Gaya Spolverato, chirurga: a 40 anni la più giovane primaria d’Italia

Chirurga oncologica e mamma di due figli Gaya Spolverato è la dimostrazione di come passione e sostegno famigliare siano il segreto per farcela

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Pubblicato: 16 Dicembre 2024 08:57

Sono cresciuta in una famiglia di persone semplici, dove tutto sembrava possibile. Mi sono iscritta a Medicina per fare la differenza, per essere la migliore opzione per i miei pazienti” (Gaya Spolverato)

Lo confesso: la prima volta che ho letto un articolo che parlava di lei sono rimasta a bocca aperta. Era settembre, in prima pagina spiccava una foto di questa bellissima chirurga con il camice azzurro e il titolo recitava così: “Gaya Spolverato, 40 anni, la più giovane primaria d’Italia, dalla chirurgia oncologica all’impegno per le donne. Ecco la sua storia”. Ed io, curiosa come una brava giornalista deve essere, me lo sono letto tutto quel pezzo, scoprendo che questa meravigliosa professoressa non solo ricopriva un ruolo prettamente maschile, quello della chirurga, per giunta oncologica, ma aveva un curriculum da far invidia a Meredith Grey della 14esima stagione, mi si perdoni la citazione da Greys Anatomy, ma quando ho letto  che la dottoressa prima era stata studente internazionale e poi ricercatrice al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, è stato un attimo ritrovarmi a fare il tifo per lei. Quando poi ho scoperto che oltre ad essere un super medico era anche mamma di due figli, ho pensato che dovesse per forza essere un supereroe, o che la sua famiglia fosse un valore aggiunto, perché chiunque lavori ed è donna, sa perfettamente quanto sia difficile conciliare entrambi i ruoli se non si fa gioco di squadra. Per questo ho deciso di intervistarla.

Dottoressa, lei è la più giovane primaria in Italia: che effetto le fa?
Sì, io sono la più giovane primaria d’Italia, è una cosa straordinaria avere la possibilità di lavorare in un sistema che ha le sue complessità, ma che è in grado, quando serve di investire in capitale umano e sui valori della squadra. Io sono primaria, è vero, ma è solo un termine; ho la responsabilità amministrativa e gestionale, ma in realtà il grande lavoro lo fa la squadra, nel mio caso una squadra straordinaria.

Qual è la sua storia, sognava di fare il medico da piccola?
La mia storia è una storia nota ormai, perché me lo avete chiesto in tanti. Fin da piccola volevo fare la chirurga, da bambina sicuramente volevo fare il medico, un sogno che si tramandava: mia madre lo avrebbe voluto fare, ma non aveva le possibilità economiche, avrebbe almeno voluto fare l’infermiera, ma anche per quello non c’erano le possibilità, quelle che invece sono state date a me e ai miei fratelli. I miei genitori ci hanno permesso di scegliere liberamente quelle che sarebbero state le nostre professioni. Quando è arrivato il momento di scegliere l’ho potuto fare liberamente, ho scelto una professione chirurgica in anni in cui la chirurgia non era una cosa da donne, una scelta che forse ho fatto con leggerezza, ma in realtà quando mi sono fermata a pensare in più di un’occasione, ho continuato a scegliere questa come mia professione. Ci penso molto spesso e ci ho pensato anche recentemente se sia veramente questo il mio futuro e se lo sarà per sempre, e per ora devo dire di sì, perché lo scelgo ogni giorno.

Lei è la dimostrazione che il binomio mamma e carriera è possibile quando in famiglia si viene sostenute?
Mamma e carriera è possibile quando si ha una rete, io una rete di persone che forse è uno dei motivi per cui sono tornata dagli Stati Uniti. Dare ai miei figli la possibilità di crescere in un’ambiente simile a quello in cui sono cresciuta io e dar loro la possibilità di fiorire in una famiglia libera, che poi sono i valori con cui sono cresciuta io. I miei figli passano la maggior parte del tempo con i miei genitori, ma anche con i genitori di Sergio, mio marito, e crescono in una famiglia libera in un contesto sociale assolutamente aperto e che, rimanendo negli USA, avrei precluso loro. Non è facile essere mamma e fare la mamma, fare tutto quello che non è lavorare perché di fatto il nostro lavoro è totalmente assolutizzante, però è così. Sarà per un periodo, sarà per molti anni, lo dirà il tempo, spero di riuscire a dare loro tutto quello di cui hanno bisogno e che meritano.

Cosa dovrebbe o potrebbe fare lo stato per aiutare le donne dopo la maternità, visto che un’altissima percentuale di professioniste non rientra al lavoro dopo essere diventate madri?
Purtroppo molte professioniste non riescono a rientrare al lavoro perché la rete non è una rete casuale ma è spesso familiare: quando la famiglia non c’è, la rete manca, il supporto manca. Non so cosa possa fare lo stato, ma penso che già porsi il problema potrebbe fare la differenza, creare dei sistemi di tutela, creare degli incentivi e aiutare realmente ed economicamente le donne che vogliano ambire ad una posizione apicale, ma anche semplicemente donne che vogliano mantenere la propria famiglia e non doversi basare sul mantenimento da parte di un’altra persona rendendole libere di fare delle scelte professionali importanti.

