“L’orientamento sessuale di tuo figlio non ti fa fallire come genitore, rinnegarlo sì.” Ho letto questa frase sulla pagina Facebook MaiMa, un’associazione che ha come obiettivo la lotta all’omofobia nelle scuole e il riconoscimento dei diritti, era a corredo della storia di Malika Chalhy, la ventiduenne di Castelfiorentino, rinnegata dalla famiglia, e messa alla porta dopo aver confessato di essere omosessuale, che già detta così fa male, ma dopo aver ascoltato le parole della madre, la veemenza e la cattiveria con cui sono state urlate, mi sento in dovere, come genitore di dire la mia.
La cosa che in questa vicenda colpisce di più è proprio il confronto tra questi due mondi, da una parte una figlia che cerca l’accettazione del suo papà e della sua mamma, trovando il coraggio di fare coming out, scegliendo con cura le parole da dire, il tono da usare, mai sopra le righe, come una carezza, sperando di fare breccia nel loro cuore, dall’altra l’ignoranza, la malvagità, l’urlo a ferire, e la precisione delle frasi scelte, a colpire ed affondare, ogni sillaba è una lama. Viene davvero da chiedersi come sia possibile che una madre possa dimenticarsi chi ha di fronte, che quella persona che sta attaccando è la stessa bambina che ha tenuto in braccio, preso per mano, cresciuto con amore, o forse è proprio questo il problema, queste sono proiezioni che non raccontano la verità su questa storia, perché dopo aver ascoltato l’audio della denuncia, viene da chiedersi se questi genitori abbiano mai amato la loro figlia.
È la stessa Malika a fugare ogni dubbio in un’intervista: “Con la mia famiglia non ho mai avuto un rapporto semplice, hanno sempre disprezzato le mie inclinazioni, il mio modo di vestire poco femminile e in generale il mio carattere pacifico e libero. Quando mia mamma venne a sapere che giocavo a calcetto fu la fine. Mi picchiò, era una furia. Diceva che il calcio fa venire le gambe storte, che è uno sport da uomini e da lesbiche. E giù botte. Non ho mai capito perché. Non ne faceva una questione religiosa, lo stesso mio padre. Erano ossessionati dall’idea di avere una figlia lesbica e dal giudizio degli altri“.
Quella madre che nel video incriminato urla “Meglio una figlia drogata che lesbica“. E ancora: “Dì a quella faccia di m… che se l’acchiappo le strappo il cuore dal petto”, e indica i figli degli altri come normali, la sua come quella “che verrà additata da tutti perché lesbica”.
Credetemi fa male ascoltare quell’audio, sono proiettili quelle parole, non sono colpi sparati a salve, sono scelti con cura, non è uno sfogo, è una dichiarazione di guerra, quella in cui non si fanno prigionieri, quella in cui si spara per uccidere. E allora Malika viene messa alla porta, come si fa con la spazzatura, viene accusata di aver distrutto la famiglia, le viene impedito di rientrare in casa, perché lei non fa più parte di quella casa, lei “è marcia” va allontanata, e allora si passa anche alle cose pratiche per impedire il suo rientro, viene cambiata la serratura, cosicché la ragazza non abbia scelte, non abbia alternative.
E forse è proprio a questo punto che dentro di lei scatta qualcosa, dopo il sequestro della sua stanza “Sono tornata con i carabinieri per recuperare le mie cose e mia mamma ha detto che per lei non esistevo. Non lo scorderò mai, all’improvviso sono scomparsa dalla vita della mia famiglia. Ci ho messo un po’ per realizzare, poi ho fatto l’unica cosa che dovevo fare, difendere la mia libertà“.
E così l’urlo sottovoce di Malika conquista tutti, la sua denuncia diventa virale, viene appoggiata da Fedez, da Elodie, da Mahmood, viene lanciata una raccolta fondi per permetterle di coprire le spese legali, e di avere un tetto sopra la testa, già perché questa ragazza da tre mesi non ne ha più una. Esattamente dal 4 gennaio, giorno in cui decide di scrivere la lettera dove annuncia di essersi innamorata di una donna. Ha aspettato novanta giorni prima di decidere di raccontare la sua storia, prima di lanciare il suo grido di dolore, perché ci ha sperato, ha sperato che i suoi genitori ci ripensassero, che le permettessero di essere libera, di amare chiunque, che la accogliessero nuovamente e decidessero di amarla per sempre.
Purtroppo per adesso non è andata così, e dubito fortemente che per questa storia possa esserci un lieto fine, non almeno quello che la ventiduenne avrebbe voluto, perché ci vuole coraggio ad uscire allo scoperto e denunciare la famiglia d’origine, perché significa strapparsi pezzi di cuore, significa ritrovarsi improvvisamente senza un fratello, una madre e un padre, che per quanto cattivi, sono quello che credevi fosse amore.
Ma l’amore non uccide, l’amore non colpisce, l’amore non giudica, l’amore accetta, l’amore non pone condizioni e un genitore questo dovrebbe insegnare al proprio figlio, che sarà amato, protetto e accettato qualunque siano le sue inclinazioni sessuali, il suo credo politico o la sua religione, una madre educa con amore, rimprovera per insegnare, accompagna la tua crescita, ma ti lascia sbagliare, perché così si impara, cadendo ma con qualcuno accanto che sia pronto a farti rialzare. E allora Malika guardati indietro, conta le tue lacrime, disinfetta le tue ferite, dimentica le loro offese, continua la tua vita a testa alta, perché le carezze di cui avevi bisogno, quelle che ti aspettavi da tua madre arriveranno, magari saranno quelle dei genitori della tua ragazza, o del nuovo vicino di casa, oppure dal gruppo dei tuoi nuovi amici, perché il bene genere bene, e quello che tu hai messo in atto è un treno di gentilezza, tu che chiedi ai tuoi follower di non offendere i tuoi genitori, perché l’odio genera odio dimostra quella che sei tu. Adesso fermati un momento, guardati allo specchio, non sei mai stata tu quella sbagliata. Sono sempre stati loro.