Catcalling: quando il complimento diventa molestia

Fischi, apprezzamenti e battute sessiste possono sfociare nella molestia, a prescindere dalle intenzioni. E non sempre una risata è la risposta migliore.

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Veronica Colella

Sex Editor

Content writer con una laurea in Scienze antropologiche e un passato tra musei e archivi. Scrive di sessualità e questioni di genere da un punto di vista sex positive, con la consapevolezza che non esistono risposte semplici a psicodrammi complessi.

Dal nome sembra un trend, ma il catcalling non è proprio una novità. Ai tempi delle nostre nonne avremmo parlato dell’essere importunate per strada, da una battuta sessista o da un apprezzamento volgare, da fischi e risate o dalla richiesta di un sorriso a comando, perché sei più bella quando sorridi, o magari dall’approccio insistente di chi ti ha notata passare e non ne vuole sapere di lasciarti andare via.

E ogni tanto capita che il catcalling diventi anche un modo di fare cameratismo, un comportamento messo in pratica per cementare la solidarietà maschile e – in senso figurato – per attestare di essere in cima alla catena alimentare. I gorilla maschi si battono il petto per comunicare a distanza di essere grandi e grossi, gli homo sapiens si danno pacche sulla schiena e commentano a voce alta il fisico delle passanti. Confidando nello stoicismo delle donne, esortate fin da piccole a rispondere con il sorriso o con l’indifferenza.

Molestia o complimento?

Il catcalling viene spesso minimizzato, sottolinea la scrittrice e attivista americana Soraya Chemaly in La rabbia ti fa bella (HarperCollins Italia), ma questo non significa che basti davvero riderci su per annullarne gli effetti più insidiosi. Al di là della reazione immediata, abituarsi fin da piccole a dover gestire apprezzamenti e attenzioni indesiderate con il sorriso sulle labbra significa accettare un ordine del mondo in cui si è perennemente vulnerabili ai capricci degli altri. “Un mondo di donne che sorridono a richiesta”, scrive Chemaly, “è un mondo in cui la rabbia femminile è irrilevante e in cui la minaccia della violenza maschile è legittimata”. Non tutto deve diventare un trauma, ma bisogna riconoscere che essere sempre in allerta può diventare logorante. Da qui il maggiore senso di ansia e l’ipervigilanza che portano, nei casi peggiori, a vivere un senso di dissociazione dal proprio corpo.

Molto spesso, ce ne facciamo una ragione. Del fischio per strada, del complimento pesante, dell’eventualità di essere toccate senza permesso o in maniera decisamente inappropriata, dello sconosciuto che ti segue per strada e del conoscente che si prende troppa confidenza, quasi come se fosse una spiacevole conseguenza dell’essere donna – per non parlare di quando al sessismo si sovrappone il razzismo, l’omofobia o la transfobia. È parte di quel meccanismo che il sociologo e antropologo Pierre Bourdieu definiva violenza dolce o violenza simbolica, un modo di far apparire naturale il modo di pensare, agire e sentire di chi ha in mano tutto il potere decisionale o quasi.

E sì, l’ambivalenza esiste e bisogna farci i conti. Molte mettono a punto sofisticati meccanismi di selezione per distinguere gli uomini pericolosi da quelli che stanno solo flirtando, prosegue Chemaly, perché parlare di catcalling non significa negare che possano esserci scambi piacevoli e amichevoli. È possibile sentirsi lusingate, arrabbiate, eccitate, umiliate, spaventate e anche attraversare l’intera gamma di questi sentimenti nello spazio di pochi minuti.

Ma gli uomini che reazione si aspettano dal catcalling?

Nella testa degli uomini

È la domanda che si sono poste le psicologhe Kari A. Walton e Cory L. Pedersen, autrici di uno studio a tema pubblicato di recente sulla rivista accademica Psychology & Sexuality. Per capire meglio il punto di vista maschile, le ricercatrici hanno reclutato 258 uomini eterosessuali tra i 16 e i 75 anni tramite un’indagine online. Ai partecipanti sono stati presentati sei scenari di catcalling, chiedendo loro di indicare se ne avessero messo in pratica uno o più di uno nel corso dell’ultimo anno. I catcaller (circa il 33% del campione) sono poi stati invitati a rispondere a qualche domanda sulla frequenza di questi comportamenti, sulle loro motivazioni e sulle reazioni che speravano di ottenere dalle donne.

Non stupirà, ma la maggior parte degli intervistati ha dimostrato di non avere idea di quale fosse l’effettiva percezione femminile dei loro comportamenti. Molti di loro speravano di ricevere in cambio un sorriso (l’85%) o che il flirt fosse ricambiato (l’81%), alcuni speravano di invogliare la ragazza a scambiare due chiacchiere (il 78%) o speravano che si sentisse lusingata (il 73%). Non pensavano di risultare molesti, solo intraprendenti. Soltanto il 7% ha ammesso di farlo come atteggiamento punitivo (in particolare verso le femministe) e il 6% di farlo per mettere le donne in imbarazzo. Tuttavia, i questionari sulla personalità hanno evidenziato che i catcaller abituali hanno una visione del mondo piuttosto maschilista: anche quelli con le migliori intenzioni hanno totalizzato punteggi più alti in categorie come il sessismo ostile e la tolleranza verso le molestie sessuali.

Come reagire

Quando si è oggetto di catcalling tirare dritto è probabilmente l’opzione più sicura, ma non c’è una risposta giusta e una sbagliata. C’è chi lancia occhiatacce e chi sorride, genuinamente divertita o per una reazione nervosa, chi risponde al fuoco con il fuoco rilanciando in volgarità e magari facendo sprofondare nell’imbarazzo chi è impreparato a questo repentino cambio di prospettiva. E c’è anche chi si arrabbia e non ha remore nel farlo notare.

Le uniche reazioni di cui dovremmo liberarci sono la vergogna e il senso di colpa, come se non avessimo diritto di ribellarci alla prassi. E forse la vera soluzione è cogliere ogni occasione di svecchiare il pensiero di chi è ancora convinto che il problema sia la mancanza di senso dell’umorismo delle donne che si offendono.

Come fa notare Chemaly, se questi episodi alla lunga possono destabilizzare anche chi li prende con leggerezza è perché in fondo non possiamo mai essere davvero sicure che il catcaller sia inoffensivo. Lo studio di Walton e Pedersen suggerisce una mancanza di consapevolezza difficile da colmare in una conversazione tra sconosciuti, anche perché richiederebbe una notevole capacità di autocritica, e testimonia l’esistenza di una percentuale non poi così trascurabile di uomini che utilizzano il catcalling per intimorire o punire. Per di più, se qualcosa dovesse andare storto è sempre alle donne si attribuisce tutta la responsabilità di dover dimostrare di non essere state incaute, superficiali o troppo appariscenti. Ecco perché farsi una risata non è sempre possibile.