Rebecca: non sono un supereroe, sono una mamma che lotta per sua figlia

Rebecca ha 43 anni e due figli, Elisa e Daniele, rimasta da sola mentre era incinta del secondo, lotta per far conoscere la malattia rara della sua primogenita: la neurofibromatosi.

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Pubblicato: 9 Agosto 2021 18:42

Rebecca Albarani ha 43 anni e due figli, Elisa di 6 e Daniele di 4. Rebecca è rimasta da sola mentre era incinta del secondo, e lotta per far conoscere la malattia della sua primogenita: la neurofibromatosi (una malattia rara che provoca tumori). Se pensate che convivere con una malattia rara sia difficile, immaginate di doverlo fare da sola, in gravidanza e lontana dai vostri affetti. Eppure lei è una non ha mai perso il suo sorriso, come non lo hanno perso i suoi figli, che cura, protegge e alleva come una supereroina, ma guai a farglielo notare: vi risponderà che lei è “soltanto” una mamma innamorata dei suoi bambini.

Il suo segreto? Guardare avanti e non voltarsi mai indietro, perché se c’è una cosa che ha imparato da questa situazione, è che si può essere felici anche da soli, che ad appoggiarsi alle persone sbagliate si fa presto a cadere, le avevano detto che senza un compagno con due figli, e una malattia contro la quale combattere, non ce l’avrebbe mai fatta. E lei allora cosa ha deciso? Che ci sarebbe riuscita, contro tutto e contro tutti i pronostici negativi, perché proprio quelli che le suggerivano di trovarsi un altro o di chiedere aiuto, non le avevano rivelato la cosa più importante, che quelli sarebbero stati gli anni più difficili, ma anche i più belli della sua vita. Questa è la sua storia.

«Quando mi chiedono di raccontare la mia storia, mi trovo sempre in difficoltà perché è talmente piena di eventi che l’hanno totalmente stravolta che faccio fatica a sintetizzare. Sono nata a Milano, la mia città d’origine, ma cresciuta in Liguria, a Genova per trasferimento dei miei genitori – ci racconta Rebecca – Una città in cui risiedono i miei affetti più cari, ma con una mentalità chiusa  che all’epoca mi stava molto stretta. Proprio per questo ho scelto strade lavorative diverse dai miei studi d’arte, collaborando con multinazionali nel campo dell’abbigliamento, fino ad arrivare in Spagna. Paese in cui ho vissuto tanti anni, fatto carriera, imparato due lingue straniere e  lasciato un pezzo di cuore. Per una questione burocratica  l’azienda mi dice che avrei dovuto smaltire un mese di ferie  e decido di tornare a Genova. In quel periodo inizio a frequentare il padre dei bambini e stiamo insieme a distanza per vari mesi, finché non ho decido di lasciare tutto e ricominciare con lui, nel punto esatto da dove ero partita».

Un ritorno alle origini per amore quindi.
Sì anche se la relazione era abbastanza complicata, ma quando sei molto innamorato l’obiettività finisce nel dimenticatoio. Con il senno di poi mi sarei potuta accorgere delle problematiche, ma io sono una persona che non guarda mai indietro, e questo è anche uno dei miei punti di forza .Mi aveva già lasciato mentre ero incinta di Elisa, ricordo che lavoravo e la sera quando chiudevo il negozio andavo a dormire in albergo. In quel periodo mi hanno rapinato e picchiato mentre ero in negozio, ho rischiato di perdere la mia piccolina. Ho fatto 20 giorni di ospedale, ma dopo le dimissioni sono ritornata con lui. Fino a che, non rimango incinta di Daniele e lui decide di andare via di casa. Ero di 16 settimane. Mi sono ritrovata con una bambina di neanche un anno e mezzo che non parlava, non camminava, aveva evidenti difficoltà inerenti alla sua malattia e con il mio cucciolo in pancia. Non ho avuto né tempo né voglia di piangermi addosso, ho pulito nelle case di amici (portandomi dietro Elisa e ovviamente mettendoci il triplo del tempo) quasi fino a termine della gravidanza, pur di guadagnare qualcosa. Quando è nato Daniele è stato tutto molto difficile, ricordo che spesso non riuscivo neanche a mangiare. Dormire non ne parliamo.

Che cosa ti ricordi di quel periodo?
Ricordo una cosa, che mi sento di condividere con te: avevo paura del giudizio delle persone del quartiere in cui vivevo. Questo non lo dimenticherò mai. È un quartiere popolare di Genova, con una mentalità molto chiusa e mi sentivo inadatta proprio per la mia situazione. Avevo paura del giudizio degli altri come mamma, che poi con il tempo per fortuna ho superato. Da Genova me ne sono andata appena ho potuto raggiungendo mia mamma in Valsassina, anche perché Elisa è peggiorata e avrei avuto un supporto per la riabilitazione quotidiana della bambina. E perché Daniele meritava tranquillità, tanto quanto lei. Elisa ha e avrà una vita difficile, ma nelle mie scelte ho tenuto sempre conto anche della serenità di Daniele. Nel frattempo poi mia madre è tornata in Liguria ed io sono rimasta in mezzo ai monti come Heidi con due bambini piccoli di cui una affetta da una malattia rara incurabile. Un quadro complicato, ma sai una cosa? Mi sembra complicato solo quando lo racconto a terzi, quando lo scrivo. Nella quotidianità no. Affronto un problema alla volta e vado avanti. Da sempre.

