Prima di quel 6 aprile c’erano progetti, sogni straordinari da realizzare, e aspettative grandiose. C’erano gli incontri e gli amori, il lavoro e lo studio, c’erano pagine di vita ancora da scrivere da parte di tutte quelle donne, degli uomini, delle famiglie e dei bambini che vivevano lì. Ma è bastata una sola notte a cambiare tutto, a decidere per sempre il destino di quelle persone.
Il terremoto che ha colpito L’Aquila non si può dimenticare. Non possono farlo le persone che hanno visto distruggersi in frammenti le loro case e i ricordi, quelle che hanno perso i familiari e le persone care, e in quell’addio ha lasciato un pezzo di cuore, gli studenti che avevano riposto in quella città tutte le aspettative per il futuro. Non può dimenticarlo chi è restato e chi è partito, senza tornare mai più.
Sono tante le vittime di uno dei terremoti più efferati della storia del nostro Paese. Persone che non ce l’hanno fatta e sopravvissuti. Che vivevano lì o che in quel luogo avevano amici e parenti, quelli che ogni giorno si incontravano al bar o in strada, intere famiglie che avevano costruito le loro case, la loro vita. Conoscenti e sconosciuti, legati indissolubilmente da un filo conduttore, quel dolore che tutti porteranno per sempre nel cuore, il ricordo di quello che poteva essere e che non è stato. Prima e dopo il 6 aprile 2009.
6 aprile 2009: il terremoto dell’Aquila
Quando parliamo del terremoto dell’Aquila facciamo riferimento soprattutto a quello che si è verificato la notte del 6 aprile del 2009, un evento sismico dalla magnitudo momento (Mw) pari a 6,3 avvenuto nella zona compresa tra i territorio di Roio Colle, Genzano di Sassa e Collefracido e avvertito anche in altre parti d’Italia. Non dobbiamo dimenticarci, però, che una lunga serie di eventi sismici ha interessato il territorio fino al 2012. Ma quel 6 aprile resterà comunque nella storia, la nostra.
Erano le 3:32 quando gli abitanti dell’Aquila e di altri paesi abruzzesi si svegliano di contraccolpo. La terra trema e con essa anche le case, gli edifici e tutto ciò che c’è sopra. È la prima volta che un terremoto di quella potenza investe un capoluogo di regione, distrugge in un colpo solo alcuni edifici urbani che appartengono alla comunità come la prefettura e l’ospedale centrale.
I palazzi cominciano a crollare, uno dopo l’altro, mentre le voragini che si aprono sul suolo inghiottono le macchine e le prime macerie. Neanche i paesi circostanti vengono risparmiati. Onna, per esempio, è completamente devastata.
Prima ancora della notizia ufficiale data dai telegiornali e dai media, i telefoni iniziano a squillare. Sono i cittadini dell’Aquila che si chiamano a vicenda per cercare di capire cosa sta succedendo, per assicurarsi che chi sta dall’altra parte della cornetta stia bene. Altri, invece, lanciano un grido d’allarme sui social network. Ci sono i tweet e i retweet di chi sente la terra tremare sotto ai piedi, ma anche di chi è un po’ più lontano ed è stato svegliato nel cuore della notte da quei strani movimenti del suolo.
A Roma lo capiscono. I cittadini parlano di terremoto e pensano che l’evento sismico riguardi la capitale. Ma quello avvertito è solo l’eco di un terremoto feroce che ha colpito un’altra regione. Dopo un paio d’ore tutti ormai sanno che l’Aquila è stata colpita. I primi inviati arrivano nel capoluogo abruzzese e trasmettono le immagini che nessuno avrebbe voluto vedere mai.
Un cumulo di macerie rende irriconoscibile l’Aquila degli Abruzzi. Tra queste lo stordimento generale di chi ancora non ha compreso e le grida disperate di chi invece ha capito tutto. Poi il silenzio assordante del dolore.
Vittime e sopravvissuti
Un sisma feroce e brutale paragonabile a un milione di tonnellate di tritolo, ecco come è stato descritto il terremoto dell’Aquila. Quello che è costato la vita a 309 vittime, alle quale si sono aggiunte quelle che sono restate in vita, ma che quel giorno di 13 anni fa hanno perso tutto tra l’odore pungente di polvere e le infinite nubi di fumo che hanno oscurato il cielo.
Neanche la Luna brillava più quella notte, se lo ricorda bene chi è sopravvissuto e non riesce a dimenticare. Chi si chiede se le persone prima di morire in quel buio nel quale erano sprofondate le case e le strade erano riuscite a guardare per l’ultima il cielo stellato e ad annusare il profumo dell’aria. Prima che l’intonaco cedesse, prima che tutto diventasse acro e oscuro.
Tra le storie di chi non ce l’ha fatta, c’è quella di Giovanna Berardini e della sua famiglia. Aveva 30 anni ed era in attesa del suo secondogenito. Avrebbe dato alla luce la piccola Giorgia, destinata a nascere proprio il giorno dopo del terremoto. Ma aveva preferito trascorrere quella notte a casa, e non in ospedale come le avevano consigliato, per stare insieme a suo figlio, il piccolo Francesco, a Luigi, suo marito e compagno di vita da 15 anni. Non si erano mai separati, non lo fecero neanche quella notte. Morirono insieme, sepolti sotto le macerie della loro casa in via Fortebraccio.
Ai racconti delle vittime si uniscono quelli dei sopravvissuti, cori di un dolore che non può essere dimenticato ieri e oggi. Guido Mariani aveva solo 23 anni all’epoca e, come molti altri studenti, aveva scelto di trasferirsi in città per seguire la facoltà di ingegneria. “Sono rimasto per tre ore sotto le macerie, mi hanno tirato fuori i cittadini scavando a mani nude. Finalmente si è aperto uno spiraglio, delle mani si sono sporte, mi sono aggrappato e sono venuto fuori”, aveva dichiarato il ragazzo ancora sotto shock. La testimonianza, riportata su Repubblica, è dura e cruda. Guido rimase sotto le macerie per ore, provando a invocare aiuto mentre il dolore e la paura lo paralizzavano. Al suo fianco, infatti, c’era il cadavere del suo coinquilino, quello con il quale condividevano un appartamento in via XX settembre da due anni.
Testimonianze e ricordi, questi, che mantengono vivido il bilancio dei morti e di tutto quello che è successo quella notte. Perché “C’era una vita prima del 6 aprile”, ha dichiarato una donna ai microfoni di RSI Radiotelevisione svizzera, e quella non tornerà mai più. Si tratta di Serenella Ottaviano, insegnante e dirigente scolastica, che ha vissuto sulla sua pelle il terremoto dell’Aquila: “Ricordo la parete della camera da letto che si spaccava. Quella frattura che squarciava il muro è stata per me la frattura che stava dividendo la vita prima del 6 aprile e quella dopo il 6 aprile”.