Lei è specializzata in chirurgia oncologica, come riesce a staccarsi dalla malattia che devasta l’anima e il corpo del paziente e della sua famiglia?
Sì, io sono specializzata in chirurgia oncologica, ma riesco sicuramente a staccare, forse è uno dei segreti per rimanere sani mentalmente per chi come noi vede tutto il giorno pazienti oncologici. Cambia un po’ il paradigma, perché il desiderio non è quello di guarire, ma di curare, di prendersi cura, se sai che lo hai fatto, lo fai tutti i giorni e cerchi di farlo nel miglior modo possibile, hai già vinto e riesci ad affrontare meglio anche quello che c’è fuori dall’ospedale. Poi è normale che ci siano momenti più critici anche al limite delle nostre capacità, anche mentali ed emotive.

Empatia e medicina sono convinta debbano viaggiare sulla stessa lunghezza, eppure spesso certi medici sembra abbiano una barriera. Secondo lei è un modo per difendersi o semplicemente è carattere?
L’empatia è fondamentale, io credo che si debba fare questo mestiere rimanendo quelli che si è, questa è una grande sfida per ciascuno di noi, soprattutto per i più giovani: non si deve cambiare in nessuna maniera le proprie caratteristiche, non si deve sottostare a sovrastrutture mentali che ci vorrebbero duri freddi calcolatori e quant’altro. Noi siamo persone prima di tutto, prima di essere medici, prima di essere chirurghi, e possiamo prenderci cura delle altre persone solo se sappiamo essere felici nella professione e se riusciamo ad essere noi stessi, abbracciando anche le difficoltà e l’emotività che per fortuna fanno parte della nostra vita.

Ultimamente si leggono molti attacchi al personale medico nei pronto soccorso e negli ospedali in generale: secondo lei perché accade questo? Da quando i medici sono diventati il nemico?
Io credo che dipenda molto da un senso di insoddisfazione profonda diffusa: le persone sentono a volte anche un po’ di frustrazione in richieste che, a volte, non vengono soddisfatte per un problema spesso gestionale amministrativo e anche di difficoltà. Il nostro sistema sanitario si basa molto spesso, troppo,  sulla buona volontà di persone che fanno la differenza, e questo non può più succedere. C’è bisogno di strutturare molto, di finanziare il sistema sanitario pubblico e c’è bisogno di una cultura del rispetto nei confronti di noi medici e di tutto il personale sanitario, di quelli che fanno turni massacranti,  dalla mattina alla sera, che si mettono a disposizione, francamente dando molto, ma molto di più di quello che economicamente ci viene riconosciuto. Poi c’è tutto l’aspetto umano, perché sicuramente noi otteniamo indietro molto dai nostri pazienti, dal nostro lavoro, molti di noi, almeno, però questo non significa che sia i medici sia il personale sanitario non debbano essere valorizzati, pagati e sostenuti di più, o che il sistema sanitario non debba essere supportato molto molto di più per garantirne la qualità e per mantenere il valore nel tempo e non svalutarlo mai. Così che anche i pazienti lo valorizzeranno di più.

Ha ancora dei sogni? Cosa sogna per i suoi figli?
Certo che ho ancora dei sogni,  sono solo all’inizio! Il mio sogno più grande è quello di lavorare in un sistema giusto, un sistema che valorizzi le persone, voglio continuare ad investire sulle persone e sulla loro formazione, sulla mia formazione. Io investo molto sulla tecnologia, su quella robotica nella fattispecie, e su quello sto dedicando molto del mio tempo, molte delle mie energie. Farlo in un gruppo coeso, che valorizza le persone, il singolo, è fondamentale. Il mio sogno è quello di continuare a fare il mio mestiere e di farlo in maniera sempre più elevata e che dia grande forza alla squadra e alle persone che lavorano con me. Per i miei figli sogno che abbiano la possibilità di scegliere il loro lavoro e di farlo con la stessa passione e lo stesso amore con cui lo faccio io, ma sogno anche una grande realizzazione personale perché è fondamentale e totalmente necessaria per poi dedicarsi ad una professione e a non fare in modo che quella professione diventi l’unica cosa che uno ha nella vita.

Qual è la sua citazione preferita? A chi si ispira?
Una frase tra tutte è una frase di Tiziano Terzani che io ho amato e che leggo molto spesso ancora oggi: “Se c’è una strada che va in basso ed una che va in alto tu scegli sempre quella che va in alto, ti troverai sempre meglio” ed io finché posso continuerò ad andare in alto e se poi cadrò mi rialzerò. O almeno lo spero.

(il CV della professoressa Spolverato: Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Padova nel 2010, specializzazione in Chirurgia Generale presso l’Università di Verona nel 2017, studente internazionale di Medicina e Chirurgia al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York nel 2010, ricercatrice in Chirurgia Oncologica alla Johns Hopkins di Baltimora dal 2013 al 2015 e Fellow in Chirurgia Oncologica al Memorial Sloan Kettering Cancer Center dal 2017 al 2018. Nel 2018 è tornata in Italia come Ricercatrice prima e Professoressa poi all’Università degli Studi di Padova e come Dirigente Medico dell’Azienda Ospedale Università di Padova, nell’ equipe del Prof. Pucciarelli.
Nel 2015 ha co-fondato Women In Surgery Italia, associazione che vuole unire e rappresentare le chirurghe italiane. È autrice di oltre 250 articoli scientifici e di oltre 10 libri di Chirurgia. È stata relatrice a congressi nazionali e internazionali e vincitrice di numerosi riconoscimenti internazionali.)