Qual è la parte più difficile di questa situazione?
La parte più difficile è stata quella economica senza dubbio, perché conciliare un lavoro con due bambini senza aiuti è veramente complicato. E, mi dispiace dirlo, ma tutt’ora non ci sono sostegni nel territorio per famiglie come la mia. Neanche con una disabilità grave.

Perché hai deciso di condividere la tua vita sui social?
Perché non volevo restare a piangere sul divano aspettando di ritirare un foglio di dimissioni ogni 6 mesi, in cui trovavo scritto come avanzava la malattia. Non volevo stare con le mani in mano guardando mia figlia soffrire. Perché ho visto che non se ne parlava abbastanza, perché nessuno ne parlava e invece la comunicazione e l’informazione sono un mezzo potente che può aiutare tante famiglie. Compresa la mia. Non avevo idea di cosa avrei fatto, avevo chiaro solo che volevo aiutare e supportare. Ho cercato on-line un associazione da sostenere, che tuttora sostengo attivamente  come @linfa_neurofibromatosi. E ho iniziato.

Ti ha aiutato?
Ha aiutato me, in primis, a confrontarmi con altre realtà, a capire che ero realmente forte. Prima non me ne rendevo conto, la mia vita mi sembrava normale. A volte dubito ancora di me stessa. Mi chiedevo se meritassi di  ricevere così tanto affetto. Grazie al confronto con altre famiglie mi sono resa conto di quanto avessi superato senza abbattermi mai. Mi ringraziano sempre su Instagram per quello che faccio, ma sono io che ringrazio le mamme che mi hanno aiutata ad aprire gli occhi sulle mie capacità e la mia determinazione. Mi ha aiutata a sostenere altre famiglie e indirizzarle da professionisti perché la neurofibromatosi è una patologia sconosciuta. E questo è un grande pericolo oltre ad essere un grosso problema. Mi ha aiutata a dar voce alla malattia stessa, arrivando a più persone e infine ha aiutato Elisa, perché ha ricevuto e riceve tantissimo affetto.

Come hai scoperto la malattia di Elisa?
L’ho scoperta per caso ed è proprio questo motivo della mia battaglia : l’informazione. Non dev’essere diagnosticata per caso, perché il caso può essere fatale. Questa patologia “crea” neurofibromi (tumori) che possono essere benigni, trasformarsi in maligni oppure maligni fin da subito, e puoi non prenderla in tempo. Sono stata fortunata perché la mia pediatra della mutua faceva parte dell’equipe delle malattie rare e alla seconda visita se n’è accorta subito. Non lo dimenticherò mai: la gira, la rigira, conta e riconta, contava le macchie caffelatte, quelle che determinano la malattia, dicendo ad alta voce: “Come ho fatto a non accorgermene?”. Ad  un certo punto mi dice: “Signora si sieda”. Da lì ricordo ben poco. Quando ha iniziato a parlare dallo shock non riuscivo neanche ad ascoltare i passaggi di tutto quello che avrei dovuto fare, infatti il giorno dopo l’ho dovuta richiamare.

Cosa vorresti per lei e per te?
Vorrei una cura, vorrei che vivesse senza l’incubo di peggiorare, vorrei che vivesse senza ricoveri continui, vorrei che vivesse spensierata, lo desidero più di ogni altra cosa. Per quanto mi riguarda, sono quasi sette anni che ho messo da parte tutto per i miei figli e quando mi chiedono come faccia non so rispondere. Quello che mi piacerebbe, se potrò, è riprendere in mano la mia vita sociale e lavorativa facendo quello che mi piace.

Quale stato il momento più drammatico?
Il momento più drammatico sicuramente quando Elisa è peggiorata, è stato come rendermi veramente conto della malattia. Una malattia imprevedibile, che non ti avvisa quando avanza.

Cosa vorresti dire o, far conoscere, per sensibilizzare sull’argomento malattie rare?
Vorrei dire che sono rare perché non si conoscono, ma l’informazione è la chiave della nostra salvezza. Bisogna comunicare, informarsi, confrontarsi è fondamentale per noi. Prendere in tempo una malattia rara può salvare una vita e questo accade solo grazie all’informazione. Elisa è stata dimessa come sana da uno degli ospedali migliori di Genova. Vorrei abbattere la disinformazione per la mia bambina e per tutti i bambini, che si meritano di avere una seconda possibilità, quella che la malattia rara spesso non concede loro. Ce la metterò tutta.

E noi cara Rebecca saremo al tuo fianco, per Elisa e per tutti i bambini del mondo.

Fonte: Facebook
La famiglia Albarani: mamma Rebecca , Elisa e Daniele (foto Facebook)