Giuseppe Di Matteo, ucciso a 15 anni per mano della mafia

La sua colpa? Essere figlio di un collaboratore di giustizia. Per questo dopo 779 di prigionia sarà strangolato e sciolto nell'acido. Oggi il responsabile di quell'orrore è libero

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Alessandra Del Re

Giornalista esperta di Costume&Società

Scrive per necessità e passione. Ama le storie degli altri, famosi e non, leggerle e raccontarle

Il bambino nelle foto qui sotto si chiamava Giuseppe di Matteo. Era nato a Palermo il 19 gennaio 1981. Amava andare a cavallo. Il 23 novembre 1993 si trova in un maneggio quando viene avvicinato da un gruppetto di poliziotti della DIA. Suo padre Santino qualche mese prima era finito in manette. Era un mafioso, ma in carcere aveva deciso di diventare collaboratore di giustizia. «Non ti preoccupare, ti portiamo da papà che è stato trasferito in un posto sicuro», gli dissero quegli uomini. Giuseppe era felice di tornare da suo padre. Ma si trattava di un inganno: non erano poliziotti, erano i suoi sequestratori, che lo legarono e lo lasciarono nel cassone di un furgoncino prima di consegnarlo come un pacco ai suoi carcerieri.

Immaginare il dolore di sua madre, Francesca Castellese. Iniziarono a cercarlo dapprima negli ospedali, pensando a un incidente. Ma un messaggio anonimo fece apparire tutto chiaro: “Tappaci la bocca”, riferito a Santino. Giuseppe era stato rapito. La sua via Crucis era appena iniziata. Giuseppe di Matteo sarà spostato numerose volte tra Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta, nascosto in masserie e vecchie case disabitate, fino ad arrivare in un casolare-bunker a San Giuseppe Jato. Un montacarichi portava alla prigione del ragazzino. In questa galera, senza porte né finestre, dormendo su un letto arrugginito, finirà la sua breve vita.

Mi passano alla mante le scene del film Io non ho paura, tratto dal bellissimo romanzo di Niccolò Ammanniti. Ma in questa storia vera nessun bambino aiuterà il coetaneo rapito a spezzare le catene della prigionia. Otto giorni prima del suo quindicesimo compleanno, il 19 gennaio 1996, Giuseppe morirà su ordine di Giovanni Brusca, detto lo scannacristiani, Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano. Sarà lui a ordinare a Enzo Brusca, Giuseppe Monticciolo e Vincenzo Chiodo di uccidere l’ostaggio.

Giuseppe viene strangolato con una corda al collo. Poi lo spogliano. Versano l’acido in un fusto e ci mettono dentro il cadavere, per non lasciare nessuna traccia.

Oggi il luogo dove è stato ammazzato è diventato Giardino della Memoria. Nicola, il fratello di Giuseppe che oggi ha 38 anni, ci ha ha messo 25 anni per trovare il coraggio di tornarci. Inutile dire quanto possono fare male i ricordi.

Giovanni Brusca, l’uomo che ordinò il sequestro e l’uccisione di Giuseppe Di Matteo, è lo stesso che ha premuto il telecomando che ha fatto saltare in aria Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Quell’uomo ha 64 anni e grazie alla buona condotta e al fatto che si è rivelato un collaboratore di giustizia affidabile, oggi è un uomo libero.

Fonte: Ansa
Giuseppe di Matteo (foto Ansa)