere non cambierà mai le cose. Ci vuole coraggio per riuscire a visualizzare quei dieci secondi di immagini fino alla fine e rimanere lucidi, perché su quella barca c’è una donna, c’è una mamma che ripete disperata di aver perso il suo bambino, come una mantra, c’è una donna che cerca anche di ributtarsi nell’acqua e viene fermata, mentre continua ad urlare “i lose my baby”, lo grida con tutta la voce che ha nel corpo, mentre di fianco una bambina di pochi anni viene tirata fuori dalle acque e salvata, adagiata sul bordo del gommone, gli occhi spalancati nel vuoto, mentre l’acqua esce dalla sua bocca. Joseph no, non riuscirà a salvarsi. Nonostante gli sforzi, nonostante i soccorritori siano riusciti ad individuarlo e a strapparlo da quel mare che doveva essere il punto di partenza per un futuro migliore.

Ho pianto guardando quel video, perché la voce di quella donna è la voce di una mamma che ha perso suo figlio nel viaggio della speranza, c’è una donna che per tutta la vita si sentirà in colpa per aver deciso di lasciare il poco che aveva nel suo paese desiderando una vita diversa per i suoi figli, un tetto sotto il quale dormire, senza paura di essere rastrellati, decapitati, stuprati e privati della propria libertà.

Già perché proprio questo è il punto. Sotto quel video insieme a tante persone che si sono dette sconvolte, che hanno virtualmente pianto ed accompagnato con dolci parole quel bambino nel suo ultimo viaggio, ce ne sono state altre che non hanno avuto rispetto nemmeno di fronte alla morte di un neonato. Ci sono state persone che hanno scritto “per questo devono chiudere i porti” “devono viaggiare in barche più grandi, con tutto quello che pagano per il biglietto” “chissà come mai almeno ogni due mesi muore un bambino, e lo riprendono, così da impietosirci a farli entrare in casa nostra, devono restare fuori”. Poi entra in scena la guerra dei poveri dove a commentare sono italiani che lamentano un salario basso mentre “ai migranti danno tutto, e ci rubano il lavoro, e delinquono e violentano le nostre donne” come nel più becero spot fascista di altri tempi.

È difficile far capire a queste persone che chi parte per questo viaggio lo fa costretto dalle guerre, costretto dalla fame, costretto dalla paura di essere brutalizzato e torturato. Chi parte lo fa sperando in un futuro migliore, quello che tutti noi speriamo per i nostri figli. E sono d’accordo che in un grande cesto di mele ci siano quelle marce, ma allora scoviamole, isoliamole, creiamo dei corridoi umanitari, decidere scientemente di non aiutare l’altro ci rende uguali ai loro aguzzini, perché è negando un aiuto che si diventa disumani. È chiudendo gli occhi di fronte all’orrore che si diventa complici. Ma davvero voi pensate che una una donna incinta o una madre affronterebbe mai un viaggio del genere, mettendo a rischio i suoi stessi figli, se ci fosse una possibilità diversa? Davvero non riuscite a vedere le atrocità dalle quali scappano? Davvero di fronte alla morte di un bambino di sei mesi riuscite a commentare sui social, ridendo, “uno in meno nei nostri porti”?

Io so che quelle urla non me le strapperò mai di dosso, mi hanno scavato l’anima e spaccato il cuore.

Mi chiamavo Joseph, avevo sei mesi, e ieri sono morto.

Nascere dalla parte giusta del mondo è solo una questione di fortuna.

Non dimentichiamolo mai.