Gabriele e Ilaria: la nostra vita con la sindrome di Williams

Gabriele cosa vorresti far conoscere di questa sindrome? vorrei fosse data una possibilità a questi ragazzi, perché ognuno merita di poter essere se stesso

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Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Io e Gabriele ci conosciamo da ventuno anni. Il nostro primo incontro è avvenuto tra le mura del call center della Vodafone a Pisa, che si chiamava ancora Omnitel, era maggio del 2000, entrambi avevamo passato la selezione per diventare operatori del 190, il servizio clienti, era per entrambi il primo vero lavoro. Io ero sposata da meno di un anno, avevo una bambina di sei mesi, lui era ancora un ragazzo, laureato da poco, ma già fidanzato con quella che è poi diventata sua moglie (stanno insieme dal 1992), Ilaria. Siamo capitati nello stesso gruppo e per un mese siamo stati formati, è stato come tornare a scuola, dalle 9 alle 17 tutti i giorni abbiamo imparato come gestire un cliente logorroico o troppo esigente, siamo stati introdotti al problem solving o all’apertura di segnalazioni per la poca copertura, ma in quelle settimane in realtà le nostre vite, e quelle degli altri ragazzi presenti, si sono mescolate ed unite così tanto, che anche adesso, a distanza di tempo, ci sentiamo e seguiamo le rispettive esistenze sui social, gioendo dei traguardi raggiunti, incupendoci per le situazioni diffidi, a tratti drammatiche cui alcuni di noi sono stati sottoposti, ma sempre legati, anche se a distanza.

Gabriele Andreotti ha una famiglia davvero meravigliosa, insieme a lui e alla moglie, sono arrivati tre figli, Alessandro, Leonardo e Chicco, e lui ha iniziato a condividere sui social il percorso così umanamente difficile di un nucleo familiare che si trova catapultato nel mondo della disabilità all’improvviso. I suoi post così ricchi di umanità, dolore e speranza hanno il pregio di incollarti allo schermo, perché sono veri, sono le domande di un padre che vorrebbe il meglio per suo figlio e che si trova a combattere contro draghi più o meno potenti, a volte a vincere è lo sconforto, a volte la rabbia, ma alla fine a vincere è sempre l’amore, perché quando cresci in una famiglia così unita anche le battaglie più difficili diventano più sopportabili. Ed io ho deciso di raccontare la loro storia perché sono sicura possa essere di aiuto e di esempio a chi in questo momento ha perso la speranza, il sogno di un inclusione così facile sulla carta, ma così difficile nella vita reale. Alessandro è affetto dalla sindrome di Williams una rara malattia genetica che si manifesta già dalla nascita o dalla prima infanzia con diverse caratteristiche tra le quali cardiopatie congenite, difetti dei vasi sanguigni (principalmente stenosi sopravalvolare dell’aorta) e un aspetto particolare del volto (testa piccola, fronte larga, labbra grosse, aspetto “pieno” delle guance e dei tessuti intorno agli occhi). I bambini colpiti manifestano scarso accrescimento, difficoltà nella coordinazione dei movimenti e disabilità cognitive di grado molto variabile, più o meno gravi.

Gabriele ci racconti la vostra storia? 
Io e mia moglie stiamo insieme da sempre, la vita è scorsa veloce, non sempre facilmente ma nell’amore totale, fino al coronamento del sogno voluto da sempre, il matrimonio e poi il primo figlio: Alessandro. Eravamo felicissimi quando abbiamo avuto la conferma dal test e potevamo finalmente dare un senso di completezza a un amore che durava da così tanto e che ci aveva visto crescere insieme. Le cose vanno bene e la gravidanza non dà problemi fino a 14 febbraio 2005, quando la ginecologa ci dice che Alessandro non sta crescendo come dovrebbe e che dobbiamo fare degli accertamenti che in realtà non fanno uscire particolari problematiche. D’altronde avevamo fatto anche l’amniocentesi ed era risultato tutto nella norma. Preciso che l’avevamo fatta per essere eventualmente pronti ad una situazione particolare e non per altri scopi. Ale quindi nasce il 21 giugno 2005: inizialmente è piccolo ma non troppo, mangia ma non troppo, cresce ma non troppo. Dopo poco la situazione peggiora e ci ritroviamo in ospedale per tre ricoveri lunghi e importanti nei primi 8 mesi di vita. Ale non mangia e vomita, non dorme e non vuole mai il latte seppur possa esser nutrito solo con quello visto la sua piccolissima età: a Livorno ci provano in tutti i modi ma non capiscono cosa ci possa essere. Cosi, direi finalmente, l’allora primario ci manda al Meyer di Firenze dove in tre giorni abbiamo la soluzione.

