Cisterna di Latina, 28 febbraio 2018, sono le sei del mattino. Antonietta Gargiulo esce di casa per andare al lavoro, come ogni giorno, scende nel garage, saluta le figlie, Alessia e Martina, ancora a letto. Una routine come tante, ma quella mattina tutto cambia per sempre. Ad attenderla nel buio c’è Luigi Capasso, il marito da cui si stava separando, è un carabiniere, armato della sua pistola d’ordinanza. Le spara tre volte, colpendola all’addome, alla spalla, al volto. Poi sale in casa e uccide le loro figlie: Martina, la più piccola, dormiva nel lettone; Alessia era già in piedi, stava preparando lo zaino per andare a scuola. Nessuna delle due ha avuto scampo.
Per ore, Capasso rimane barricato nell’appartamento, i negoziatori cercano invano di convincerlo ad arrendersi, ma lui si toglie la vita con la stessa arma con cui ha distrutto la sua famiglia.
Antonietta sopravvive. Resta in coma per otto giorni, quando si risveglia, in ospedale, non sa ancora nulla. A raccontarle la verità è suo fratello, con i medici accanto. Da quel momento, la sua vita diventa un campo di macerie.
Nel 2025, a sette anni dalla strage, arriva la sentenza per due medici: sono stati assolti. Erano loro ad aver autorizzato la restituzione dell’arma a Capasso, nonostante le denunce della moglie, le segnalazioni, lo stato psichico instabile, nessuna responsabilità riconosciuta, nessuna giustizia.
Antonietta Gargiulo è viva. Ma da quel giorno è sola.
Quando ho parlato con lei, dopo la sentenza, non aveva più lacrime, non aveva più voce. C’era solo dolore. E una domanda che mi martella in testa da allora: come è possibile che nessuno paghi? Che due medici possano restituire un’arma a un uomo instabile, con precedenti, con segnalazioni gravi, e poi uscirsene con un’assoluzione piena?
C’è chi perde il porto d’armi sportivo per una cura psicologica, anche solo per aver preso uno psicofarmaco. E poi c’è chi può continuare a portare un’arma da guerra al fianco, nonostante due esposti ufficiali e ripetute segnalazioni al comandante della caserma di Velletri, al centro antiviolenza e ai servizi sociali, chiedendo aiuto e protezione per sé e per le figlie. Significa che ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B. E che se sbagli tu, paghi. Se sbagliano loro, invece, nessuno è responsabile.
La pistola che ha distrutto quella famiglia era nelle mani sbagliate, perché qualcuno gliel’ha lasciata in mano. E oggi quei “qualcuno” escono dal tribunale come se nulla fosse. Ma chi ci dice che non lo rifaranno? Chi ci assicura che domani non autorizzeranno un altro porto d’armi, un’altra tragedia, un altro femminicidio?
Antonietta non cerca vendetta, cerca verità, cerca giustizia. E lo fa da sola, ogni giorno. Ha seppellito due figlie che avevano solo preparato lo zaino per andare a scuola. Due figlie che oggi non vedono più la luce del sole. E da allora, nessuna istituzione si è fatta viva.
Oggi vi porto le sue parole. Parole che inchiodano chi ha chiuso gli occhi:
«Sono scioccata. Hanno ucciso le mie figlie una seconda volta. Non c’è giustizia né verità. Solo un muro di omertà dove nessuno ha riconosciuto le proprie responsabilità. Le istituzioni sono state assenti per sette anni. Sono uscita dal San Camillo senza più nulla. E nessuno mi ha riconosciuta come vittima. Le mie figlie sono vittime e martiri innocenti di un sistema che non ci ha protetto.»
Non aggiungo altro. Se queste parole non scuotono le coscienze, allora significa che abbiamo davvero perso.