Era il 13 gennaio 2023 quando Martina Scialdone, avvocata di 34 anni, è stata uccisa con un colpo di pistola davanti a un ristorante nel centro di Roma, a premere il grilletto, l’ex compagno Costantino Bonaiuti, con cui aveva deciso di incontrarsi per un chiarimento. Quello che doveva essere un confronto, si è trasformato in una condanna a morte. Martina aveva già subito pressioni e comportamenti ossessivi. Quel giorno era entrata nel locale visibilmente spaventata, tanto da rifugiarsi anche nel bagno. Ma alla fine aveva accettato di incontrarlo fuori. Lì, Bonaiuti ha estratto una pistola Glock, arma regolarmente detenuta per uso sportivo, ma portata in modo illegale, e le ha sparato un solo colpo. Martina è morta tra le braccia del fratello, arrivato di corsa appena saputo dell’incontro, lui sperava di proteggerla, non ha fatto in tempo. Dopo l’omicidio, Bonaiuti è fuggito, ma è stato intercettato poco dopo dalla polizia in zona Colle Salario/Fidene. Arrestato, è stato rinviato a giudizio per omicidio volontario aggravato.
In primo grado la sentenza è stata chiara: ergastolo, una condanna che sembrava restituire almeno in parte la dignità di una giustizia capace di riconoscere la violenza come sistemica, premeditata, devastante. Ma il 16 luglio 2025 è arrivata la sentenza d’appello, l’ergastolo è stato annullato, la pena è stata ridotta a 24 anni e 8 mesi. Motivo: esclusa l’aggravante della premeditazione.
“Sono veramente delusa. Mi aspettavo la conferma dell’ergastolo. Giustizia non è stata fatta“, ha dichiarato Viviana, la madre di Martina. L’avvocata Licia D’Amico, parte civile e membro dell’associazione Insieme a Marianna, ha definito la sentenza “incomprensibile”: “L’aggravante della premeditazione ormai è un oggetto misterioso. I comportamenti di Bonaiuti erano chiarissimi: ha portato con sé un’arma, ha scelto luogo e momento. È femminicidio, e così deve essere chiamato”.
Nonostante la riduzione della pena, il verdetto lascia un senso di vuoto e amarezza, perché ciò che è stato tolto non è solo una manciata di anni, è la consapevolezza che, anche davanti a una morte annunciata, il sistema può ancora voltarsi dall’altra parte.
Stamattina volevo scrivere di una donna che ha cambiato la storia, poi ieri sera, alle 23, è arrivata una sentenza che aspettavo, ed ho capito che dovevo tornare a parlare di lei: Martina Scialdone. Martina è una delle figlie del mio libro, Era mia figlia, la sua mamma, Viviana, è una donna che ho il privilegio di chiamare amica, ci scriviamo, ci sentiamo, ci asciughiamo le lacrime. Una di quelle paure era che all’assassino di Martina venisse ridotta la pena, e così è stato, tolto l’ergastolo, dati 24 anni, perché secondo la Corte non c’è stata premeditazione. Non c’è premeditazione per un uomo che esce di casa con una pistola (non da difesa, da sport, quindi illegale da portare in tasca) sapendo che incontrerà la sua ex. Un uomo che l’ha già umiliata, stalkerizzata, minacciata, un uomo da cui Martina fuggiva, aveva chiesto rifugio in un ristorante, aveva paura, si era nascosta nel bagno, ma nessuno l’ha protetta. E lui l’ha uccisa con un solo colpo, davanti al locale, è morta tra le braccia del fratello, accorso per salvarla. Ieri, con quella sentenza, quel colpo è partito di nuovo. Ha colpito Viviana. Ha colpito tutte noi. Non mi stupisce più niente, ma mi fa ancora male, perché questa non è giustizia, è uno sfregio, una beffa, un tradimento.
Perché ora quell’uomo, se la Cassazione confermerà la sentenza, dopo aver ucciso Martina, davanti a testimoni, con un’arma portata da casa, potrà chiedere il primo permesso premio tra 11 anni. Forse anche prima. Martina non tornerà mai più, ma lui, invece, scontata una pena non adeguata, potrà tornare libero. No, non chiamatela giustizia, perché di giusto, in questa sentenza, non c’è niente..
Martina.
Viviana.
Perdonateci.
Perdonateli.
Perché davvero, non sanno quello che fanno.