Ti ricordi quel momento?
Impossibile da dimenticare. La genetista sentenzia che sono “Troppo belli quei suoi occhi per essere normali”… come se alla bellezza potesse esserci un limite, come se dietro a quei suoi occhi dall’iride stellata si nascondesse qualcosa di cattivo e che non avrebbe dovuto esserci. E noi scopriamo così che Ale ha la Sindrome di Williams, una patologia genetica rara che lo renderà diverso agli altri. Non una malattia con la quale lottare e provare a sconfiggere ma una condizione, uno status che non cambierà mai, ma che dobbiamo arginare da un punto di vista medico e combattere da un punto di vista cognitivo. Dobbiamo lottare insomma, morire per ripartire, cadere per poi rialzarci velocemente. Eravamo in un vortice, non riuscivamo a connetterci con la realtà e in un solo momento avevamo perso il nostro posto nel mondo. Col messaggio mandato a tutti i nostri parenti ed amici: “Ale ha la sindrome di Williams e sarà un bambino speciale. Per adesso non abbiamo voglia di parlarne”, davamo l’addio alla quotidianità che ci apparteneva da tanto tempo per rifugiarsi in noi tre. Chiudevamo la porta ed eravamo soli anche se molti volevano aiutarci e starci vicini ma non potevano.

Quanto ti hanno aiutato i social ed internet?
La corsa a internet ed ai social in generale fu un uragano per conoscere, provare a capire, vedere, percepire e subito ci sbattemmo letteralmente contro il muro delle famiglie che avevano figli con la sindrome di Williams. Le foto di Facebook erano uno spunto per scrutare quella che sarebbe stata la nostra realtà con una curiosità quasi morbosa che non ci apparteneva. Il primo incontro dal vivo a Firenze fu veramente difficile. Era il figlio dell’allora presidente dell’associazione toscana e anche se parlava, correva, andava in bicicletta e sembrava se la godesse,  ci sembrò molto distante da quello che un tempo speravamo per nostro figlio e ne uscimmo per certi versi rafforzati ma distrutti, moribondi ma almeno con una risposta e con una fisicità, una personalità e un funzionamento particolare e caratteristico. Sapevamo cosa poteva aspettarci.

Come avete vissuto il post diagnosi?
È stato molto doloroso inizialmente mettere insieme tutti i cocci distrutti post diagnosi. Ognuno si sentiva in diritto/dovere di dirci la propria idea e noi vagavamo da dottore a dottore e le idee non sempre erano concordanti. Sopravvivevamo in attesa di capirci maggiormente, vivevamo le giornate come sospesi ma subito ci rendemmo conto che dovevamo creare una rete che supportasse Ale nella sua vita che sarebbe stata indiscutibilmente fuori dalla norma… normalità, che brutta parola. Quindi il Meyer per la parte medica e la Stella Maris per la parte cognitiva diventavano i nostri punti fermi insieme a terapiste private e con loro un’associazione di famiglie che ci teneva in piedi perché aveva già percorso i sentieri che adesso stavamo percorrendo noi e poteva accendere un po’ la luce che sembrava spenta. La rete era fondamentale: se era una sindrome multisistemica allora dovevamo far sì che tutti coloro che seguivano Ale dialogassero per interscambi continui e costanti mantenendo sempre alta l’asticella dell’interesse e coadiuvando Ale in tutte le sue esigenze.

