Margaret Mead: il femore rotto ci insegna cosa vuol dire “civiltà”

La cura di un femore, che rappresenta l'inizio della civiltà, diventa la metafora dell'umanità che ci contraddistingue

Foto di Sabina Petrazzuolo

Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Pubblicato: 5 Aprile 2022 10:42Aggiornato: 14 Gennaio 2024 10:41

I malati sono diventati un peso, il nostro. Perché abbiamo perso di vista le cose importanti, perché siamo sempre più concentrati sui nostri obiettivi che si perdono e si confondono tra il caos e il disordine dei giorni. Così abbiamo smesso di prenderci cura degli altri, abbiamo perso il senso della parola comunità.

Comunità intesa come l’insieme di tutte quelle norme naturali, sociali e spirituali, che tengono unito un popolo durante tutta la sua esistenza, comunità che si contrappone a quell’eterno vagare di oggi che ci vede come lupi solitari alla continua ricerca di qualcosa. Ed è proprio da questa consapevolezza che dovremmo ricominciare, ripartire dalle persone che rappresentano il primo segno di civiltà umana.

È questo il grande insegnamento che si nasconde dietro la lezione data dall’antropologa Margaret Mead, quello di prendersi cura degli altri, trasformare un dolore individuale in un atto collettivo che passa per la capacità di tendere la mano agli altri.

Il primo segno di civiltà di una cultura

Durante una lezione tenuta da Margaret Mead, un suo studente le chiese qual era il primo segno di civiltà di una cultura. Il ragazzo, così come i suoi colleghi, si aspettavano che l’antropologa menzionasse le armi, le pentole o le macine di pietra, tutte cose relative alla prima sopravvivenza.

E invece Margaret Mead diede una risposta inaspettata, che sicuramente ha aperto tutta una serie di riflessioni che oggi si trasformano in una lezione di vita che dovremmo fare nostra. L’antropologa, infatti, rispose che il primo segno di civiltà di una cultura era un femore rotto, guarito poi grazie alla presenza degli altri.

L’insegnante, per spiegare la sua teoria, fece un paragone con il regno animale. Quando un lupo, o qualsiasi altro animale, si rompe una gamba, muore. Le possibilità che sopravviva affinché l’osso guarisca da solo sono improbabili. Non può andare al fiume a bere o girovagare per cercare da mangiare. È immobile e in balia del destino, probabilmente diventerà il cibo di altri predatori.

Se una persona si rompe il femore, invece, può guarire grazie alla presenza degli altri, grazie a tutte le persone che attorno a lui si riuniscono per guarirlo per prendersene cura. Margaret Mead disse che aiutare qualcun altro in quella occasione, o in qualsiasi altro momento di difficoltà, segna l’inizio della civiltà.

Oggi, invece, nessuno più si riunisce attorno a quel malato che viene considerato un peso, che viene lasciato solo e senza più riferimenti. E quando questo accade è chiaro che abbiamo perso ciò che ci rende civili, umani.

Cosa ci insegnano le parole di Margaret Mead

La risposta di Margaret Mead è diventata con gli anni una vera e propria lezione di vita rispetto all’importanza di prendersi cura degli altri, non solo dei malesseri fisici, ma anche mentali. Ed è qualcosa su cui dovremmo riflettere soprattutto oggi, perché nella società in cui viviamo, che ci impone di correre e di non fermarci mai, il malato viene dimenticato o, peggio, allontanato dalla comunità e isolato perché considerato un peso.

Il femore rotto, che in questo caso diventa la metafora delle persone che fanno parte della nostra vita, è un segnale di salvaguardia della comunità alla quale apparteniamo, dei punti di riferimento ai quali possiamo sempre appoggiarci, delle relazioni emozionali e sentimentali. Quelle che dobbiamo costruire e ricostruire proprio attraverso la cura.

Fonte: Getty Images
Margaret Mead (foto Getty Images)