Elena ha 15 anni, è alta 117 e pesa 15 kg. Ma non è la sua malattia

Elena è affetta da mitocondriopatia geneticamente determinata, l'unica in Italia,  in tutto il mondo ce ne sono solo altri 25 come lei.

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Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Oggi voglio raccontarvi la storia di Elena, 15enne di Genova, affetta da mitocondriopatia geneticamente determinata, l’unica a soffrirne in Italia. In tutto il mondo ce ne sono solo altri 25 come lei. I suoi genitori hanno impiegato dieci anni per avere la diagnosi e hanno lanciato una raccolta fondi online per mettere insieme il denaro sufficiente a realizzare un centro di ricerca che sviluppi una cura. La malattia della bambina è degenerativa, ciò significa che andrà peggiorando, portando con sé tutta una serie di effetti collaterali tremendi, tra i quali un deficit della crescita, basti pensare che la piccola pur avendo quindici anni, ha un peso di poco più di quindici chili per un altezza di 117 cm. Tutto è dovuto a una mutazione nel Dna a carico di un gene che impedisce alla cellula di realizzare delle proteine necessarie alla produzione dell’energia. E la cosa più brutta è che non esiste alcun trattamento per questa patologia.

È il 2004 quando Andreea, poco più che ventenne, arriva in Italia dalla Romania, deve continuare gli studi e invece trova l’amore, dopo un anno si sposa e nasce Elena, apparentemente sana. A settembre del 2007, all’età di 18 mesi la bambina si ammala, una broncopolmonite, i medici la rassicurano, dicono che non è niente di grave, ma al momento della dimissione si accorgono che i valori del fegato e dei reni sono sballati, i segnali sono preoccupanti, ma le danno tre mesi per effettuare un controllo successivo, confidando in una sua ripresa, che, però, non avviene. Elena non sorride più, ha il viso spento. Non ha più voglia di giocare, non mangia più con appetito e soprattutto smette di crescere.

A questo punto inizia il calvario che ogni genitore di un bambino malato conosce bene, la trafila negli ospedali alla ricerca di risposte, la necessità di conoscere la diagnosi e la speranza di una cura, che in caso di patologie gravi, equivale a una sentenza di vita o di morte. Nel 2009 con la risonanza magnetica al cervello della piccola arriva la doccia gelata per questa famiglia: leucoencefalopatia su base mitocondriale. I medici cercano di preparare i genitori al peggio spiegando che quel tipo di malattia non lascia scampo, ma nessuna madre o padre può accettare di rinunciare al proprio figlio senza lottare e soprattutto senza avere provato qualunque cosa.

Andreea cosa ti ricordi di quel periodo?
Il senso di inadeguatezza e di profonda disperazione, sentirsi dire: “Carissimi genitori, oggi Elena è qua con voi che cammina, sorride e ha tanta voglia di vivere, ma preparatevi perché un giorno non sarà più così”, è stato devastante. Non auguro a nessuno di provare quello che io ho sentito e provato quel giorno, non riuscivo a smettere di piangere, pensavo che mia figlia sarebbe morta di lì a poco.

Però non vi siete arresi e avete continuato a indagare
Sì, indagini su indagini, test genetici, ma nulla, il nome non viene fuori. A questo punto cerchiamo l’aiuto in tutta Italia e grazie a una dottoressa di Firenze entriamo in contatto con una ricercatrice italiana che lavora negli U.S.A., è il 2014. Due anni dopo finalmente il nome della malattia: ” Nubpl” con due mutazioni diverse, una da me, una da mio marito ma tutte due dello stesso gene(malattia neurodegenerativa. Ad oggi 25 casi nel mondo, l’unica in Italia.

Quando hai avuto finalmente la diagnosi come ti sei sentita?
Conoscere il nome della patologia di mia figlia mi ha dato in qualche modo sollievo, avevamo un nome per quel mostro che ce la stava portando via, quando conosci il nome del tuo nemico in qualche modo la speranza di riuscire a batterlo, prima o poi, si fa strada nel tuo cuore. Non è facile da spiegare a chi non ha mai dovuto combattere per la vita, ma è proprio così. Si cammina a vista, ogni giorno un piccolo passo, ma lei è qui con me, sorride, gioca con i suoi fratelli e lotta, con tutta se stessa, basti pensare che il suo DNA è stato giudicato incompatibile con la vita, ma oggi Elena ha 15 anni  e ha dimostrato tanta forza di volontà ma soprattutto tanta voglia di vivere.

Com’è la vita di tutti i giorni per tua figlia?
Sicuramente non ha una vita facile perché si alimenta quasi totalmente dall’intestino, ma io cerco di non privarla della gioia della focaccia, ormai sono genovese,  ha poca autonomia e non cresce (è alta 117 cm e peso nemmeno 15 kg). Ha crisi epilettiche e problemi polmonari, prende decine e decine di medicine al giorno per vivere e potrei andare ancora avanti, ma Elena non è la sua malattia. Elena è gioia, sorriso, bontà d animo e forza, tanta forza.

Hai deciso di raccontare la vostra storia sui social, perché?
Perché avevo bisogno di condividere il mio dolore, avevo bisogno di trovare delle persone cui far vedere la nostra normalità, perché quando qualcuno della famiglia si ammala, ti trattano tutti in maniera diversa, ma nel nostro nucleo ci sono anche i fratellini di Elena, che hanno diritto a crescere sereni e felici, per quanto possibile, e compatibilmente con la patologia della loro sorella, che adorano. Quando impari a condividere, ti sembra di portare un peso più leggero. Per questo abbiamo deciso di acquistare un camper, per poterci spostare con tutte le terapie necessarie, e anche per regalare dei giorni di vacanza a Daniele e Luca. E poi da poco, proprio grazie al sostegno dei social, abbiamo avviato il laboratorio per la ricerca a Verona, con tre ricercatrici e un assistente per dare la possibilità, un giorno, ai malati di NUBPL di avere una cura. Non sappiamo se Elena sarà ancora tra di noi il giorno in cui arriverà una cura, ma quando la guardo negli occhi devo essere certa di fare tutto il possibile per aiutarla. Questo è il mio modo di affrontare il dolore. Essere gli unici con questa patologia non vuol dire che ci dobbiamo arrendere, ma dobbiamo fare tutto il possibile perché nostra figlia rimanga con noi il più a lungo possibile. In modo dignitoso e felice.