Alessandro adesso ha sedici anni, come è cresciuto?
Ale è cresciuto molto sereno, dopo di lui sono arrivati altri due bambini (adesso 14 e 9 anni) e la scelta di andare a vivere in un casolare di campagna con i nonni e gli zii e le due favolose cugine si è rivelata vincente: Ale ama, ride, piange, dice la sua e ha il suo posto ben definito. Non sempre facile, non sempre lineare e quasi mai scontato ma ricco di soddisfazioni e sentimenti profondi che spesso rubano spazio all’infelicità e alla tristezza che fanno comunque spesso capolino. Ale oggi è un sedicenne con la propria personalità ben definita, tante cose non può farle ma tante altre sì: un pezzetto di cromosoma manca ma tutto il resto c’è e va valorizzato e aiutato ad esprimersi.
Il nostro Ale con la matematica troverà ostacoli purtroppo insormontabili, scrive in stampatello d ha paura dei temporali e dovrà mettere delle cuffie qualora ce ne sia uno. Ale deve andare più spesso in bagno, vive tutto senza grosse inibizioni sia in positivo che in negativo, odia le ingiustizie e si attiva talvolta in modo troppo irruente per farle cessare, adora le persone nella loro totalità e non possiede nessun tipo di malizia. Ha un carattere particolare ma che ben si gestisce conoscendone alcune sfaccettature. Non esistono tendenzialmente per lui persone antipatiche, negative o peggiori di altri; lui parte dal presupposto che tutte siano buone e che gli dicano sempre la verità. In un mondo ideale sarebbe perfetto. È stato molto duro perdere il nostro posto nel mondo ma è stato poi bello riappropriarsene per trovare un’altra dimensione fatta di fragilità, di emotività, di instabilità ma anche tanto tantissimo amore. Ale è cosi, è solo amore, Ale è tutto sentimento.

Come è il rapporto con i fratelli?
Ale è il fratello maggiore per età, ma per tanti versi non lo è. I suoi fratelli Francesco (14 anni) e Leonardo (9 anni) condividono con noi genitori la sua presenza “ingombrante”, discreta e talvolta silenziosa ma sempre molto da interpretare per chi ha un carattere in formazione. Se da un lato Leonardo ancora non ha ben presente tutte le problematiche che la condizione di suo fratello comporti e vede tutti gli atteggiamenti di Ale come spunto per litigi o abbracci, per Francesco si è già passata la fase della comprensione, della grandissima tristezza e (forse) dell’accettazione. “Non avrei voluto un fratello come lui, avrei voluto una spalla, un amico, uno con cui lottare e poi giocare insieme” : le parole di Chicco un paio di anni fa tra i suoi pianti singhiozzanti esplodono ancora nella nostra casa. Dopo una giornata particolare si era scontrato con la brutalità della condizione di Ale e ci era rimasto schiacciato. Non era come pensava, tutto era diverso, ribaltato e difficile e dopo noi genitori era lui adesso a cercare di capire e muoversi dentro una relazione difficile e da costruire su basi diverse rispetto a quello che solitamente è. Fu una serata per certi versi straziante ma fu il suo modo di elaborare il lutto e ripartire. Adesso Chicco è il maggiore (anche se non lo è anagraficamente)  ed Ale lo ama incondizionatamente perché vede in lui la roccia, la presenza ed il divertimento. D’altrocanto Francesco ha imparato ad apprezzare la soavità dolce di Ale ed a smorzare determinati suoi atteggiamenti fuori dalle righe per un ragazzo di 16 anni. Con Leonardo invece è talvolta guerra e talvolta amore, ma quando li guardiamo non possiamo che esser felici della fortuna che abbiamo. Ale ha intorno persone che lo amano e che lo accettano ed i suoi fratelli hanno con lui la possibilità di sperimentare la disabilità, la fragilità e la difficoltà ma tutto in un’ottica di sentimenti, emozioni e sensazioni allo stato puro.

