Per chi nel 1982 era adulto e tifava fino alle lacrime, per tutti quelli che erano ancora bambini e assistevano quasi tramortiti da tanta emozione. E soprattutto per chi ancora non era nato ma è giusto che sappia, che conosca la bellissima favola di riscatto di una squadra data per perdente da tutti ma che ha saputo arrivare alle stelle, grazie alla rabbia, alla voglia di rivalsa, alla capacità di credere in sé stessi e nei propri sogni e alla bravura di un allenatore che ha saputo guidarli al meglio, dando loro fiducia. Italia 1982 – Una storia azzurra, il documentario di Coralla Ciccolini sull’impresa italiana ai mondiali della Spagna, visibile su Sky, è un regalo che tutti dovrebbero farsi. E fare a chi non conosce quella meravigliosa avventura.
Anche perché in fondo la storia della squadra azzurra ai mondiali 1982 è la storia dell’Italia di quegli anni: malandata, acciaccata, ferita dagli anni di piombo, ma pronta a ricredere in se stessa e a rinascere. E a sentirsi per la prima volta dopo tanti anni di terrore e divisione di nuovo unita, destra e sinistra, ricchi e poveri, a tifare in un’unica direzione, per un unico obiettivo.
I 22 azzurri sul campo erano tutti gli italiani di allora, la capacità e umanità di Bearzot quella di Pertini. Un Presidente che ha guidato alla rinascita il proprio Paese in quegli anni. E che non ha mai abbandonato nemmeno i suoi Azzurri, presente fino alla fine tanto da riportarli a casa sul proprio aereo presidenziale.
Nel ricordare e raccontare come andarono le cose, alcuni fra gli stessi protagonisti di allora: Bruno Conti, Claudio Gentile, Giancarlo Antognoni, Marco Tardelli.
Al posto di Enzo Bearzot, morto nel 2010, sua figlia Cinzia che ancora si commuove a riguardare quelle immagini, a ricordare quelle partite, l’ostracismo che dovettero superare quei ragazzi e il loro allenatore ( “Vi assicuro che leggere i giornali non era affatto piacevole per me che ero la figlia di Bearzot. Sapete come li chiamavano gli azzurri? L’armata Brancazot…”) e nel raccontare di come al funerale del padre Conti lo salutò dicendo: “Ciao, Papà”.
Commuove anche rivedere Dino Zoff che esce dalla finale baciando il suo allenatore, lui così silenzioso, nordico, generalmente ermetico. Perché quei mondiali furono davvero una sorta di miracolo, dall’inizio alla fine. Miracolosa e inaspettata la vittoria sull’Argentina di Maradona, ancora più miracolosa quella sul Brasile di Zico, Serginho e Falcao, punito per aver creduto troppo in se stesso. Miracolosa la vittoria finale contro la Germania di Rummenigge. E miracolosa la parabola di Paolo Rossi, la cui convocazione fu criticata da tutti, giornalisti, tecnici, addetti ai lavori, a causa del suo fermo di due anni per lo scandalo del calcioscommesse del 1980. Ma che la caparbietà e lungimiranza di Bearzot, unita alla sua voglia di riscatto, seppero trasformare da reietto in eroe, autore della leggendaria tripletta al Brasile, miglior giocatore di tutto il Mondiale.
Le partite a ping-pong, Gentile che arrivò senza scarpini e dovette farseli prestare da Cabrini (oggi sarebbe impensabile), Tardelli insonne che andava a rompere le scatole a tutti i compagni di squadra, Battiato che fece da colonna sonora ai Mondiali azzurri con la sua Cuccurucucu paloma”. Ogni dettaglio, ogni ricordo, rievocato dai protagonisti di allora, suscita emozione e tenerezza. Perché, a parte qualche eccezione, erano ragazzi poco più che ventenni, ignari del successo che li avrebbe travolti e del risultato che avrebbero ottenuto. Ma che seppero fare squadra, ascoltare il loro allenatore, credere nel loro sogno. E far ricredere chi non ci aveva creduto.
Per tutti questi motivi la loro storia dovrebbero conoscerla tutti, i ragazzi di ieri come quelli di oggi. Perché se noi che c’eravamo non può che emozionare, tutti quelli che non c’erano avrebbero tanto da imparare.