Vittoria Belvedere prima del successo: “Bullismo e proposte indecenti”

Vittoria Belvedere racconta del passato da "terrona calabrese" vittima di bullismo, fino alle avances indesiderate sul lavoro

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Nicoletta Fersini

Giornalista, Content Editor, SEO Copywriter

Giornalista ed evocatrice di parole: appassionata di lifestyle, tv e attualità. Inguaribile curiosa, osserva il mondo. Spesso sorseggiando un calice di vino.

Una chiacchierata a cuore aperto quella concessa da Vittoria Belvedere al Corriere della Sera, dagli esordi nel mondo dello spettacolo fino al grande successo. Ma la strada per l’attrice non è sempre stata facile, dai veri e propri “episodi di bullismo”- come lei stessa li ha definiti – alle “proposte indecenti” da parte di chi voleva approfittare della propria posizione e della sua giovanissima età. Ma grazie all’amore della famiglia e a una tenacia che è riuscita a farle superare la timidezza, la Belvedere ha perseguito i suoi sogni e, con un pizzico di fortuna (che non rinnega), è diventata uno dei volti più amati della televisione e del teatro.

Vittoria Belvedere, gli episodi di bullismo da bambina

Vittoria Belvedere oggi è una donna di 51 anni con le spalle larghe, che non rinnega il passato. Al contrario è sempre rimasta ancorata alle sue radici calabresi, le stesse che purtroppo le sono valse momenti difficili quando era soltanto una bambina. Perché esser figlia di contadini originari di Vibo Valentia emigrati a Vimercate le ha fatto conoscere fin troppo presto il significato di parole come “razzismo” e “bullismo”.

L’attrice ne ha parlato a cuore aperto in un’intervista al Corriere della Sera, dove ha raccontato con estrema franchezza quanto vissuto: “Avrò avuto 7 o 8 anni e ho subìto vero e proprio razzismo, perché ero meridionale: una calabrese emigrata in Brianza. Nel palazzo dove abitavamo c’erano tutte famiglie brianzole e, se in cortile giocavo con gli altri bambini, le loro mamme li portavano via dicendo: non giocate con lei, è una terrona”.

Non è stato semplice affrontare tutto questo – “Mi è capitato più volte di sentirmi una terrona calabrese e, col passare degli anni, ho vissuto, come tanti altri ragazzi, episodi di bullismo” -, ma “non mi sono mai sentita veramente messa in un angolo”, ha ammesso. Tutto grazie a “una famiglia molto solida alle spalle che mi proteggeva, dicendo di non dar retta alle malelingue“. E ciò che resta a distanza di tanti anni sono ricordi lontani, spiacevoli ma che non l’hanno mai spinta a rinnegare le proprie origini.

“Proposte indecenti”, il racconto di Vittoria Belvedere

Bella lo è sempre stata, con quello sguardo da gatta che penetra l’anima con la sua intensità. Sin da giovanissima ha mosso i primi passi come modella, poi tutto è arrivato un po’ “per caso” come “un fiume in piena”. A segnarla nel profondo è stato l’incontro con Paola Petri, vedova di Elio, che è stata come una “seconda madre” e l’ha spinta a crescere e migliorarsi nel lavoro.

Ma sul set non sono mancati episodi che, purtroppo, accomunano i racconti di molte attrici e volti noti dello spettacolo come Paola Ferrari e Diletta Leotta, che proprio di recente ne hanno parlato. Quelli relativi alle avances indesiderate, per usare un eufemismo: “Al di là di qualche corteggiamento, per ben due volte in maniera pesante da parte di due produttori importanti, di cui non posso rivelare i nomi – ha spiegato al Corriere -. La prima volta avevo 18 anni e lui intorno ai 70… Era apparentemente un gran signore e mi fece intendere che, per fare carriera nel nostro mondo, occorreva avere qualcuno alle spalle su cui contare. Avevo già partecipato a un suo film e una sera, mentre mi accompagnava in hotel, azzardò delle avances… Io, elegantemente, lo respinsi, scesi dall’auto e non l’ho mai più chiamato”.

Poi di nuovo, da parte di un “omone, alto e pesante” che “produceva una serie importante”. La Belvedere avrebbe dovuto fare il provino ma quello che avrebbe dovuto essere uno scambio puramente professionale si è trasformato in una scena violenta: “Ci sedemmo sul divano e lui, con la scusa di porgermi il testo, mi è saltato letteralmente addosso (…) non so come sono riuscita a respingerlo, a togliermelo di dosso”.

Quella volta si scusò, sulla scia di quel senso di colpa che spesso e volentieri attanaglia una donna che, di fatto, è vittima di attenzioni indesiderate. O, per chiamarle nel modo appropriato, di vere e proprie molestie sul posto di lavoro. “Purtroppo noi donne ci sentiamo spesso, a torto, colpevoli di provocare il maschio arrapato… È un nostro assurdo limite».