Alessandro ha mai vissuto episodi di bullismo?
Ale ha una personalità solare e per certi versi unica nel suo genere. Dona se stesso, dà confidenza ed attrae per i suoi sentimenti. In passato non ci sono state grosse situazioni di difficoltà relazionale che portassero a bullismo, a parte purtroppo momenti di scherno o presa di giro per il suo aspetto molto singolare, eccetto quando era in prima media. Sul pullman che lo portava a scuola c’era un bambino/ragazzo di terza media ripetente che lo aveva preso di mira: lo prendeva in giro con forza e cattiveria, lo spingeva e lo sgambettava. Ale non ci disse nulla e teneva tutto per sé fino a quando i suoi amici si “svegliarono”. Ricevemmo telefonate che ci informavano della cosa, perché i suoi amici non potevano tollerare una cosa simile e volevano farci attivare.  Non riuscivano a difenderlo in prima persona inizialmente, ma poi tutti insieme iniziarono a circondare Ale sia sul pullmino che nella strada per andare a scuola non permettendo al bullo di turno di interagire con nostro figlio e quindi di approfittarsene. A mio avviso fu un grande esempio di amore e di integrazione che pian piano risolse il problema in quanto il ragazzo si sentiva isolato e soprattutto poco simpatico ed attraente agli occhi degli altri ragazzi. L’episodio fu importante per approfondire il tema della diversità con Ale e del perché qualcuno prende altri come bersaglio arrivando a bullizzarlo e ghettizzarlo. Ale non arriva a comprenderlo perché in lui non esiste malizia o cattiveria ma almeno adesso ha compreso che non tutti sono gentili e accoglienti come lui.

Cosa vorreste far conoscere di questa sindrome?
I bambini, ragazzi ed adulti Williams sono buoni, solari, non hanno malizia o filtri negativi. Un carattere da “cocktail party” si dice e sono proprio così: amorevoli e gentili, fragili nella loro semplicità e desiderosi di esser amati. Ad un primo impatto forse non ci si rende conto subito dei limiti che la sindrome comporta ma la quotidianità è dura ed il futuro non sempre roseo per quanto riguarda le autonomie e la socializzazione soprattutto con i pari età. L’ansia da prestazione è sempre molto importante e la fragilità emotiva deve confrontarsi quotidianamente con una società che va a mille e che talvolta esclude i “pezzi venuti male” (tra le tante cose mi è capitato di sentire anche questa). Vorrei se ne parlasse, vorrei non facesse paura, vorrei gli fosse data una possibilità perché ognuno merita di poter essere se stesso soprattutto per una sindrome che fa dell’allegria e della positività uno dei punti di forza. Vorrei non fossero lasciati soli e che la società provasse ad aggiustare la propria velocità ogni tanto e far salire anche questi ragazzi che tanto hanno da offrire al mondo ed a chi li circonda. Andrebbero coinvolti e resi parte integrante di un processo al quale possono dare il loro contributo soprattutto emozionale ed emotivo ma la società va spesso ad una velocità tale da lasciarli indietro, ai margini, soli.

Esiste un’associazione nazionale di riferimento?
Purtroppo l’associazione nazionale che esisteva tempo fa insieme alle realtà satelliti locali che ad essa si raccordavano si è scissa formando più di una realtà a livello anche nazionale. A mio avviso questa è una sconfitta che testimonia come purtroppo anche in ambiti molto intimi e profondi della vita umana l’uomo si rovini da solo e tenda a distruggersi. Comunque le associazioni aiutano le famiglie spaesate e sbattute come in una tempesta quando hanno bisogno di capirci qualcosa tra sostegno, ospedali, invalidità civile, autonomie quotidiane e sociali e tutto quello che la sindrome comporta. Quindi abbiamo APW, AFSW, AISW, AGSW tutte realtà nazionali che cercano di organizzarsi per dare aiuto e supporto soprattutto alle famiglie che hanno la diagnosi e che quindi sono in balia dell’incertezza, del dolore e delle domande ma anche agli altri che durante tutta la vita hanno sfide sempre diverse da affrontare.